La copertura mediatica della migrazione: una panoramica dall’Europa
Dall’inizio del grande flusso migratorio che ha visto le popolazioni sfollate tentare di raggiungere l’Europa attraverso le rotte del Mediterraneo orientale e centrale, sono stati condotti quattro studi principali con l’obiettivo di comprendere la rappresentazione mediatica dei migranti nelle società europee. I risultati di Georgiou e Zaborowski (2017), che hanno effettuato un’analisi del contenuto della stampa in otto paesi europei (Repubblica Ceca, Francia, Germania, Ungheria, Irlanda, Serbia, Regno Unito e Grecia) nel corso del 2015 per il Consiglio d’Europa, mostrano che i rifugiati avevano opportunità molto limitate di poter condividere le loro storie con il pubblico attraverso i media, e che invece la rappresentazione offerta era principalmente quella di vittime e personaggi senza una propria voce. Quasi nessuna informazione è proposta sulla cultura o altri aspetti della vita dei migranti, in modo da permettere al pubblico di conoscere di più sul loro vissuto, con una tendenza dei giornalisti a presentare una narrazione che ha sottolineato la connessione causale “tra la situazione dei migranti e il benessere dei paesi europei”.
Due terzi degli articoli esaminati in quello studio enfatizzavano le conseguenze negative dell’arrivo dei rifugiati, mentre le conseguenze positive erano inquadrate solo all’interno della logica morale, dell’empatia e della solidarietà mostrate dalle popolazioni europee nei confronti dei rifugiati. In modo preoccupante, i rifugiati sono stati descritti dalla stampa prevalentemente come cittadini di un determinato paese (62% degli articoli nel campione). Solo il 35% degli articoli distingueva tra uomini e donne, e meno di un terzo degli articoli si riferiva ai rifugiati come persone di una specifica fascia di età. Allo stesso modo, solo il 16% degli articoli includeva i nomi dei rifugiati e solo il 7% le loro professioni. Non prendendo in considerazione queste caratteristiche individuali, gli articoli implicano che i rifugiati siano di scarsa utilità per i paesi europei (poiché sembrano non avere una professione), ispirando poca empatia (rendendoli disumanizzati e de-individualizzati) e sollevando sospetti (in quanto l’assenza di distinzione di genere favorisce la narrativa che i rifugiati siano per lo più giovani uomini in cerca di migliori opportunità).
Attraverso un’analisi della copertura mediatica sui rifugiati e sui migranti in Italia durante il 2015, presentata in un rapporto dell’Ethical Journalism Network (EJN), Macannico (2015) ha evidenziato come a dominare la stampa siano state le posizioni dei politici sul tema migratorio, e in particolare quelle inclini all’incitamento all’odio. Nonostante il tentativo occasionale di alcuni giornalisti di controbilanciare la narrativa mainstream attenendosi alla Carta di Roma (la quale regola la cronaca mediatica sui migranti in Italia), tale copertura è stata proposta nel corso dell’anno da un numero limitato di testate giornalistiche.
In un rapporto dell’UNHCR, Berry, Garcia-Blanco e Moore (2016) hanno approfondito la copertura mediatica relativa al tema dei rifugiati e dei migranti tra il 2014 e 2015 in cinque diversi paesi europei – Spagna, Italia, Germania, Regno Unito e Svezia. L’esempio italiano, in particolare, è composto da 300 articoli pubblicati sui tre principali quotidiani: Il Corriere della Sera, La Repubblica e La Stampa. I risultati sono stati nel complesso abbastanza omogenei, portando i ricercatori ad identificare “un focus dei media sui migranti recenti, che sembra trascurare il contributo e la riuscita integrazione nella società italiana di coloro che si sono già stabiliti” (22).
I dati presentati da Berry et al. (2016: 86) identificano i tipi di fonti a cui la stampa selezionata ha avuto accesso per i propri notiziari (mostrati nel grafico a seguire). Nel complesso, come spiegano gli autori, quando ai migranti è stata data voce, è stato principalmente per parlare dei motivi per cui hanno lasciato i loro paesi, del travaglio del loro viaggio in Europa e della loro esperienza come vittime della tratta di esseri umani. Tuttavia, sulla base dei risultati della loro analisi, la maggior parte della copertura giornalistica in realtà non riportava nessuna delle ragioni per cui le persone avevano cercato di raggiungere l’Europa.
Come evidenziato da uno studio dell’International Centre for Migration Policy Development, l’attuale cronaca della migrazione nei media è raccontata principalmente da due voci. Una trasmette la copertura emotiva della perdita umana attraverso immagini emblematiche della sofferenza delle persone, mentre l’altra parla delle dure realtà legate ai fenomeni di grossi flussi migratori che hanno il potenziale di sconvolgere la vita di tutti i giorni, la sicurezza e il benessere del paese ospitante (ICMPD 2017). In sostanza, troppo spesso, la rappresentazione fornita dai media disumanizza i migranti e crea una percezione di crisi sociale, anche quando questa non è in atto. La conseguenza è una paura dell’altro, la creazione di una dicotomia “noi contro loro” che enfatizza le differenze piuttosto che i punti in comune (Figenschou et al. 2015).
Ulteriori studi che sono stati condotti sul tema della copertura mediatica sulla migrazione negli ultimi anni includono i lavori di WACC Europe (2017); Oxford University Centre on Migration, Policy and Society, attraverso il loro progetto Reminder (2019); e l’Osservatorio europeo del giornalismo (2020).
Alla fine del 2018, sono state effettuate interviste chiave con redattori / direttori della comunicazione / addetti stampa di sei delle principali organizzazioni che negli ultimi anni hanno lavorato nell’accoglienza dei migranti in Italia. Queste includono: UNICEF, InterSos, Médecins Sans Frontières, Emergency, OIM e Oxfam.
Oltre alla raccolta di un diverso tipo di dati da quello ottenuto attraverso l’analisi dei contenuti, questa indagine si è concentrata specificamente sui bambini e sugli adolescenti rifugiati, al fine di fornire una prospettiva diversa sulla rappresentazione della migrazione da parte dei media. Gli obiettivi erano:
- Identificare il modo in cui le ONG e le agenzie delle Nazioni Unite comunicano con i media riguardo questioni relative ai rifugiati;
- Capire come queste organizzazioni interpretano l’attuale punto di vista fornito dai media su bambini e adolescenti rifugiati;
- Considerare le loro opinioni su come migliorare la rappresentazione di questi gruppi nei media.
Le risposte fornite dagli intervistati sono state utili per identificare una serie di argomenti chiave in relazione sia all’approccio delle organizzazioni alle relazioni con i media nell’area dei minori rifugiati, sia alle loro opinioni in merito alle notizie giornalistiche attuali e future in questo campo. Sono state anche utili per capire quale potrebbe essere una narrativa più proficua relativa a questi gruppi vulnerabili.
La rappresentazione dei bambini e degli adolescenti rifugiati: problemi e possibilità
- Strategia di comunicazione
Con riferimento ai bambini e agli adolescenti rifugiati, le organizzazioni che partecipano a questo studio hanno discusso diversi elementi fondamentali della loro strategia di comunicazione relativa a questi gruppi. In primo luogo, il loro approccio con i media si basa sull’idea di “protezione” come linea guida nella loro attività di copertura mediatica. Ciò è anche supportato da un’impegno ad evitare di ritrarre i bambini esclusivamente come vittime, e invece presentare informazioni che proteggano i bambini e le loro esperienze dall’essere strumentalizzati. Da un punto di vista più tecnico, il consenso dei genitori o di chi ne fa le veci viene rigorosamente richiesto dove necessario, mentre viene evitato l’uso di immagini che identifichino i bambini.
Tutte le organizzazioni concordano sul fatto che i media sono tipicamente interessati alle storie sui bambini, e che è più probabile che si attiri l’attenzione di un giornalista sul tema della migrazione quando si comunica sui minori rispetto a migranti adulti. L’impressione generale su questo punto è trasmessa efficacemente da questo intervistato:
Un bambino crea molta più empatia; agli occhi dell’opinione pubblica, l’immagine di un bambino è sempre più forte. È sempre stata una cornice che la comunicazione mediatica ha utilizzato per commuovere il pubblico.
Eppure, troppo spesso, questo porta ad un’eccessiva semplificazione del fenomeno migratorio, sottolineato anche da un altro intervistato, che spiega:
Nel complesso, quando si presenta un problema su minori che hanno subito sofferenze o violenze, il pubblico tende ad ascoltare. Tuttavia, questo significa che stiamo offrendo solo pezzi di un puzzle, un puzzle che invece sarebbe utile vedere per intero.
- Fattori che guidano la cronaca giornalistica
Le violazioni o la mancanza di diritti che colpiscono un minore sono stati riconosciuti come parte dei fattori che portano i giornalisti a raccontare dei minori rifugiati. Una cornice di pietà è spesso applicata dai media, con una tendenza a concentrarsi anche sulla violenza fisica e sugli episodi tragici, come i casi di naufragi nel Mediterraneo. Come afferma un intervistato, “Di solito, se si dà alla migrazione un’angolazione più ‘umana’ sui media è perché si parla di un bambino morto […]. Eppure, anche questo non dura a lungo. C’è un momento di picco e poi si torna al silenzio”. Un’altro intervistato offre un’importante riflessione che porta alla luce le conseguenze di questo tipo di focus:
Quando si parla di bambini, trovo molto più facile ottenere l’attenzione e l’empatia dei giornalisti. Quando c’è un naufragio, ad esempio, una delle prime domande che ricevo dai giornalisti è “quanti bambini c’erano a bordo?”. Questo perché se il giornalista scrive “c’erano anche 10 bambini a bordo”, purtroppo l’articolo diventa un articolo più “accattivante”; è più commovente, più impressionante, può fare la prima pagina. Se muoiono solo gli adulti, non è la stessa cosa. Se ci sono minori coinvolti, i giornalisti sanno che la notizia diventa più drammatica. Quindi, da questo punto di vista, possiamo dire che la tragedia dei bambini migranti semplifica il lavoro di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
L’attenzione verso i minori migranti ha un altro impatto significativo e contrastante, come dimostrato da questa citazione:
I fattori su cui si concentra la copertura mediatica dei minori da parte dei giornalisti sono eventi tragici che non sono legati alle sfide della vita quotidiana che i bambini migranti affrontano, ma che fanno notizia. Molto spesso il bambino viene escluso del tutto dalla comunicazione con i media, mentre il focus è posto sulla criminalità dei migranti in generale, che è sempre un elemento che attira più attenzione. O quello che fa notizia è lo spacciatore minorenne. C’è una narrazione sempre più basata sulla paura, e anche i bambini e gli adolescenti sono entrati in questa narrazione. Non è vero che gli italiani non vogliono rifugiati: gli italiani devono essere messi in condizione di non temere i rifugiati.
In questo contesto, e in aggiunta ai cinque principi fondamentali del giornalismo etico, la EJN ha compilato una linea guida specifica per la migrazione. I punti esposti in questa guida sono utili per affrontare il problema evidenziato da questo intervistato. Allo stesso modo, il Media Diversity Institute ha prodotto un manuale su come riportare le storie dei migranti contrastando l’incitamento all’odio.
- ONG / agenzie delle Nazioni Unite come fonti
I risultati mostrano un consenso generale e la percezione che le organizzazioni siano utilizzate regolarmente dai media come fonti autorevoli sulla migrazione (in contrasto con la piccola percentuale indicata da Berry et al. 2016). Come affermato da uno degli intervistati:
Organizzazioni come la nostra diventano un canale, una fonte fondamentale per i giornalisti, perché siamo sul campo, vediamo le cose per primi, a partire dagli arrivi delle barche e dai problemi di sicurezza all’interno dei centri di accoglienza. Diventiamo così come una sorta di agenzia di stampa: siamo i primi a fornire informazioni, siamo i primi a spiegare e raccontare.
Alcuni degli intervistati hanno riconosciuto e lodato una serie di giornalisti con cui hanno costruito relazioni positive, che hanno contribuito a raccontare storie che altrimenti sarebbero rimaste inascoltate. Ciò nonostante, è stato specificato da alcuni intervistati che questo è più frequente nel caso della stampa di sinistra. Quella di destra sembra ritrarre non solo i migranti, compresi bambini e adolescenti, sotto una luce negativa, ma anche le organizzazioni stesse. Secondo uno degli intervistati, un’organizzazione in particolare è stata spesso presentata dalla stampa di destra senza condurre alcune verifiche dei fatti o senza consentire ai suoi rappresentanti di parlare.
In relazione alle pratiche dei media in questo contesto, l’Unione Nazionale dei Giornalisti per il Regno Unito e l’Irlanda, attraverso una collaborazione con l’UNHCR, ha pubblicato utili linee guida per i giornalisti sulla copertura dei rifugiati.
- I bambini come fonti d’informazione
Quando si parla di bambini e adolescenti rifugiati come fonti d’informazione, c’è una preoccupazione condivisa sui potenziali pericoli di mettere i giornalisti in contatto diretto con i minori, e una tendenza da parte delle organizzazioni a “proteggere” i minori dall’esposizione diretta ai media. Alcuni degli intervistati hanno attribuito ciò a ragioni legate alla tutela del minore dal rischio di strumentalizzazione. Altri hanno menzionato la possibilità di ritraumatizzazione quando al bambino viene chiesto di raccontare la storia del suo viaggio e delle sue lotte, perché questo fa notizia e vende nei media. Un altro intervistato ha fatto riferimento alle complesse sfide burocratiche da superare per consentire ad un minore di parlare nei media, indicandole come ostacoli che molti giornalisti e organizzazioni non hanno il tempo o le risorse per affrontare.
Il ruolo del personale sul campo in queste organizzazioni è anche quello di raccogliere le voci di bambini e adolescenti (anche grazie alle loro competenze linguistiche), che vengono poi presentate ai giornalisti attraverso l’attività di ufficio stampa dell’organizzazione. Uno degli intervistati riflette criticamente su questo processo:
In generale, non parliamo ancora di storie e i migranti non vengono utilizzati come fonti. Si parla di migrazione senza le voci dei migranti, ma soprattutto con quelle dei politici e dei giornalisti italiani. E anche noi, ONG, siamo un pò responsabili poiché parliamo a loro nome.
- Problemi derivanti dalla narrativa attuale
Quando è stato chiesto di discutere i problemi causati dalla narrativa attuale, una serie di questioni sono state identificate dagli intervistati, in particolare in riferimento all’impatto che l’attuale copertura mediatica sta avendo sul pubblico. Il modo in cui la narrativa sui bambini e sugli adolescenti rifugiati è attualmente modellata porta a pregiudizi e trasmette un’idea molto superficiale di questi gruppi, creando empatia a breve termine. L’attenzione data ai numeri ed alle questioni geopolitiche legate alle aree da cui provengono i minori ha portato anche alla loro disumanizzazione, mentre l’alzare la voce da parte di alcuni politici e lo spazio che questi ottengono sui media hanno un impatto molto negativo sulla percezione del pubblico, che sta diventando sempre meno accogliente. Questa citazione esprime chiaramente quale sia il risultato dell’attuale narrativa all’interno dei media:
Raccontare le storie di bambini e adolescenti rifugiati è diventato incredibilmente difficile al momento. Siamo passati da un paese sorridente, compassionevole, informato, pronto ad aiutare, ad un paese stanco, spaventato, violento, intollerante.
- Differenze nelle rappresentazioni dei bambini rifugiati e degli adolescenti rifugiati
Infine, sono state riconosciute anche alcune differenze tra la rappresentazione dei bambini e quella degli adolescenti nei media, con concordanza sul fatto che i giornalisti che scrivono di bambini più piccoli hanno maggiori probabilità di generare solidarietà. Come indica uno degli intervistati:
Se parliamo di bambini, è più probabile che il pubblico provi compassione e maggiore accettazione. Se parliamo di adolescenti, che sembrano giovani, c’è già una reazione diversa.
Gli adolescenti sono spesso visti, anche dai media, come giovani uomini, e la stampa di destra in particolare alimenta questa rappresentazione anche attraverso l’uso di determinate immagini, secondo l’intervistato. Spesso si cerca di trasmettere l’idea dell’adolescente non come un vero adolescente, al fine di suscitare paura. Quindi, a causa di questa loro rappresentazione, il gruppo degli adolescenti non genera lo stesso tipo di empatia dei bambini più piccoli.
Come il giornalismo può fare una differenza positiva
Oltre a sottolineare la necessità di storie più positive, gli intervistati hanno presentato le loro vedute su dove i giornalisti dovrebbero concentrarsi per fornire una narrazione e rappresentazione più accurata e coerente dei bambini e degli adolescenti rifugiati. Queste possono essere riassunte nei seguenti punti:
- I bambini come titolari di diritti – Rappresentare i minori come individui emancipati, piuttosto che vittime senza speranza, potrebbe sviluppare una maggiore accoglienza da parte del pubblico. Consentirebbe al pubblico di vedere il potenziale che i bambini e gli adolescenti rifugiati hanno di contribuire alla società italiana e contrasterebbe l’attuale percezione dei bambini e adolescenti rifugiati come persone in bisogno costante di supporto;
- Il loro arrivo in Italia – Il pubblico italiano non è informato su ciò che i minori attraversano dopo il loro arrivo, insieme alle sfide amministrative, legali e sociali che devono affrontare. Una maggiore consapevolezza in merito aiuterebbe a dipingere un quadro più accurato della complessa situazione che questi minori devono affrontare nella loro nuova realtà;
- Il processo di integrazione – Storie relative ad esperienze di integrazione che hanno avuto successo dovrebbero essere presentate al pubblico con frequenza regolare. In questo contesto, il fattore di “regolarità” è importantissimo. Mentre è vero che sui media sono presenti, di tanto in tanto, le esperienze di migranti che si sono integrati con successo nelle comunità in cui adesso risiedono, questo non avviene con frequenza sufficiente per sviluppare nel pubblico un forte senso di accoglienza e una confidenza più profonda verso i nuovi arrivati, soprattutto nel caso dei bambini;
- I punti in comune tra bambini rifugiati e bambini italiani – concentrandosi sulle somiglianze dell’esperienza di essere bambini, piuttosto che evidenziare le differenze nei due percorsi del locale e del rifugiato, offrirebbero una rappresentazione che potrebbe facilitare l’inclusione sociale dei bambini e adolescenti rifugiati.
Nelle parole di uno degli intervistati di questo studio, “Abbiamo bisogno di un giornalismo che sia più ‘costruttivo’, che sia la chiave per smettere di offrire solo cattive notizie e presentare invece un’indagine che non solo esamini una situazione di disagio, mancanza di sicurezza e sofferenza, ma che metta al centro anche cosa si può fare o cosa si è fatto per affrontarla”. Allo stesso modo, un altro intervistato ha suggerito che “l’attenzione non dovrebbe essere concentrata sul bambino stesso, ma su una serie di elementi che determinano le circostanze attuali di una categoria così vulnerabile, e quali dovrebbero essere le soluzioni a questi problemi”. È interessante notare che lo studio del WACC Europe (2017) ha anche sottolineato che “il giornalismo che vuole suscitare compassione corre il rischio di enfatizzare eccessivamente il rifugiato come vittima. Quindi, piuttosto che compassione, i giornalisti dovrebbero mirare all’empatia, permettendo alla persona di esprimersi e coprendo la questione da una prospettiva di comprensione, basata sui fatti” .
Dal punto di vista dei portavoce delle organizzazioni intervistati, è stata raccomandata l’adozione di strategie e tecniche di comunicazione specifiche per iniziare ad offrire una rappresentazione più utile dei bambini e degli adolescenti rifugiati:
- è necessaria una riformulazione generale delle storie sui bambini e adolescenti rifugiati, che non dovrebbe solo presentare casi positivi, ma anche fornire ai membri del pubblico una comprensione di come essi stessi possano contribuire personalmente a tali successi. Invece di lasciare che il pubblico si senta impotente di fronte a quanto ciò presentato dai media, queste storie dovrebbero anche comunicare quali soluzioni sono disponibili. Uno dei modi in cui questo nuovo quadro può essere realizzato è la creazione di alleanze tra ONG/agenzie delle Nazioni Unite e media, alla ricerca di quei giornalisti e organi di stampa più disponibili; facilitare un cambiamento è utile per aprire spazi diversi, per esercitare pressioni culturali e per assicurarsi che la storia della migrazione non sia raccontata solo in relazione a notizie specifiche che tipicamente hanno un sottofondo negativo.
- avvalersi dei mediatori culturali per parlare con i giornalisti è un altro metodo per presentare le storie di migranti, comprese le esperienze di bambini e adolescenti, in modo positivo e informato. I mediatori culturali sono spesso essi stessi rifugiati e un esempio di una storia positiva: sono fuggiti da una situazione pericolosa, a volte in giovane età, si sono integrati con successo nella società italiana e ora non solo sono impiegati, ma cercano anche di aiutare gli altri nella loro situazione attraverso il loro lavoro.
- un reportage mediatico che svela un filo chiaro e tangibile tra le due realtà del locale, da un lato, e del migrante, dall’altro, favorisce la formazione di un legame tra il cittadino e il bambino rifugiato. Questo è fondamentale per consentire al pubblico di visualizzare ciò che lega l’identità di un bambino locale nel suo contesto immediato, a quella di un bambino proveniente da un’altra parte del mondo, che arriva in Italia per ragioni a volte troppo complesse da capire per il pubblico, soprattutto quando non ne viene offerto un racconto adeguato. Allo stesso tempo, è essenziale rivolgersi anche ai giovani locali per creare questa connessione e lavorare per sviluppare empatia, comprensione e accettazione. Le generazioni più giovani sono quelle che dovranno vivere fianco a fianco con gli attuali bambini migranti. Perciò, i media giocano un ruolo chiave nel contribuire al cambiamento sociale positivo, educando i giovani affinché si pongano le basi per una società più informata e inclusiva.
Una visione per il cambiamento
Mentre la rappresentazione dei bambini e degli adolescenti rifugiati in Italia è guidata da una serie di dinamiche che influenzano il panorama dei media, le idee qui presentate offrono un’altra prospettiva da esplorare da parte dei media, che si allontana dall’analisi dei contenuti e presenta visioni più informate dal contesto vero e proprio. Le opinioni su questa narrativa da parte delle organizzazioni che sono state coinvolte nella risposta ai rifugiati in Italia, sono utili per incentivare una riflessione sull’impatto che la copertura mediatica attuale sta avendo sulla società. Ci permettono anche di considerare i modi in cui la narrazione può essere riformulata verso una visione di cambiamento sociale più ampio, che potrebbe trasformare il modo in cui il popolo ospitante vive la migrazione, specialmente in relazione alle esperienze dei bambini e adolescenti immigrati.
Non si può negare che “i media nei paesi in prima linea della crisi migratoria europea potrebbero produrre un giornalismo elegante e professionale, di cui essere orgogliosi, in un paese in cui i media, lentamente ma in modo dimostrabile, stanno imparando dai loro errori” (Macannico 2015: 31). I concetti introdotti in questo articolo si spera possano essere un punto di partenza per lo sviluppo di migliori pratiche mediatiche nel contesto della migrazione, al fine di riflettere e generare approcci che possano influenzare positivamente la situazione a lungo termine dei bambini e degli adolescenti rifugiati, sia durante che a seguito di questo periodo di spostamenti .
Fonti utilizzate
Berry, M., Garcia-Blanco, I. and Moore, K. (2016) Press Coverage of the Refugee and Migrant Crisis in the EU: a content analysis of five European countries, United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR), Geneva
Figenschou, T.U., Beyer, A. and Thorbjørnsrud, K. (2015) The Moral Police. Agenda setting and framing effects of a new(s) concept of immigration, Nordicom Review, Vol.36, No.1, pp.65-78
Georgiou, M. and Zaborowski, R. (2017) Media Coverage of the “Refugee Crisis”: a cross-European perspective, Council of Europe, Strasbourg
ICMPD (2017) How does the Media on Both Sides of the Mediterranean report on Migration? – A study by journalists, for journalists and policymakers, International Centre for Migration Policy Development, Vienna
Macannico, Y. (2015) A Charter for Tolerant Journalism: media take centre in the Mediterranean drama, pp.25-31 in White, A. (Ed.) Moving Stories. International review of how media cover migration, Ethical Journalism Network (EJN), London
WACC Europe (2017) Changing the Narrative: media representation of refugees and migrants in Europe, World Association for Christian Communication – Europe region (WACC Europe) and Churches’ Commission for Migrants in Europe (CCME), London
Per contattare l’autrice
Dr Valentina Baú|[email protected]|Linkedin|Academia.edu|
In copertina: Un giovane ospite della Casa Saltatempo Brodolini 24 di Cinisello Balsamo. Foto di Marina Petrillo, 2017.
Traduzione a cura di Chiara Valenti