Un documento pubblicato più di un anno fa all’interno di un’inchiesta giornalistica sul sito di FragDenStaat (Chiedi allo Stato), progetto tedesco dedicato all’accesso civico agli atti, ha provato l’esistenza di uno scambio, tra istituzioni europee e tunisine, di tecnologie e know-how in tema di controllo delle frontiere, risalente, almeno, all’aprile 2013.
Il documento pubblicato su FragDenStaat è datato 22 novembre 2019 e contiene informazioni su un Programma per il controllo della frontiera per la regione del Maghreb (BMP-Maghreb). Sul documento si legge che il progetto è «finanziato dall’Unione europea (Ue) e messo in atto dal Ministero dell’interno italiano» e da un ente europeo, obiettivo dell’inchiesta, chiamato Centro internazionale per lo sviluppo della politica migratoria (Icmpd).
Ѐ un dossier che serve a «fornire una spiegazione dettagliata su come le autorità tunisine in collaborazione con gli esperti europei: hanno colmato i gap e i bisogni della Guardia nazionale [in arabo al-Haras al-watani, un corpo paramilitare, erede della gendarmeria coloniale francese, che risponde al Ministero dell’interno e che svolge anche le funzioni di guardia costiera]; hanno analizzato le varie opzioni disponibili e proposte da diversi partner; hanno identificato le opzioni migliori in linea con la visione nazionale e gli standard internazionali [sul controllo delle frontiere marittime]; hanno risposto alle richieste di equipaggiamento e di attività di formazione [della Guardia nazionale]».
Molte organizzazioni internazionali hanno denunciato la violenza della Guardia nazionale tunisina. Ad aprile del 2019, un gruppo di oltre cinquanta associazioni impegnate in operazioni di search and rescue (Sar) nel Mediterraneo ha scritto sul sito di Alarmphone – una linea di emergenza per persone in pericolo in mare: «la guardia costiera tunisina colpisce le persone con bastoni, spara in aria o in direzione del motore [della barca], accoltella, compie manovre atte ad affondare le barche, chiede soldi in cambio di soccorso, e ruba i motori delle barche che cercano di scappare dal Paese, lasciando alla deriva le persone a bordo e conducendo a delle evitabili morti in mare».
Circa un mese prima della data riportata sul documento si sono tenute le elezioni presidenziali tunisine, il 13 ottore 2019. Con un tasso di partecipazione del 49% il candidato, e attuale presidente, Kais Saied ha vinto le elezioni al secondo turno. Con la sua vittoria i legami già esistenti tra istituzioni di vari paesi europei – Italia, Germania, Francia, Spagna, ma anche UK e USA – e la Guardia nazionale tunisina si sono rafforzati. Quasi due anni fa, la commissaria agli affari interni dell’Ue, Ylva Johansson, si è recata in Tunisia per incontrare diversi ministri, sottolineando -si legge sul sito della Commissione europea «la volontà di approfondire il partenariato [tra Tunisia e Ue] in cooperazione con i suoi stati membri, in uno spirito di “Squadra Europea”, [e] rafforzare il partenariato contro il traffico di esseri umani». Sul sito è riportato che «esperti da entrambe le parti stabiliranno i dettagli di questo partenariato, che permetterà delle azioni più efficaci contro la migrazione irregolare». Si legge, nella riga dopo, che «la Commissione [europea] ha riconosciuto gli sforzi fatti dalla Tunisia in questo campo [delle azioni contro la migrazione irregolare] e ha espresso la sua solidarietà». L’espressione di solidarietà dell’Ue verso il governo tunisino è legata a degli eventi cominciati il 21 febbraio 2023, poco prima del viaggio di Johansson.
Quel giorno sulla pagina Facebook della presidenza della Repubblica è apparso un video dove si vede Saied in una sala del palazzo presidenziale a Cartagine, circondato da una decina di uomini. Il presidente ha convocato il consiglio di sicurezza nazionale per affrontare «un piano criminale per cambiare la composizione demografica della Tunisia», come dichiarato dal presidente nel corso del monologo. Allo stesso tempo, su altri social media come Tik Tok e X, hanno cominciato a circolare fake news su un’invasione in corso nel Paese. Per esempio, video di gruppi di persone che camminano nel deserto, protestano per strada, o litigano con spettatori e taxisti a un ingorgo di auto, sono corredati da scritte in arabo: “un grande numero di neri attraversa il deserto in direzione della Tunisia”, “la Tunisia sotto occupazione”, “occupazione di diverse province tunisine da parte di africani subsahariani”. Tutto falso.
Le fake news alimentate da Saied e da Tik Tok sono presto sfociate in violenza razzista contro la comunità africana in diaspora in Tunisia. Molte delle vittime lavoravano da anni in Tunisia e parlavano arabo. La violenza si è rivolta verso i membri della diaspora, senza distinzione, tranne quella razziale. Compresi gli studenti stranieri. Avendo Saied detto che «certi individui hanno ricevuto grosse somme di denaro per dare residenza a migranti subsahariani», i locatori hanno sfrattato gli abitanti, mentre gruppi di persone armate distruggevano e saccheggiavano le case lasciate vuote. I datori hanno smesso di chiamare i lavoratori, soprattutto operai e domestici, mentre sono aumentati i controlli sul posto di lavoro. Alcune persone sono finite per strada. Altre per paura sono rimaste chiuse in casa per giorni. Sono aumentati i casi di aggressioni e ferite da coltello, anche nelle grandi città come Sfax.
Verso metà marzo centinaia di persone senza più un posto né un lavoro si sono accampate per protesta sotto i palazzi dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) a Tunisi, denunciando la condizione di insicurezza nel Paese e chiedendo un’immediata evacuazione umanitaria. Tra loro chi, come la comunità sudanese, si trova in Tunisia per rifugiarsi dalla guerra. Nonostante ci fossero donne incinta, bambini e malati, un’operazione di polizia ha sgomberato il sit-in con fumogeni e manganelli elettrici. Hanno arrestato circa 80 persone. Di quasi 30 non si hanno più notizie. Alcuni ricercatori hanno parlato di torture durante la detenzione, comprese le scosse elettriche. Un portavoce del Ministero dell’interno tunisino ha dichiarato che la polizia è stata chiamata dall’Unhcr, per rimuovere l’accampamento di rifugiati dalla soglia dei suoi uffici.
Dal mese di febbraio 2023 la condizione delle persone che si rifugiano, o attraversano la Tunisia per raggiungere l’Europa, è deteriorata. Ma neppure i cittadini tunisini sono al sicuro nel loro Paese.
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