Un sistema comune d’asilo europeo, per cui la gestione del fenomeno migratorio sia uniforme e condivisa tra gli Stati membri, sembra ancora oggi un obiettivo irraggiungibile. Persiste e si intensifica invece una tendenza comune a tutti i Paesi dell’Unione: l’utilizzo delle deportazioni come strumento principale di gestione delle migrazioni. È quanto denuncia il report Deportation Union: Rights, accountability and the EU’s push to increase forced removals, pubblicato a fine agosto dall’associazione Statewatch – no profit britannica, da più di vent’anni attiva nel monitoraggio delle libertà civili in Europa.
Il lavoro analizza in dettaglio la Proposta di direttiva del parlamento europeo e del consiglio in merito al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi. Il documento della Commissione europea, stilato a Bruxelles nel settembre 2018, prevede di destinare nei prossimi anni miliardi di euro in un’unica direzione: il rafforzamento dell’Agenzia di frontiera Frontex, aumentando così le espulsioni e diminuendo la tutela dei diritti dei migranti. “Negli stati democratici liberali, le deportazioni dovrebbero essere considerate una questione di ultima istanza. I piani dell’UE e dei suoi Stati membri puntano nella direzione opposta: meno diritti per gli individui e più poteri per le autorità, rendendo le espulsioni più semplici e rapide“, commenta Chris Jones, Project Director di Statewatch e autore del report insieme alle ricercatrici Jane Kilpatrick e Mariana Gkliati.
Tagliare i diritti per aumentare i rimpatri
“Coercizione e controllo” sono i termini chiave con cui il report descrive la Proposta della Commissione europea. Questa prevede innanzitutto un uso più esteso della detenzione dei migranti, da un massimo di 18 a un minimo di tre mesi – obbligando così alcuni Stati membri come Spagna e Portogallo a estendere il loro attuale limite detentivo di 60 giorni. Da un lato viene così calpestato il diritto alla libertà personale delle persone migranti e dall’altro ci si basa sull’evidenza non data, che una detenzione prolungata aiuti a combattere le migrazioni considerate illegali – denunciano a ragione gli autori.
Giustificare la detenzione stessa sarà più facile per gli Stati membri, attraverso l’introduzione di una lista ad hoc di motivi sufficienti a legittimare il rischio di fuga dei migranti. Il report mette in evidenza come questi sedici nuovi criteri potrebbero non essere validi, rispetto alle stesse leggi europee in materia di migrazione e asilo – per citarne alcuni: “mancanza di documento d’identità”, “ingresso illegale sul territorio europeo”, “mancanza di risorse finanziarie”. Tra le ulteriori misure delineate dalla Proposta anche la possibilità per i singoli Stati di istituire “divieti d’ingresso” viene rafforzata, mentre vengono limitate le opportunità di rimpatrio volontario ed è istituito un “obbligo a cooperare” da parte dei soggetti sottoposti ad espulsione.
Database per le deportazioni
“Database per le deportazioni” titola una sezione del report: la registrazione capillare dei dati personali degli individui migranti è uno strumento di controllo imprescindibile nel piano della Commissione europea. I dati biografici e quelli reperiti attraverso la registrazione biometrica dei migranti respinti dall’Unione o a cui è stato negato l’accesso, saranno più facilmente accessibili alle autorità nazionali dei vari Stati membri. Lo scopo della Commissione è facilitare così il più possibile il tracciamento di tutti i soggetti passibili di deportazione, e dei loro movimenti.
In pratica sono proposti cambiamenti allo Schengen Information System: il più grande database europeo istituito per la gestione comune delle frontiere. Al suo interno è prevista la registrazione dei singoli decreti di espulsione dai vari Paesi europei, così che siano visibili anche agli altri Stati membri. Anche il Visa Information System, ovvero il sistema che consente il passaggio dei dati relativi ai visti tra i Paesi dell’Area Schengen, acquisirà maggiori competenze. Allontanandosi dal suo scopo iniziale di omogeneizzare il sistema dei visti in tutta l’Unione – come evidenza il report -, in futuro anche questo dovrebbe registrare sui documenti di viaggio dati finalizzati alle espulsioni.
Inoltre Statewatch mette in guardia rispetto alle criticità di un ulteriore database in via di costruzione, che dovrebbe diventare operativo nel 2021: l’Entry/Exit System. Un sistema europeo centralizzato che registrerà dati biometrici e biografici degli individui che entrano nell’Area Schengen, calcolando poi in modo automatico il periodo di permanenza loro consentito. Un sistema che per risultare efficace necessiterà di ampie infrastrutture di controllo e numeroso personale ad hoc per rintracciare ed espellere le persone. Una spesa ingente che secondo i ricercatori britannici avrà l’unico effetto sicuro di aumentare i controlli di polizia sulla base del racial profiling – pratica illecita già documentata ai confini esterni e interni dell’Unione.
Frontex: “la macchina per le deportazioni dell’UE”
Se la Proposta della Commissione europea verrà approvata, Frontex riceverà 13 miliardi di euro nel periodo dal 2021 al 2027: un aumento di budget senza precedenti, così come il potenziamento previsto sul piano operativo – avverte il report.
Tra il 2007 e il 2018 l’Agenzia di frontiera ha messo in atto la deportazione di oltre 50 mila persone. La grande maggioranza delle operazioni è stata diretta verso Albania, Kosovo, Serbia, Tunisia e Nigeria; con voli decollati per lo più da Germania, Italia e Spagna – gli Stati membri che più degli altri utilizzano i servizi di Frontex. Dal 2021 al 2027 è in programma un aumento delle espulsioni coordinate e finanziate dall’Agenzia, che dovrebbero superare le 50 mila all’anno: Frontex dovrebbe così operare in un anno lo stesso numero di espulsioni compiute all’incirca nel decennio precedente.
L’organizzazione britannica ricostruisce già a partire dalla cosiddetta ”crisi migratoria” del 2015 la tendenza costante a limitare le tutele legali offerte ai migranti e allo stesso tempo a rafforzare la capacità delle autorità nazionali di allontanare le persone dal proprio territorio. Se il trend non è nuovo, è nuova però in questo caso la mole delle operazioni previste. Aumentando le deportazioni aumenta il rischio di espulsioni illegittime: è una delle maggiori preoccupazioni espresse nel report.
Anche se la garanzia della sicurezza dell’individuo nel Paese in cui viene riportato, in modo coercitivo, è un requisito essenziale dei rimpatri, nella pratica questo principio spesso non è rispettato. Tra le espulsioni operate negli ultimi anni da Frontex figurano ad esempio 300 migranti respinti verso l’Iraq e altri 850 verso l’Afghanistan – entrambi Paesi non considerati sicuri. La spesa legata ad alcuni di questi voli è stata poi dichiarata “irregolare” dai revisori finanziari dell’UE, attestazione alla quale però non ha fatto seguito alcuna conseguenza.
“Frontex estende spesso il proprio mandato al limite, oltrepassando i confini legali” – denuncia l’autrice Jane Kilpatrick. “Il fatto che il monitoraggio delle operazioni di espulsione di Frontex sarà ora organizzato e finanziato dall’agenzia stessa è una carenza strutturale”. Nei fatti, a fronte dell’estensione del suo operato, l’Agenzia di frontiera metterà in campo un numero maggiore di osservatori dei diritti fondamentali e faciliterà il meccanismo per presentare reclamo – in ogni caso queste misure di controllo mancano di indipendenza, come fa notare Kilpatrick.
Ciò nonostante, quello che preoccupa ancor di più i ricercatori britannici sono le enormi discrepanze nei tassi di riconoscimento dell’asilo in tutta l’Unione. Dal momento che l’emissione degli ordini di espulsione resta una responsabilità delle autorità nazionali, il rischio che Frontex operi espulsioni illegittime è frutto in primis di questa incoerenza di base. Il mancato riconoscimento della protezione internazionale può tradursi nei fatti per le persone migranti nel trasferimento in un Paese dove rischiano persecuzione, tortura o anche la morte. “L’impegno politico, con il sostegno finanziario, dovrebbe essere messo nell’affrontare questi problemi di fondo, invece di un modello militarizzato di controllo delle frontiere che porterà solo le persone a prendere strade più pericolose per raggiungere la sicurezza”, commenta Jones al riguardo.
Un altro impegno politico
Infine il report evidenzia come l’attuale pandemia di COVID-19 abbia mostrato la possibilità di gestire il fenomeno migratorio in modo più pratico, e umano. Un esempio paradigmatico è quello del governo portoghese che, a fronte dell’emergenza sanitaria, ha deciso lo scorso marzo di regolarizzare tutti i richiedenti asilo presenti sul suo territorio nazionale. È in questo contesto, e guardando all’attuale movimento internazionale antirazzista Black Lives Matter, che gli autori si augurano sia giunto il momento per “una nuova riflessione sulla migrazione, al posto di misure sempre più punitive, costose e in definitiva impraticabili”. Non bisognerà aspettare molto per vedere se la Commissione europea invertirà la sua tendenza in questo campo: la presentazione del “Nuovo patto in materia di migrazione e asilo” è prevista per fine settembre.
Immagine di copertina: manifestazione a Catania. Foto di Hiruka komunikazio-taldea via Flickr