Negli ultimi tempi, i rapporti fra Unione Europea e Polonia sembrano seguire due percorsi paralleli, dove il mantenimento di un equilibrio appare continuamente fragile. Se da un lato la Commissione Europea ha inteso autorizzare larghe deroghe sulla gestione dei migranti al confine con la Bielorussia, non ha risparmiato invece a Varsavia l’apertura di una procedura d’infrazione, lo scorso 22 dicembre, per violazione dei principi generali di e messa in discussione dell’effetto vincolante delle sentenze della Corte di Giustizia Europea.
Il riferimento è alle due decisioni della Corte costituzionale polacca del 14 luglio e del 7 ottobre 2021, che non hanno riconosciuto la superiorità del diritto europeo su quello nazionale. In particolare, la Corte ha stabilito che alcune disposizioni del Trattato sull’Ue sono illegittime perché incompatibili con la Costituzione del paese, e che agli organismi europei non spetti di stabilire come debba essere organizzata la giustizia nei paesi membri, prerogativa dello Stato e non dell’Unione Europea.
Dunque per la Corte polacca è legittimo che il Parlamento ne abbia riformato l’organizzazione, anticipando il pensionamento dei giudici che ne facevano parte a favore di nuovi, nominati attraverso una procedura controllata dal Governo, con l’istituzione di un Consiglio nazionale di supervisione della giustizia.
L’Ue ha dichiarato in una nota di dubitare dell’indipendenza e imparzialità dei verdetti della Corte costituzionale, perché al momento non soddisfa i requisiti di legge; mentre il primo ministro polacco Mateusz Morawiecku ha commentato che sempre più stati membri sono del parere di dover porre dei limiti alle sfere di competenza dell’Europa.
Varsavia ha ora tempo fino al 22 febbraio, due mesi dalla lettera di messa in mora, per uniformarsi, pena la disposizione di sanzioni economiche. Se il Governo polacco dovesse rispondere in modo non soddisfacente per la Commissione europea, la procedura di infrazione potrebbe essere riaperta una seconda volta, fino alla citazione in giudizio davanti alla Corte di Giustizia europea, che a quel punto potrebbe imporre multe giornaliere al paese membro fino al ripristino della sua piena conformità alle norme europee.
Il conflitto di legittimità fra Europa e Polonia non nasce oggi, ma è in corso dal 2015, quando il partito ultra conservatore Diritto e Giustizia è andato al potere, prima formazione politica a ottenere la maggioranza assoluta dal 1989.
La disputa ha riguardato principalmente le modifiche al sistema giudiziario polacco, che il Governo afferma di voler rendere più efficiente e meno corrotto attraverso le riforme, giudicate dall’Europa poco democratiche e in conflitto con il principio di separazione dei poteri. Già nel 2017 la Commissione Ue aveva costatato il rischio di violazione grave per la Polonia e invocato l’articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea, ossia la sospensione di alcuni dei diritti derivanti allo stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compreso il voto del rappresentante del Governo nel Consiglio Ue.
Ci sono state anche altre frizioni, negli ultimi tempi, come quello sul fronte dei diritti Lgbt, cominciato nel 2019 con l’approvazione della Carta per i diritti della famiglia, e contro quella che il governo polacco aveva definito “propaganda dell’ideologia Lgbt”, sfociate in un’altra procedura di infrazione. In totale sono state 193, da quando la Polonia è entrata in Ue, nel 2004.
Questa volta sul tavolo ci sono anche i soldi del Next generation Eu, uno strumento finanziario da 750 miliardi previsto per la ripresa dei paesi europei dalla pandemia, e che sarà subordinato alla risposta della Polonia.
Sull’altro fronte, quello della crisi migratoria al confine con la Bielorussia, Varsavia è finora riuscita non solo a evitare procedure d’infrazione, ma a ottenere un supporto concreto dalla stessa Commissione che non ha ceduto sui principi fondanti dell’Unione richiamati dall’articolo 2 del Trattato: l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.
Il primo dicembre scorso la Commissione ha presentato una serie di misure temporanee in materia di asilo e rimpatrio per aiutare la Polonia, ma anche la Lettonia e la Lituania, ad affrontare la crisi di confine con la Bielorussia; basate sull’articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (politiche comuni in materia di asilo, protezione sussidiaria e temporanea), consentiranno a questi stati, quando adottate dal Consiglio, di estendere il periodo di registrazione per le domande di asilo dei cittadini stranieri provenienti dalla Bielorussia a 4 settimane, invece degli attuali 3-10 giorni. La procedura di asilo sarà applicabile alla frontiera entro un massimo di 16 settimane, salvo i casi in cui non sia possibile fornire un sostegno ai richiedenti con problemi di salute, dando la priorità alle famiglie e ai minori. Le condizioni di accoglienza dovranno soddisfare le esigenze di base, come un ricovero temporaneo, cibo, acqua, indumenti e cure mediche, in cooperazione con l’Unhcr. Infine, gli stati membri potranno applicare procedure nazionali semplificate e più rapide per il rimpatrio delle persone che vedranno respinta la domanda di protezione.
Difficile verificare, senza possibilità di accesso dell’informazione e soprattutto dell’aiuto umanitario nella zona di confine, col permanere dello stato di emergenza, che le procedure straordinarie accordate dall’Europa siano applicate a favore del diritto di ciascun richiedente a presentare la propria domanda di protezione, e non a favore di respingimenti sommari mascherati da dinieghi all’asilo successivi alle dovute verifiche. Le testimonianze arrivano dai volontari che cercano di portare aiuto ai migranti in condizioni di semiclandestinità, e dai pochi che sono riusciti a oltrepassare il confine e la zona di interdizione dopo essere stati respinti più e più volte, e raccontano violazioni più che l’applicazione del diritto internazionale.
Come ha sintetizzato Piotr Buras, a capo dell’ufficio di Varsavia dell’European Council on Foreign Relations: “l’Ue afferma di avere problemi con lo stato di diritto della Polonia, mentre rimane completamente in silenzio sulla violazione dello stato di diritto al confine polacco.”
Foto copertina via Twitter/ReliefWeb.