All’incirca un anno fa, quando venne chiuso il passaggio da Ventimiglia, diversi migranti si riversarono fra le strade della Val di Susa. A cambiare era solo la scenografia. L’obbiettivo restava quello di raggiungere la Francia, a tutti i costi. A 1.762 metri di altezza, molti di loro trovarono qualcosa più di una “mulattiera domenicale”, vale a dire un sentiero di montagna solitamente battuto da famiglie e amatori: trovarono anche speranza, la rinnovata possibilità di raggiungere un vero benessere, più cure, meno burocrazia, i propri cari o, semplicemente, quella che molti chiamano “libertà”. Ora dell’agosto del 2017, più di 400 persone avevano illegalmente attraversato la frontiera percorrendo il Colle della Scala.
“L’estate scorsa” – cioè quando Bardonecchia non era ancora al centro dell’attenzione dei media – “i controlli erano di meno”, mi aveva raccontato una volontaria, e ne scrivemmo poi qui su Open Migration a gennaio. Le forze dell’ordine si occupavano per lo più dei NoTav. Per quei migranti che arrivavano dal Ghana, dalla Costa d’Avorio, dal Mali, tutto era nelle mani della sorte – che dipendeva principalmente da due fattori: la tempra e baldanza dei giovani da un lato, e le condizioni meteorologiche dall’altro. Ma il clima alpino è noto per essere imprevedibile. Quando l’inverno è arrivato, la sorte è mutata alla stregua del meteo – consegnando così alla montagna disperazione e paura.
Ogni giorno arrivavano in città venti o trenta persone, e nonostante le temperature glaciali e la completa mancanza di informazioni sul territorio, sul percorso o sulle complicazioni della neve ad alta quota, almeno nove persone su dieci decidevano di partire lo stesso. Per questo motivo RSI (Rete Ferroviaria Italiana) ha dato in concessione a Rainbow4Africa un piccolo spazio all’interno della stazione. Ogni sera erano presenti un medico dell’associazione e un avvocato, che parlavano coi migranti; l’avvocato si premurava di visionare velocemente i loro casi, consigliando loro cosa fosse preferibile fare; offrivano loro un pasto, davano loro una branda e vestiti. Il domani, poi, era nuovamente nelle mani della sorte. Ma almeno avevano gli scarponi.
L’inverno ha lasciato testimonianze tragiche. Un migrante, prima del grande freddo incominciato a dicembre, aveva attraversato la frontiera indossando delle scarpe da ginnastica. Arrivato dall’altra parte, hanno dovuto amputargli le gambe per assideramento. Oggi vive a Briançon, il primo centro abitato oltre il confine, dove il sindaco ha messo a disposizione diverse case comunali – abitate da chiunque sia intenzionato a rimanere, o che comunque debba rimanere in città per più di qualche giorno – e una ex caserma degli alpini, dove sorge il centro d’accoglienza di Tous Migrants.
Fuori dal centro Tous Migrants c’è un parcheggio. È mezzogiorno. Scendo dall’auto e conto una quarantina di persone, tra migranti e locali. Alcuni volontari del centro sono restii a parlare con la stampa. Ci sono diverse donne incinte, molti minorenni – alcuni sono bambini di due o tre anni – che dovrebbero essere presi in custodia dallo Stato francese e curati e diventare titolari di uno status legale privilegiato. Ma questo non accade quasi mai, come non accadeva durante l’inverno. Alcune persone giocano a carte, altri fumano un po’ nervosamente. Alcuni stanno aspettando di pranzare, altri temporeggiano, cercando di decidere se rimettersi in viaggio verso Lione, o Parigi, o se restare al centro un po’ più a lungo. Molti migranti non si confidano, ma il loro silenzio non è diffidenza, solo il mutismo tipico di chi è esasperato. In un anno si conta che siano 5 mila le persone transitate dal centro. Il giorno che sono lì io, ce ne sono più di cento.
Qualche mosca ronza fra le stanze del centro d’accoglienza. Dopo un po’ qualcuno se la sente di aprirsi e parlare. Mori, 15 anni, è originario della Costa d’Avorio; Seku ne ha 17, e viene dal Mali. Hanno fatto il Colle della Scala, camminando per più di sei ore. “Sono arrivati nella notte”, racconta Pauline Rey, una delle volontarie di Tous Migrants. “Rispetto a quest’inverno i rischi sono diminuiti, ma il problema resta”. Qui gli aiuti della comunità locale sono avallati anche dal sindaco, non a caso mal visto dal governo centrale. Diverse famiglie in città offrono vitto e alloggio ad alcuni migranti, gratuitamente.
Sebbene la sede della Gendarmerie si trovi a un centinaio di metri dal centro, “con la polizia non ci sono mai stati problemi. Conoscono benissimo la situazione. Decidono di non intervenire perché c’è copertura mediatica. E poi, comunque, anche i loro controlli sono totalmente arbitrari; ci sono giorni in cui fermano tutti, altri in cui nemmeno escono dagli uffici”. Pauline parla della stessa polizia francese che a marzo aveva fatto irruzione nel centro di Bardonecchia. In quel periodo, proprio a causa dell’intervento della polizia di frontiera e dell’eco mediatica, il centro d’accoglienza è cambiato.
Oggi ci sono meno brande rispetto allo scorso inverno, e i locali adibiti all’assistenza sono solo due. “In realtà questo è un punto informativo”, mi dice l’assessore alle politiche sociali di Bardonecchia, Piera Marchello. “Benché non sia inverno, la pericolosità della tratta permane, perciò la soluzione migliore è informare, dare consigli”. Anche legali. “L’informazione”, ci dice, “è fatta dai mediatori culturali”, che conoscono la lingua, i rischi e il territorio. “Detto questo, se ci sono degli arrivi chiunque può fermarsi per la notte. Rainbow4Africa e Caritas, con l’ausilio della comunità locale, continuano a presidiare il centro durante la notte”.
Al di là delle informazioni e di un pasto caldo, a Bardonecchia è stata sancita una singolarità giuridica che protegge l’incolumità di chiunque tenti la traversata. Normalmente non ci si può allontanare da un centro d’accoglienza per più di 72 ore, pena l’impossibilità di tornarci. Invece il dottor Saccone, prefetto del comune, ha concesso a chiunque si allontani di poter ritornare comunque al centro di Settimo, gestito dalla Croce Rossa della Val di Susa. “Da febbraio a giugno sono arrivate più di 1500 persone, fra cui molti minorenni”, sottolinea Piera Marchello. L’obiettivo adesso è sperimentare la stessa forma di “spot informativo” anche a Oulx, che dista pochi chilometri da Bardonecchia, all’interno di un edificio dei Salesiani. Il tutto vedrà la luce tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno – in vista dell’inverno.
La stratificata e consolidata rete di Bardonecchia stride tuttavia con quello che è diventato il simbolo dell’assenza di istituzioni e un’icona di degrado, nonché la principale causa della riduzione degli arrivi da Torino a Bardonecchia: “Chez Jesus”, cioè “Da Gesù”. Così ironicamente soprannominato dagli stessi occupanti – un collettivo che dice di essere “nato in modo inconsapevole e non deliberato”.
Era il 22 marzo. Dapprima uno striscione: “la frontière est un péché. Laissez-nous passer”, cioè “la frontiera è un peccato, lasciateci passare”. Alcuni attivisti di Briser les frontières, NoTav e NoBorders hanno occupato i locali della chiesa di Claviere, piccola cittadina turistica sul confine a pochi metri dalle piste da sci da fondo, usate da molti migranti come alternativa più praticabile al Colle della Scala: via meno impervia ma più esposta allo sguardo della polizia di frontiera.
“Da mesi portiamo avanti pratiche di solidarietà, ora vogliamo creare un problema politico. Vogliamo colpire la frontiera”, avevano dichiarato gli attivisti di Chez Jesus a marzo. L’idea alla base dell’iniziativa sarebbe quella di aiutare e informare, però mancano legali o medici; e il centro è totalmente sganciato dalle istituzioni.
L’assessore Piera Marchello dice che Chez Jesus è “pericoloso anche per una questione igienico-sanitaria”. Gli spazi sono angusti, stretti, sporchi, e trasmettono più disagio che speranza. Gli occupanti sono osteggiati dalla comunità locale – che pure si è sempre mossa in favore di migranti in difficoltà, infreddoliti e bisognosi di un tè caldo – e dal sindaco, che non concepisce la totale incapacità di affidarsi in parte alle istituzioni anche solo per regolamentare il sito; e poi gli occupanti sono mal visti anche dal parroco, perché hanno imbrattato di scritte le pareti della chiesa.
Dal prato che circonda la chiesa si ha una prospettiva privilegiata sul sentiero che intraprendono i migranti. Un’attivista indica il passaggio ad alcuni di loro. Percorrono un tratto di strada insieme e poi lei torna indietro. Se proseguisse, infatti, potrebbe essere accusata di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Esemplificativo è il caso di Benoît, la guida alpina sessantenne di Briançon che oggi rischia cinque anni di carcere. Aveva cercato di portare una donna nigeriana incinta in un ospedale, in territorio francese.
In seguito a un incontro tra sindaco e attivisti, l’occupazione di Chez Jesus è stata dichiarata “non autorizzata ma tollerata”. Ma il sindaco Franco Capra dice, “come Comune abbiamo aderito al progetto di accoglienza istituito dalla Prefettura di Torino. Spingere le persone a raggiungere la Francia, alimentare false aspettative, speculare sui loro bisogni, allontanarle da un paese come il nostro, in cui sono assistite e accolte, è ingiusto. Soprattutto nei loro confronti”. Molto spesso, infatti, i migranti non sanno che valicare il confine illegalmente significa perdere quei (pochi) diritti conquistati a fatica in Italia.
Mustapha ha 27 anni e ha passato le ultime 24 ore a camminare, prima di arrivare a Chez Jesus, in attesa di varcare il confine attraverso le montagne. Viene dalla Sierra Leone e in Italia c’è stato per due anni, a Urbania. Mi dice che quelli di Chez Jesus non gli hanno fornito particolari informazioni – tra le tante mancanti c’erano quelle forse fondamentali: dove andare e in che modo – e non c’erano nemmeno vestiti. Quando l’ho incontrato era in ciabatte, con dei calzettoni invernali, una t-shirt e dei pantaloni corti.
Mustapha aveva battuto il Colle della Scala in ciabatte. Se fosse stato inverno avrebbe potuto perdersi, o peggio. Questo era, ed è tutt’ora, il timore più grande per la comunità locale: trovare i corpi di qualche disperso, riconsegnati allo sciogliersi delle nevi. Finora, un cadavere è riemerso dal ghiaccio sul territorio italiano, due in Francia.
In copertina: alcuni migranti ospiti del centro di accoglienza Chez Jesus partono da Claviere nel tentativo di passare la frontiera attraverso il sentiero nei boschi per giungere in Francia. Claviere, 14 agosto 2018 (fotografia di Marta Clinco, come tutte le immagini di questo articolo)