I leader dell’Unione Europea non hanno esitato nel condannare il veto di Trump per i rifugiati (permanente per i siriani, temporaneo per tutti gli altri). E giustamente.
Il vice presidente della Commissione Europea Federica Mogherini in un intervento al Parlamento Europeo ha detto:
“L’Unione Europea non volgerà le spalle a chi ha diritto alla protezione internazionale. Questa è la posizione che continueremo a mantenere.”
Ma, parole a parte, non si può non notare come l’Unione ed i suoi stati membri si stanno comportando nei fatti. Importanti risorse sono state destinate al tentativo di fermare gli arrivi di rifugiati e migranti in Europa attraverso la rotta egea che collega la Turchia alla Grecia, la rotta balcanica che collega la Grecia alla Germania e la rotta mediterranea occidentale che collega il Marocco ed il Senegal alla Spagna.
Relazioni pericolose con la Libia
Vi è ancora una rotta fuori controllo: quella mediterranea centrale che passa per la Libia. Questo, si badi, non dipende certo dal fatto che l’Unione Europea non sia disposta a scendere a compromessi sui suoi principi fondamentali stringendo accordi con regimi notoriamente poco interessati ai diritti umani come il Sudan e l’Eritrea, ma piuttosto dalla complessa situazione politica e militare in Libia – a causa della quale il controllo del territorio e soprattutto delle coste non è omogeneo. La guardia costiera libica esiste sulla carta, ma in pratica ha un raggio d’azione piuttosto limitato.
Sul finire di gennaio, in vista dell’incontro informale dei leader europei a Malta (che è attualmente alla presidenza del Consiglio UE), l’Unione Europea ha annunciato un forte miglioramento dell’impegno delle autorità libiche nella gestione dei flussi migratori attraverso il Mediterraneo. Grazie anche ad un assegno di 200 milioni di euro firmato dalla UE, il governo libico supportato dalle Nazioni Unite ha acconsentito ad un affiancamento delle navi UE e NATO coinvolte nell’operazione anti-trafficanti Sophia all’azione della propria guardia costiera all’interno delle acque territoriali. Che è esattamente il luogo dove è avvenuta la maggior parte dei naufragi che negli ultimi anni hanno causato migliaia e migliaia di morti in mare.
Data la persistente incertezza politica in Libia, un blocco totale delle partenze dalle sue coste potrebbe essere al momento un obiettivo irraggiungibile. Ciò che invece è molto probabile è che le autorità libiche siano ben disposte a compromettere ulteriormente il rispetto dei diritti umani di rifugiati e migranti al fine di ridurre i flussi verso l’Europa.
Durante le nostre ricerche sulle rotte migratorie che attraversano il Mediterraneo, i miei colleghi ed io abbiamo avuto prova delle condizioni terribili in cui si trovano i migranti in Libia. Oltre il 75% delle persone con cui abbiamo parlato ha raccontato di aver subito violenze fisiche e quasi un terzo (il 29%) aveva assistito alla morte di alcuni dei propri compagni di viaggio. Molti dei migranti sentiti hanno denunciato il coinvolgimento diretto e indiretto della polizia e la guardia costiera libica in tali episodi di violenza.
Se per bloccare la rotta mediterranea centrale siamo disposti a chiudere gli occhi ed ignorare questa situazione, le cose per rifugiati e migranti non potranno che peggiorare.
Se il maggior ruolo delle autorità libiche nel controllo delle partenze dalle sue coste dovesse implicare una riduzione dell’impegno dell’Unione Europea nelle missioni di ricerca e salvataggio, le morti in mare non potranno che aumentare ulteriormente, come già emerge dagli ultimi dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).
I muri della Fortezza Europea e quelli di Trump
Forte è stata la condanna morale dei leader europei verso il piano di Trump di erigere un “muro alto, bello e potente” tra gli Stati Uniti ed il Messico. La Mogherini ha definito il muro di Trump come antitetico ai valori europei con queste parole:
“La nostra storia, tradizione e identità è basata sul celebrare la distruzione di muri e la costruzione di ponti”.
Una retorica che avevamo già sentito nel 2015, quando l’Ungheria annunciò la costruzione di un muro per bloccare i rifugiati in arrivo tramite la rotta balcanica. Allora come oggi i leader europei paiono soffrire di una conveniente perdita di memoria selettiva.
Nel 2015, dimenticavano che muri simili a quello ungherese erano già stati costruiti in Grecia, in Bulgaria ed a Calais. E infatti gli stati membri hanno poi continuato imperterriti a erigere barriere (senza essere ripresi dall’Unione) – ad esempio al confine tra Grecia e Macedonia, tra Austria e Slovenia, e tra Croazia e Serbia.
In altre parole, se l’Unione Europea e gli Stati Uniti di Trump differiscono a livello di retorica, a livello sostanziale vi sono invece molto punti di convergenza tra i due lati dell’Atlantico relativamente al trattamento di rifugiati e migranti.
Ciò a cui stiamo assistendo è l’uso di rifugiati e migranti come strumento retorico in una guerra di parole che origina da un più sostanziale cambiamento geopolitico. Una situazione nella quale l’Unione Europea si sente minacciata da più fronti – non ultimi gli Stati Uniti di Trump – e si vuole quindi posizionare tra Trump e la Russia come la roccaforte dei valori della democrazia liberale.
In una recente lettera ai membri del Consiglio UE, il presidente Donald Tusk ha affrontato l’argomento delle sfide strategiche che attendono la UE, spiegando:
“Solo uniti possiamo essere indipendenti. È necessario fare importanti e decisi passi per cambiare il sentire comune e riaccendere l’aspirazione di portare l’integrazione europea al prossimo livello”.
Ma vi sono già segnali che alcuni stati membri non sono pronti a seguire queste indicazioni dell’Unione e siano piuttosto propensi, sia per convinzione o per convenienza elettorale, a sposare la retorica populista anti-immigrazione lanciata da Trump.
Questo articolo è stato pubblicato in inglese sul blog dell’autore.
Traduzione di Corallina Lopez Curzi.