Mubarak, originario del Sudan, lascia il suo paese nel mese di giugno del 2023 e arriva in Chad. Qui riesce a procurarsi un visto per la Russia, a luglio decide di partire per Mosca e in pochi giorni di spostarsi in Bielorussia e tentare di entrare in Europa dalla Polonia. Pochi giorni dopo si ritroverà intrappolato nella foresta fra i due paesi, e prima di riuscire a presentare una richiesta d’asilo in Polonia grazie al supporto dell’associazione Egala, dovrà subire un respingimento e un violento pestaggio della polizia di frontiera, oltre a sopravvivere più di due settimane senza acqua potabile e con scorte di cibo quasi inesistenti. La sua storia è una delle numerose che continuano a verificarsi al confine bielorusso-polacco, la cosiddetta rotta di Minsk, che si è aperta nel 2021 e che da allora è diventata un’ulteriore tratta di violenze e violazioni dei diritti umani per chi tenta di raggiungere l’Unione Europea.
Il Rapporto “Brutal barriers” curato da Oxfam ed Egala raccoglie molte di queste testimonianze, oltre ai numeri delle persone soccorse nella foresta nel corso degli anni, e gli interventi di Medici Senza Frontiere sulle loro ferite. Una realtà, quella del confine Est dell’Europa, che si è trasformata nel tempo in un’altra crisi umanitaria dove persone vulnerabili restano intrappolate per settimane, a volte anche mesi, rischiando la vita.
Dal 2021 a oggi il trattamento nei confronti dei migranti che tentano di raggiungere la Polonia dalla Bielorussia si è ulteriormente inasprito: le condizioni ambientali sono già molto dure, dato che si parla di chilometri di foresta primordiale, quella di Białowieża, dove non è stato introdotto alcun intervento umano sul legname, sui corsi d’acqua o le zone paludose. Attraversare quel confine, dove d’inverno le temperature sfiorano i trenta gradi sotto lo zero, sarebbe proibitivo anche solo per le condizioni climatiche, e invece si aggiungono anche le pratiche brutali messe in atto dalle polizie di frontiera di entrambi i paesi, e le barriere costruite appositamente per fermare, anche a costo di ferire o uccidere.
L’illusione di facili ingressi in Ue
La rotta bielorussa è diventata popolare nel 2021, quando il paese aveva cominciato a offrire visti turistici e biglietti aerei per Minsk a prezzi competitivi, alimentando il miraggio di un facile ingresso in Europa. In quell’anno la Bielorussia è diventata il terzo paese al mondo per il quale risultava più facile ottenere un visto, e dunque una delle prime opzioni per tentare di raggiungere l’Europa in maniera sicura rispetto alla rotta mediterranea o a quella balcanica. Ma una volta giunte al confine, la situazione che le persone in transito si trovavano di fronte era, ed è ad oggi, ben diversa: condotti alla frontiera dai trafficanti, venivano poi abbandonati a sé stessi e spinti verso la Polonia, dove ad aspettarli c’erano le altre guardie di frontiera, pronte ai respingimenti di massa senza nemmeno vagliarne le domande.
Alle pratiche già disumane dei primi tempi, si sono poi aggiunte ulteriori barriere fisiche: una recinzione metallica alta cinque metri e sormontata da filo spinato lungo il confine e, circa quindici metri più indietro in territorio polacco, una bobina di filo spinato da due metri di diametro, in modo da creare una zona di esclusione interdetta a chiunque, organizzazioni di soccorso e operatori dei media compresi. In mezzo telecamere termiche in grado di identificare chiunque.
Risposta umanitaria limitata
Nonostante i bisogni crescenti, la risposta umanitaria in queste zone è sempre stata limitata ma oggi sta ulteriormente diminuendo, perché la maggior parte degli aiuti proviene da piccole organizzazioni locali, attivisti e membri delle comunità polacche dei paesi del confine, che cercano di fare rete per localizzare le persone in difficoltà e salvarle dalla morte per assideramento, ma che sono essi stessi vessati dalle forze di polizia a causa delle loro attività.
Nel 2024 sono stati registrati 3 mila respingimenti raccogliendo le testimonianze dei sopravvissuti: Medici Senza frontiere ha rilevato che le persone poi tratte in salvo sono rimaste nella foresta per periodi compresi fra poche settimane e alcuni mesi, proprio a causa della zona di esclusione dove nemmeno il personale sanitario ha accesso, e quindi non può fornire alcuna forma di soccorso immediato.
Dal lato bielorusso la foresta è ancora più estesa e contiene altrettante paludi, terreni scoscesi e accidentati difficili da oltrepassare, oltre a chilometri di rotoli di filo spinato che risalgono all’epoca Sovietica: una zona nota come il “Sistema”, che in parte entra anche in territorio polacco. In arabo la stessa area è conosciuta come “muntaqa muharrama”, ossia la zona della morte. Esposte a condizioni estreme per periodi variabili, le persone si ritrovano a soffrire di disidratazione, problemi di stomaco a causa dell’acqua contaminata che sono costretti a bere per sopravvivere, geloni e assideramento. Senza contare i rischi di essere sottoposti a violenza fisica dalle polizie di frontiera e, almeno in Bielorussia, la certezza di non avere il diritto di accedere ad alcuna procedura legale.
Msf ha riferito anche che le barriere fisiche aumentano a dismisura il rischio di ferite potenzialmente mortali, come fratture alle gambe, traumi alla testa, tagli profondi: fra gennaio e settembre 2023, il 40% dei pazienti trattati provenienti da questa rotta presentava ferite causate dalle infrastrutture di frontiera, definite sproporzionate rispetto alla vulnerabilità delle persone che dovrebbero fermare.
La sospensione del diritto d’asilo in Polonia
Il 26 marzo scorso la Polonia ha sospeso per 60 giorni il diritto dei migranti che arrivano dalla Bielorussia di poter presentare la domanda di asilo. Il provvedimento, entrato immediatamente in vigore con la firma del Presidente Andrzej Duda e dopo l’approvazione del Parlamento, nonostante l’appello di 29 Ong polacche che avevano chiesto di porre il veto.
Questa nuova legge di fatto consente al Ministro dell’Interno di limitare il diritto d’asilo se considerato una minaccia alla sicurezza nazionale, e potrebbe anche essere esteso per periodi più lunghi. L’ufficio del Primo Ministro Tusk ha parlato di una misura “che impedirà la destabilizzazione della Polonia orchestrata dalla Bielorussia contro l’Ue”.
L’Ecre, European Council on Refugees and Exiles, Grupa Granica, rete di cui fa parte anche Egala, We are Monitoring, Border Violence Monitoring Network, Leave No One Behind e Sea Watch Crew hanno denunciato come il provvedimento non farà che aggravare le condizioni di chi si trova in emergenza nella foresta.
L’ulteriore virata anti-immigrazione era già partita dopo l’elezione di Donald Tusk: fra dicembre 2023 e maggio 2024 le guardie di frontiera polacche hanno effettuato 4 mila respingimenti verso il lato bielorusso, e sempre nel maggio dello scorso anno il Governo polacco ha annunciato anche un nuovo piano per intensificare le fortificazioni al confine al costo di 2.3 miliardi di euro. Il 13 luglio scorso una legge ha anche esentato i militari e le forze di polizia dall’uso improprio di arma al confine.
Chi sono i migranti della rotta bielorussa
Le persone che tentano la rotta bielorussa provengono principalmente dall’Africa e dal Medio Oriente: i primi paesi per numero di provenienza nel 2024 sono stati la Siria, l’Etiopia, la Somalia, l’Eritrea, il Sudan e lo Yemen. Si tratta soprattutto di giovani uomini, ma anche donne, in alcuni casi in gravidanza, e bambini, compresi minori non accompagnati. Nel 2024 le organizzazioni umanitarie che operano al confine hanno riportato 1.555 casi di soggetti con almeno un respingimento alle spalle, e proprio lo scorso anno è stato raggiunto il più alto numero mai documentato dal 2021. Ma a prescindere dall’implementazione della legge nazionale polacca a favore dei respingimenti, la pratica resta illegale sul piano internazionale: coloro che hanno subito almeno un respingimento hanno raccontato di essere stati portati indietro a bordo di camionette, e trattenute nei posti di frontiera per ore, e in alcuni casi giorni, spesso in condizioni di privazione, senza acqua, cibo né l’uso dei servizi igienici.
L’organizzazione We are monitoring ha anche documentato casi di respingimento in cui le persone necessitavano di assistenza medica che non gli è stata prestata: fra giugno e novembre dello scorso anno sarebbero stati 122 i soggetti in queste condizioni, comprese alcune donne in gravidanza. Nello stesso periodo sono stati registrati anche 13 prelievi dagli ospedali ai fini di procedere con i respingimenti, inclusi un minore, un anziano che presentava segni di percosse e un uomo che avrebbe dovuto completare la profilassi antirabbica a causa del morso di un cane.
Le condizioni in Bielorussia
Le uniche testimonianze sulle condizioni in Bielorussia, dall’altro lato della frontiera, le raccontano i pochi che riescono ad attraversare e che grazie all’intercessione delle organizzazioni, riescono a presentare domanda d’asilo, o almeno ci riuscivano fino a meno di un mese fa. La maggior parte parla di campi di detenzione, oppure di campi autorealizzati nella foresta, dove spesso si viene privati anche di quel poco che si ha, che si tratti di un telefono, qualche soldo, un po’ di cibo. Tornare a Minsk e fare il percorso inverso è impossibile senza pagare altissime tangenti a qualche ufficiale che lo renda possibile, per cui è un lusso che quasi nessuno si può permettere, soprattutto dopo essere passato dalla foresta ed essere stato spogliato di tutto. Quindi l’unica soluzione è tentare di entrare in Polonia. Alcuni riferiscono anche di umiliazioni e torture come il waterboarding e le scariche elettriche, o l’uso dei cani per spaventarli.
Gli scomparsi
A causa delle difficoltà di avvicinarsi al confine e dell’impossibilità di avere notizie dalle guardie di frontiera, anche le sparizioni delle persone delle quali si perdono i contatti sono spesso documentate dalle associazioni umanitarie e dai gruppi di attivisti. Dal 2021 alla fine del 2024 i casi di morti accertate sono stati 88, un numero sicuramente inferiore a quelli reali, considerato che dal lato bielorusso non è possibile avere alcuna informazione in merito.
Nel marzo del 2024 Grupa Granica ha ricevuto 402 segnalazioni di scomparsa: 122 si sono risolte positivamente, 35 sono ancora considerate scomparse, 213 non potevano essere verificate e di 32 sono stati ritrovati i corpi.
Come sottolineano le organizzazioni che hanno curato il Rapporto, il numero di persone che tenta questa rotta è stagionale, e si concentra soprattutto nei mesi più caldi; ma a parte la fluttuazione nel corso di ogni anno, non accenna a diminuire un anno dopo l’altro e, anzi, il 2024 ha visto un significativo aumento, nonostante i più brutali tentativi di dissuasione. Eppure i numeri potremmo sempre definirli “contenuti”, o certamente gestibili, nonostante mai come in questo caso come venga utilizzato strumentalmente il concetto di sicurezza dei propri confini per sospendere il diritto d’asilo a poche migliaia di persone. Nello stesso paese che oggi ospita ancora quasi un milione di cittadini ucraini, fuggiti per le stesse ragioni, e con il benestare della Commissione Europea che già nel dicembre scorso aveva approvato il piano polacco di mettere arbitrariamente in pausa i diritti fondamentali di protezione, considerato “proporzionato” ad affrontare la minaccia alla sicurezza posta da Russia e Bielorussia nei confronti dell’Ue.
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