Sono passati cinque mesi da quando la Russia ha invaso l’Ucraina.
Dal 24 febbraio al 19 luglio, le persone in fuga dal conflitto hanno attraversato i confini dell’Ucraina quasi dieci milioni di volte per uscire dal paese. Ma anche tre milioni e 700mila volte per rientrarci.
Complessivamente, Unhcr stima che in Europa siano presenti quasi sei milioni di rifugiati ucraini. Per il continente, si tratta della più grande crisi dei rifugiati dalla Seconda guerra mondiale. Cui l’Unione Europea ha risposto attivando, a inizio marzo, la direttiva 55/2001 sulla protezione temporanea. Come ha scritto Lucas Rasche del Jacques Delors Centre, questa direttiva “è stata spesso definita la bella addormentata della politica di asilo Ue”, perché approvata nel 2001 ma mai utilizzata.
Applicarla è stata una decisione storica, per certi versi sorprendente, quasi unanimemente giudicata in maniera positiva. “Tuttavia – riprende Rasche – l’improvviso amore dell’UE per questa direttiva non deve far dimenticare che il vero valore della sua attivazione sarà determinato dai risultati”. E per valutarli, questi risultati, è importante iniziare a capire già ora i profughi ucraini dove sono accolti e con quali fondi.
Polonia, Germania, Repubblica Ceca. E Italia
Se non consideriamo il milione e 700mila profughi che sono in Russia, all’interno dell’Ue i paesi che ospitano i numeri maggiori sono Polonia (1.234.718 persone), Germania (893.000) e Repubblica Ceca (396.334), seguiti dall’Italia, distaccata a quota 145mila circa.
Gli altri stati confinanti, che nelle prime settimane e mesi del conflitto, avevano anch’essi accolto numeri molto elevati, ora sembrano ospitare molte meno persone: Romania e Slovacchia sono intorno alle 85mila, mentre l’Ungheria non raggiunge le 27mila.
Come detto, si tratta di stime che l’Unhcr raccoglie dai singoli governi e che non sempre sono disponibili o accurate, anche perché, già prima della guerra, i cittadini ucraini potevano entrare in Ue senza visto e muoversi liberamente tra gli stati per 90 giorni.
Dei dati più precisi potrebbero arrivare dalle richieste di protezione temporanea effettuate in ciascuno stato, ma il processo di registrazione è ancora in corso in tutti i paesi Ue e quindi, anche qui, le cifre sono destinate a salire. Rimane però interessante notare come, in alcuni paesi, il numero di rifugiati presenti sia molto più alto di quelli che hanno fatto domanda per la protezione temporanea. In Romania vi è una differenza di quasi 40mila persone, in Germania addirittura 320mila.
Le ragioni potrebbero essere diverse, tra cui la volontà di rientrare il prima possibile in Ucraina. A manifestarla sono in molti rifugiati.
Chi torna. E chi resta
Come detto in apertura, l’Unhcr ha registrato tre milioni e 700mila attraversamenti dei confini ucraini da parte di persone che, nonostante la guerra, rientravano nel paese. L’organizzazione spiega che alcuni di questi movimenti possono essere “pendolari e non indicano necessariamente ritorni a casa sostenibili” e definitivi, data la situazione ancora “altamente volatile e imprevedibile”. Ciò nonostante, rimangono cifre significative.
Sempre Unhcr, tra maggio e giugno, ha intervistato circa 4.900 rifugiati ucraini in Repubblica Ceca, Ungheria, Moldova, Polonia, Romania e Slovacchia e dai risultati “è emerso che il 16% prevedeva di tornare in Ucraina nei prossimi due mesi, mentre il 15% prevedeva di rimanere solo temporaneamente per visitare la famiglia, rifornirsi o aiutare i parenti a evacuare. Il 40 percento di coloro che intendono rientrare, invece, prevede di farlo nel mese successivo”. Per contro, però “circa due terzi prevedono di rimanere nei Paesi che li ospita finché le ostilità non si placheranno e la situazione della sicurezza non migliorerà”.
Prevedere cosa succederà, soprattutto in base all’esito del conflitto, è molto difficile. “Tuttavia – ha scritto ancora Rasche del Jacques Delors Centre – è probabile che la pressione sulle capacità di accoglienza e integrazione in molti di questi Paesi aumenti, dal momento che i rifugiati non possono tornare a casa in modo permanente”.
Questa pressione è una criticità che i paesi Ue devono affrontare in fretta, secondo Rasche, perché “l’assenza di strutture statali che accolgano coloro che fuggono dalla guerra rischia di esternalizzare definitivamente la responsabilità agli attori della società civile. E, cosa ancora più importante, potrebbe impedire ai rifugiati ucraini di avvalersi pienamente dei diritti previsti dalla Direttiva sulla protezione temporanea”. E qui si arriva alla questione fondi.
Fondi Ue e “soldi freschi”
Quanto costerà accogliere e includere un numero così elevato di persone è ancora difficile da capire, anche perché, come sta avvenendo in Italia, i cittadini ucraini in fuga stanno facendo molto affidamento sui connazionali e sulla solidarietà spontanea. Lo scorso aprile, il think tank Bruegel ha conteggiato in 43 miliardi il possibile costo dell’accoglienza dei rifugiati ucraini in Ue nel solo 2022. Ma si tratta di stime molto incerte.
Sta di fatto che, in tempi relativamente brevi, la Commissione UE ha mobilitato circa 17 miliardi di euro per sotenere gli stati membri, soprattutto quelli in prima linea.
Mobilitare significa che non sono stanziati nuovi fondi, “soldi freschi”, come si dice in gergo. Sono stati riorganizzati dei fondi non ancora utilizzati, soprattutto quelli della politica di coesione con l’iniziativa CARE, e ne sono stati anticipati di nuovi, quelli di REACT-EU, lo strumento ponte tra la Politica di Coesione 2014-2020 e la nuova programmazione dei fondi europei 2021-27.
Questi ultimi contributi sono stati erogati a fine aprile e, come spiega Fasi, “l’Italia, con 452,1 milioni di euro, è – insieme a Polonia, Romania e Spagna – tra i principali destinatari degli importi autorizzati dalla Commissione”. Più difficile, invece, capire quanto effettivamente ciascuno stato abbia deciso di destinare all’accoglienza Ucraina dei fondi ancora non spesi. Secondo alcune fonti che abbiamo consultato sembra che l’Italia farà poco ricorso a questa possibilità, ma non siamo stati in grado di ottenere dati precisi.
Secondo Ecre, l’European Council on Refugees and Exiles, è un problema che non riguarda solo il nostro paese: “c’è una mancanza di trasparenza sugli importi finanziari effettivamente disponibili per ogni Stato membro”, spiega l’organizzazione.
Scarsa trasparenza e accesso difficile
“I fondi del pacchetto CARE non sono nuovi impegni finanziari, ma forniscono una maggiore flessibilità nell’utilizzo dei fondi della politica di coesione esistenti e non spesi e dei fondi della DG HOME del ciclo di bilancio 2014-2020. Tuttavia, non sono state fornite informazioni sugli importi effettivamente disponibili per ogni Stato membro, il che rende più difficile il monitoraggio complessivo della responsabilità e dell’attuazione. In altre parole, al momento, è impossibile valutare quanto denaro viene speso per cosa”, si legge in una nota di fine giugno.
Un’altra criticità sarebbe il fatto che “le complicate modalità di finanziamento creano spesso problemi di accesso ai fondi per le organizzazioni della società civile che, in alcuni Paesi, non hanno la possibilità di ottenere fondi UE dal proprio governo”.
Per cercare di risolvere anche questo problema, a fine giugno, la Commissione Ue ha presentato un pacchetto di ulteriori proposte, chiamato FAST – CARE. Il pacchetto oltre a fornire maggiore flessibilità e opportunità di prefinanziamento, prevede che il 30% del sostegno finanziario sia concesso alle autorità locali e alle organizzazioni della società civile. FAST – CARE è stato approvato dal Consiglio a metà luglio e dovrà essere quindi discusso col Parlamento UE: potrebbe essere approvato tra settembre e ottobre.