L’attuale approccio dell’Unione Europea per contrastare i flussi migratori si basa sull’esternalizzazione delle frontiere. Ciò significa che gli Stati membri, tramite accordi o Memorandum d’Intesa, affidano il controllo delle migrazioni a Paesi terzi e alle autorità competenti di questi ultimi. Tra questi Paesi vi è la Libia, “autorità competente” della zona SAR (Search and Rescue) libica e delle operazioni di ricerca e soccorso. Tuttavia, come è ormai noto, quelle della cosiddetta Guardia Costiera Libica sono operazioni che fungono da deterrente per le migrazioni, riportando le persone in difficoltà nei centri di detenzione, in cui avvengono continue violazioni dei diritti umani. Oltre agli Stati Membri, bisogna tener presente che la responsabilità di quelli che sono respingimenti a tutti gli effetti è anche di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere marittime e terrestri, che nel corso del tempo ha assunto un ruolo sempre più cruciale nella creazione di una fortezza europea tramite due elementi: pushbacks (respingimenti illegali) e militarizzazione delle frontiere .
Il 12 maggio, la Ong Sea Watch ha pubblicato un rapporto dal titolo Crimes of the European Border and Coast Guard Agency Frontex in the Central Mediterranean Sea inerente ai presunti crimini commessi da Frontex. Come viene evidenziato dal rapporto, Frontex si serve di aeroplani per il monitoraggio di imbarcazioni in difficoltà nel Mediterraneo per poi contattare le “autorità competenti” affinché si attivino nelle attività di ricerca e soccorso. Tuttavia, l’agenzia contatta unicamente la Guardia Costiera Libica, se l’imbarcazione si trova nella zona SAR libica, senza considerare le altre imbarcazioni che si trovano nelle vicinanze. Frontex si rende quindi responsabile delle intercettazioni e dei respingimenti di persone in difficoltà verso la Libia che, dal canto suo, le riporta nei centri di detenzione.
Questa è solo l’ennesima denuncia da parte di organizzazioni umanitarie che da tempo si occupano di monitorare il comportamento dell’Unione Europea e la conformità di quest’ultima con le leggi internazionali ed europee che governano la protezione dei diritti umani di persone richiedenti asilo e rifugiate. In questo caso appare evidente, ad esempio, che il principio di non-refoulement, ossia di non respingimento, sancito dall’Articolo 33 della Convenzione di Ginevra (1951), per cui a un rifugiato non si può impedire l’ingresso sul territorio, né può essere deportato o espulso o trasferito verso luoghi in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate, non venga affatto osservato. Frontex è infatti la protagonista di un numero elevato di altri episodi simili, come è stato ampiamente documentato dalle inchieste di Der Spiegel. Nel rapporto Agency Frontex Complicit in Greek Refugee Pushback Campaign (23 ottobre 2020), che riguarda le violazioni commesse dalle autorità greche nei respingimenti massicci e collettivi di rifugiati e richiedenti asilo verso la Turchia, viene evidenziato come l’agenzia abbia più volte contribuito ad adottare questo metodo, sia come parte attiva nei respingimenti, che come parte consapevole delle violazioni delle autorità greche, senza mai intervenire per fermarle. Nel rapporto sono state incluse diverse testimonianze di donne e uomini migranti, che hanno confermato di essere stati respinti, senza che quindi venissero garantiti il salvataggio immediato e l’accesso alle procedure per formalizzare la richiesta di asilo – come dovrebbe essere garantito, rispettivamente, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, all’articolo 98, e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, all’articolo 18.
Benché l’accumularsi di rapporti e testimonianze abbiano spinto l’Ufficio Antifrode dell’Unione Europea ad avviare un’indagine, attualmente in corso, su Frontex, portando quest’ultima a sospendere le operazioni di monitoraggio delle frontiere terrestri in Ungheria – altro Stato membro responsabile di respingimenti illegali e ulteriori violazioni dei diritti umani -, l’approccio dell’Unione non punta a un cambiamento. Rafforzare Frontex e il controllo delle frontiere con ingenti investimenti tramite il nuovo piano sui rimpatri “volontari”, come annunciato dal vicepresidente della Commissione Europea Margaritis Schinas, rimane un punto fermo. Secondo il rapporto Lobbying Fortress Europe. The making of a border-industrial complex, del Corporate Europe Observatory, con l’ampliamento del budget investito sulle operazioni di Frontex sono venuti meno sia la trasparenza di quest’ultima che il monitoraggio costante dei metodi adottati dall’agenzia. Nel 2020, Frontex ha ricevuto oltre 5 miliardi di euro per l’acquisizione di navi, veicoli, aerei droni e radar: tra il 2018 e il 2019, ha avuto modo di incontrarsi con 138 aziende private (tra cui 10 centri di ricerca per la tecnologia e solo una ong). Come viene sottolineato nel rapporto, non solo la scarsa presenza di organizzazioni non governative che si occupano della protezione dei diritti umani è un dato significativo, ma tra il 2018 e il 2019, il 72% delle lobby con cui Frontex ha avuto rapporti non era segnato nel Registro per la Trasparenza dell’Unione Europea. Infine, non mancano l’utilizzo dell’intelligenza biometrica e di armi da fuoco. Nel primo caso, non si parla semplicemente dell’acquisizione delle impronte digitali, ma dell’impiego di tecnologie di sorveglianza ancor più invadenti, come analisi dell’iride e del volto. Questo ha portato 61 organizzazioni della società civile a chiedere alla Commissione Europea di sospendere la moratoria sull’utilizzo di tali tecnologie per il controllo delle frontiere, alla luce delle scarse garanzie della protezione dei diritti umani dei migranti. In aggiunta, attualmente vi è anche la campagna Reclaim Your Face, iniziativa della società civile europea contro la sorveglianza biometrica di massa per tutte le persone, rifugiate e non, onde evitare “interferenze indebite con i diritti fondamentali”. Nel secondo caso, nel rapporto è stato evidenziato come, nonostante gli incontri tra Frontex e le lobby delle armi su come utilizzarle, è molto improbabile che tali training includano anche tecniche di distensione, considerando anche la volontà dell’agenzia di acquisire maggiori immunità e privilegi.
L’europarlamentare Sira Rego di Izquierda Unida, ha affermato che è arrivato il momento di smettere di finanziare l’agenzia Frontex con i soldi pubblici, alla luce delle violazioni perpetrate dall’agenzia. Sta all’Unione Europea ora cambiare approccio sulla mobilità internazionale, aprendo vie legali e sicure per tutti e tutte, anziché prediligere la chiusura delle frontiere e le conseguenti violazioni dei diritti umani.
Foto di copertina via Twitter/Frontex