Le loro braccia hanno raccolto frutta e verdura che hanno riempito ogni giorno gli scaffali dei supermercati, anche nell’anno della pandemia. Solo un anno fa, dalla Puglia all’Abruzzo, passando per la Campania, le aziende agricole ne lamentavano la mancanza e si organizzavano corridoi aerei per portarli a lavorare i campi del paese. Ma gli stranieri irregolari che coltivano le campagne d’Italia, con le più originali forme di lavoro grigio e con salari da fame, rimangono invisibili. In sei mesi, su 207 mila domande di regolarizzazione presentate nel quadro della sanatoria inclusa nel decreto rilancio di maggio 2020, sono solo 1.480 i permessi di soggiorno rilasciati, lo 0,71% delle pratiche inoltrate. Il provvedimento emergenziale era nato dalla necessità di far emergere l’esistenza di migliaia di stranieri bloccati nello Stivale o clandestini al termine di un contratto di lavoro stagionale. Persone impiegate in alcuni dei settori economici più importanti, vista l’emergenza sanitaria, come quello della cura della persona e della filiera agro-alimentare. Persone che non hanno accesso ai diritti più basilari, che restano fuori dai radar delle istituzioni anche quando queste decidono di occuparsene.
Abbiamo monitorato i risultati della #regolarizzazione2020. I dati del Ministero dell'Interno e di questure e prefetture non sono incoraggianti e i ritardi sono macroscopici.
Ne parliamo in questo dossier 👉 https://t.co/oG1Y1N0zvV pic.twitter.com/HaobnvhHYT— Ero Straniero – L'umanità che fa bene (@Ero_Straniero) March 4, 2021
I dati che le associazioni che compongono la rete Ero Straniero hanno raccolto dalle singole prefetture mostrano infatti un quadro desolante. Al 16 febbraio solo il 5% delle domande a livello nazionale era giunto alla fase finale della procedura. Di questo passo ci vorrebbero anni per completare l’analisi di tutta la documentazione. Anche dove le cose stanno andando meglio, come a Bari, con circa l’11% di permessi rilasciati e ancora oltre 4mila domande da analizzare, sarebbero circa 300 giorni i giorni lavorativi necessari per arrivare alla risoluzione di tutte le pratiche. A Milano 30 anni. Sono 289 su 26 mila, infatti, le istanze arrivate in fase istruttoria nel capoluogo lombardo. Nel ritardo generale, alcuni territori si distinguono in peggio: oltre 40 prefetture ammettono di non aver avviato alcuna pratica. Le ragioni sono riconducibili alla mancanza di personale aggiuntivo, da impiegare sulle centinaia di migliaia di domande pervenute, e all’emergenza sanitaria che rende impossibile una velocizzazione delle convocazioni in presenza negli uffici amministrativi.
La sanatoria rispondeva anche all’evidente necessità di manodopera straniera, proprio nel momento in cui si serravano i confini nazionali. Criteri di selezione restrittivi permettevano non a caso soltanto a badanti, colf e lavoratori agricoli stagionali di intraprendere la trafila burocratica. Secondo il ministero dell’Interno, le oltre 200 mila domande presentate l’anno scorso sarebbero così scomposte: 85% impiegati nel settore domestico, 15% nel comparto agricolo. Dunque sono poco più di 30 mila i braccianti che hanno provato a uscire dall’invisibilità attraverso questo provvedimento, utilizzando il comma 1 della sanatoria, che prevedeva l’emersione attraverso una segnalazione del datore di lavoro.
Altre 11 mila persone hanno presentato istanza per un permesso di soggiorno denunciando autonomamente la propria posizione. Si trattava della possibilità prevista dal comma 2 della sanatoria, il canale rivolto agli stranieri irregolari (al 31-10-20, non oltre) che potessero dimostrare di essere stati impiegati in determinati ambiti. Clausole escludenti che hanno contribuito ad abbattere il numero di domande presentate. Se il paletto settoriale escludeva, ad esempio, tutti i lavoratori stagionali del turismo, al contempo quello temporale restringeva la platea di braccianti che potessero inviare la documentazione. In questo caso, peraltro, la macchina amministrativa dello Stato ha registrato performance di gran lunga migliori, con il 68% di permessi già rilasciati. Un dato che si spiega con la maggiore velocità della pratica – attraverso kit postale – che non prevede la convocazione nei locali della questura. Una modalità che, vista la situazione emergenziale, poteva essere estesa anche al comma 1 della sanatoria.
Secondo quanto stimato dall’ultimo rapporto FLAI Cgil sarebbero oltre 180 mila i lavoratori irregolari soggetti a fenomeni di sfruttamento e caporalato nel settore agricolo in Italia. Se dunque anche considerassimo lavoratori agricoli tutti gli 11 mila che hanno fatto ricorso al secondo comma e li sommassimo ai 30 mila in attesa di convocazione, ci troveremmo di fronte a poco più di 40 mila lavoratori in cerca di regolarizzazione. Un provvedimento dunque, quello di maggio 2020, che riuscirebbe a far emergere, temporaneamente, il 22% degli invisibili nelle nostre campagne. Nel migliore dei casi e sempre nei limiti delle tempistiche sopra riportate.
La filiera agroalimentare che si dipana dal nostro frigorifero ai ghetti sparsi nelle province agricole del paese poggia su migliaia di lavoratori privati dei diritti basilari che, durante la pandemia, si sono trovati sprovvisti di qualsiasi accesso a cure, servizi, aiuti pubblici. Il ricorso alla manodopera straniera in Italia è strutturale ma resta scarsamente regolarizzato. Il numero di italiani dediti all’agricoltura si è ridotto di due terzi negli ultimi trent’anni. Quello di stranieri è cresciuto di 15 volte nello stesso periodo, secondo i dati del Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura. Eppure tantissimi non riescono a uscire dalla zona grigia dell’irregolarità che sembra elemento endemico del sistema agricolo di produzione, non solo italiano.
“Un lungo fil rouge che attraversa le campagne europee”. Così l’associazione Terra! definisce lo sfruttamento che caratterizza le condizioni lavorative nel settore agricolo dei tre paesi presi in considerazione nel rapporto E(U)xploitation. Il caporalato: una questione meridionale. Italia, Spagna, Grecia. Lo squilibrio di potere di contrattazione nei confronti della grande distribuzione, che si traduce in pratiche anche vessatorie nei confronti delle piccole aziende, crea condizioni simili nei paesi del Mediterraneo. I pagamenti a nero e a cottimo, l’assenza di controlli e di norme adeguate e l’informalità delle economie sono caratteristiche comuni a tutti e tre i paesi. I ghetti di Huelva, gli agglomerati di Rosarno, le baracche di Manolada ne sono l’espressione più impietosa, immagini interscambiabili che sottendono alle stesse logiche di profitto.
In Italia la normalità è rappresentata dalla piaga del lavoro grigio, che si è diffusa in modo ancora più strutturale a seguito dell’approvazione della legge anti caporalato del 2016 e la conseguente diminuzione del ricorso al lavoro nero. Si tratta di accordi tra il lavoratore e l’imprenditore agricolo che si assicura il lavoro continuativo del dipendente senza mai registrare più di 180 giornate, il numero di ore necessario alla disoccupazione agricola. Sacche di irregolarità che si traducono in condizioni di subalternità e in alcuni casi in vero e proprio sfruttamento del lavoratore straniero. Il fenomeno dei falsi braccianti, con persone che accedono illegalmente a sussidi pubblici, è più diffuso nel Foggiano, mentre il lavoro a cottimo e il pagamento a mazzetti sono particolarmente diffusi nell’Agro Pontino, ma anche altrove.
L’impiego di manodopera straniera è preponderante anche nella penisola iberica, declinato e legalizzato attraverso il sistema della contractación en origen, il reclutamento diretto di lavoratori in paesi terzi, in particolare dal Marocco, e il ricorso alle ETT, le agenzie interinali del lavoro spagnole. Nonostante quello spagnolo venga spesso dipinto come un modello da imitare per colmare la domanda di manodopera bracciantile, le violenze e le irregolarità sono realtà quotidiana nelle campagne del Sud del paese. In particolare l’associazione Terra! rileva una forte discriminazione di genere verso le lavoratrici marocchine, selezionate perché considerate maggiormente propense al ritorno e meno problematiche, sottoposte a ogni genere di violenza. Il sistema di reclutamento tramite agenzia poi, denunciano i sindacati, servirebbe a non applicare contratti collettivi che prevedono maggiori tutele per i lavoratori.Le condizioni di lavoro non sono affatto migliore ad Est della penisola. In Grecia la persistente atomizzazione delle imprese – piccole e medie rappresentano il 98,4% del totale – e la conduzione prevalentemente familiare delle stesse condizionano fortemente i rapporti commerciali con la grande distribuzione, con una ricaduta verticale sul costo e sulle condizioni del lavoro. Nel paese il 90% della manodopera è composto da migranti. Un lavoratore su dieci è in possesso di un documento che ne sospende l’espulsione grazie all’impiego presso un’impresa agricola. Una possibilità, che praticamente vincola gli immigrati al lavoro agricolo per evitare di essere cacciati dal paese, comunque non accessibile a tutti. Il caporalato è fenomeno diffuso, quanto e più che nelle nostre campagne, e tantissimi sono i lavoratori in condizioni di completa subalternità rispetto al datore di lavoro. I controlli sono scarsi e il quadro normativo ancora molto confuso, secondo quanto riportato dall’indagine di Terra!.
Dinamiche molto simili, se non per qualche sfumatura normativa, in tre paesi che sono tra i principali produttori ed esportatori mondiali di kiwi, asparagi, fragole e tanto altro. Frutta e verdura che hanno continuato a riempire i supermercati a prezzi modici, scontati del lavoro irregolare di migliaia di lavoratori sommersi che vivono spesso in condizioni disumane. Con il fallimento dell’ennesimo provvedimento adottato secondo una logica emergenziale si palesa la necessità di una norma complessiva che affronti il tema dell’immigrazione puntando a una regolarizzazione su base individuale degli stranieri radicati sul territorio. Ero Straniero è la proposta di legge popolare che mira a programmare canali di ingresso per il lavoro e programmi di inserimento attivo per la popolazione straniera in Italia. Attualmente al vaglio della Commissione Affari Costituzionali della Camera, la proposta vuole rappresentare una risposta integrata al fenomeno migratorio nel suo complesso, un piano per promuovere nuove norme per il permesso di soggiorno e l’inclusione sociale e lavorativa dei cittadini stranieri. Basi che permetterebbero a decine di migliaia di persone di uscire dalla condanna all’invisibilità e dalla condizione di vulnerabilità che li rende il primo anello fragile di una lunga catena che arriva fino alle nostre tavole.
In copertina: bracciante in una serra di Pianoro, in provincia di Bologna (Aprile 2020). Foto di Arianna Pagani