Anthionia* racconta di essere stata reclutata a Benin (Nigeria) nel 2013 da una sua connazionale che, approfittando della sua condizione di profonda povertà e vulnerabilità, le ha proposto una vita migliore in Europa, promettendole un lavoro. Prima di partire è stata sottoposta a rito juju durante il quale ha giurato che non avrebbe detto a nessuno quello che le stava accadendo, pena la sua morte. Arrivata in Italia, al Cara di Mineo chiede asilo politico e alla Commissione asilo racconta la storia che le ha detto di raccontare il fratello della sua reclutatrice in Nigeria. Lo stesso che la costringe a scappare e a prostituirsi in diverse città italiane, fin quando Anthionia trova il coraggio e l’opportunità di scappare. Ignara dell’esito della sua prima richiesta di asilo, lo scorso mese di novembre, si reca in Questura a chiedere nuovamente protezione. La sua nuova domanda di asilo viene dichiarata inammissibile dalla Questura e viene accompagnata al centro di permanenza per i rimpatri di Roma, Ponte Galeria. Qui finalmente trova un ente antitratta, la cooperativa Be Free, e finalmente inizia il processo di emersione e identificazione formale del suo status di vittima di tratta, evitando il rimpatrio. La sua compagna di stanza a Ponte Galeria, Joy*, ha subito mutilazioni genitali femminili, ma, incredibilmente, non lo ha raccontato alla Commissione asilo. Anche lei è finita a Ponte Galeria perchè la Questura di Roma ha ritenuto la sua domanda reiterata pretestuosa, anche se basata su elementi nuovi (mutilazioni genitali certificate da un ospedale romano). Grazie ad un ricorso d’urgenza presentato dalla Clinica legale dell’Università di Roma 3, anche lei riesce ad evitare il rimpatrio.
Due storie, quelle di Anthionia e Joy che ricordano quanto accaduto ad altre 6 ragazze nigeriane che, recluse sempre nel CPR di Ponte Galeria, non hanno avuto la fortuna delle loro compagne di detenzione e rischiano il rimpatrio. Siamo alla fine di novembre 2019 e alla base della loro privazione della libertà, una interpretazione sbagliata del Decreto Salvini da parte della Questura di Roma che si reputa competente a decidere se una domanda reiterata di protezione internazionale, in fase esecutiva di espulsione, sia ammissibile o meno.
Eppure, il Tribunale di Roma ha più volte chiarito che solo la Commissione territoriale asilo può determinare se una seconda domanda di asilo basata su fatti nuovi è ammissibile o meno. Nel caso di Joy, il tribunale romano ha infatti dichiarato l’illegittimità del trattenimento e ordinato alla Questura di Roma “di ricevere la nuova richiesta di protezione internazionale della ricorrente e di trasmetterla alla Commissione Territoriale per le valutazioni di competenza”. Grazie all’interessamento del Garante dei diritti dei detenuti della regione Lazio e di alcune ONG di settore, si è riuscito comunque a scongiurare il rimpatrio delle altre 6 ragazze nigeriane.
Tutto sembrava essere risolto, anche per il futuro, almeno a Roma. Poi il 13 gennaio 2020 viene emanata una circolare del Ministero dell’Interno che sostanzialmente, in spregio a norme internazionali e nazionali e alla stessa giurisprudenza del Tribunale di Roma richiamata, consente alla Questura di poter rimpatriare persone vulnerabili ancor prima che la Commissione territoriale competente abbia dichiarato l’ammissibilità o meno della seconda domanda di asilo. Una circolare che, per intenderci, avrebbe costretto Anthionia e Joy a far rientro nel proprio paese di origine. Infatti, il 21 gennaio il giudice di pace di Roma convalida il trattenimento di una ragazza nigeriana che è nella stessa identica situazione di Anthionia e Joy. La ragazza aveva presentato una nuova domanda di protezione internazionale alla luce di elementi nuovi circa la tratta ai fini di prostituzione e la persecuzione di genere mediante mutilazioni genitali che avrebbe subito nel paese di origine e la Questura l’aveva condotta a Ponte Galeria dove il Giudice di pace ha poi convalidato il trattenimento. Per fortuna, il legale della ragazza presenta un ricorso d’urgenza e il Tribunale di Roma, lo stesso giorno, ne ordina la liberazione. Ma non tutte le vittime di tratta troveranno un bravo difensore e rischiano in concreto di essere rimpatriate. Molto spesso le vittima di tratta hanno il timore di denunciare i propri sfruttatori e presentano domande di asilo senza raccontare il loro reale vissuto. È questo è anche il quadro che emerge dal progetto “Alternatives to detention: towards a more effective and humane migration management” che la Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (Cild) e Progetto Diritti stanno portando avanti grazie al supporto dello European Programme for Integration and Migration, Per questo la legge consente di presentare una nuova domanda basata su elementi nuovi che deve essere valutata dalla Commissione, e non dalla Questura. L’auspicio che emerge dunque nell’ambito di tale progetto, è che la circolare del Ministero sia ritirata in tempi brevi per evitare che vittime di tratta e persone vulnerabili siano rimpatriate verso paesi dove subiranno ulteriori lesioni dei diritti fondamentali.
Un lavoro sul terreno della difesa dei diritti che non riguarda solo le organizzazioni non governative ma anche le istituzioni. “Il nostro impegno continuerà nella direzione di garantire diritti per le persone vulnerabili che meritano assistenza, difesa legale qualificata, programmi di integrazione e non di essere rimpatriate” ha infatti dichiarato il Garante dei detenuti della Regione Lazio Stefano Anastasia. “Per realizzare questi obiettivi abbiamo chiesto alla Prefettura di Roma di autorizzare un nostro sportello di informazione legale all’interno del CPR di Ponte Galeria, come già facciamo nelle carceri di tutto il Lazio.”
Speriamo che il Prefetto di Roma autorizzi questa attività e che la Questura di Roma, e di tutta Italia, finalmente rispettino la legge come indicato nelle sentenze del tribunale di Roma sopra richiamate.
*I nomi delle ragazze riportati nell’articolo sono di fantasia
Immagine di copertina via Freedom, Hurriya, Libertà