1. La guardia costiera libica abbandona i migranti in mare?
Tra lunedì 16 e martedì 17 luglio la nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms è accorsa sul luogo di un naufragio salvando una donna camerunense, Josefa, e recuperando i cadaveri di un’altra donna e di un bambino. Il video e le immagini del soccorso hanno fatto il giro del mondo, con Open Arms che accusava la Guardia Costiera libica e il mercantile Triades di omissione di soccorso in acque internazionali. Secondo le loro ricostruzioni, infatti, le tre persone sarebbero rimaste in mare a seguito di un’azione della Guardia Costiera libica (che ha intercettato 158 persone) e al loro rifiuto di salire a bordo. Annalisa Camilli di Internazionale era a bordo e ha seguito la vicenda, raccogliendo le prime parole di Josefa: “Siamo stati in mare due giorni e due notti”, racconta. “Sono arrivati i poliziotti libici. E hanno cominciato a picchiarci”.
“Bugie e insulti di qualche ONG straniera” li definisce Salvini, che annuncia rivelazioni da una fonte terza che smentirebbe la ricostruzione degli spagnoli (la fonte sarebbe una giornalista tedesca che però sembra fare riferimento a un’altra azione dei libici avvenuta nelle stesse ore). Qui una sintesi di Fabrizio D’Esposito e Antonio Massari sul Fatto Quotidiano.
Nonostante l’assegnazione del porto di Catania per lo sbarco della donna, arrivato martedì in tarda serata, Open Arms chiede al centro di coordinamento marittimo spagnolo di assumere il coordinamento dell’operazione di salvataggio per poi procedere alla volta della Spagna. Dal loro comunicato del 18 luglio si legge:
[…]l’annuncio ripetuto di una specie di contro ricerca rispetto agli eventi inequivocabili accaduti lunedì sera documentati da noi, induce a temere per la protezione della donna sopravvissuta e la sua completa libertà di testimoniare in condizioni di tranquillità e sicurezza.Per tutti questi motivi abbiamo deciso di dirigere le nostre navi sulle coste spagnole.
La denuncia per omissione di soccorso e omicidio colposo è stata presentata a Palma di Maiorca, ma, come si apprende domenica, nessuna accusa è stata mossa al governo italiano: i denunciati sono il capitano della motovedetta libica e quello del mercantile Triades.
Da alcuni giorni, intanto, si susseguono proteste pacifiche davanti al Viminale, con gruppi di manifestanti con le mani dipinte di rosso.
2. Marc Gasol, il cestista NBA a bordo di Open Arms
Sulla nave della Open Arms c’era anche Marc Gasol, stella Nba in forza ai Memphis Grizzlies. Ai giornalisti che lo hanno raggiunto per chiedergli i motivi della sua scelta, il giocatore catalano, già noto per il suo impegno nel sociale assieme al fratello Pau (anch’esso stella del basket) ha dichiarato:
“Da quando, anni fa, ho saputo che nel mare stavano morendo migliaia di esseri umani, l’ho considerata una profonda ingiustizia. Volevo quindi dare il mio contributo, come persona. E voglio essere un esempio per i miei due figli, Julia e Luca”.
Un testimonial d’eccezione, che come sottolinea Rolling Stone, riaccende l’attenzione sullo scambio tra Saviano e Veronesi e sull’importanza di portare i proprio corpi sulle navi dei soccorsi.
Frustration, anger, and helplessness. It’s unbelievable how so many vulnerable people are abandoned to their deaths at sea.
Deep admiration for these I call my teammates at this time @openarms_fund pic.twitter.com/TR0KnRsrTE— Marc Gasol (@MarcGasol) July 17, 2018
3. I 153 anni della Guardia Costiera italiana – e le dichiarazioni
Il 21 luglio ricorreva il 153esimo anniversario della Guardia Costiera italiana, che da anni è protagonista di operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, in coordinamento con le navi delle Ong. E il ringraziamento arriva anche da loro, come in questo tweet di Sea Watch:
Senza la loro collaborazione, l'azione delle ONG nel Mediterraneo non sarebbe stata possibile.
Insieme abbiamo lavorato per preservare la vita umana in mare.
In occasione del 153esimo anniversario della @guardiacostiera italiana, la ricordiamo così. pic.twitter.com/nDxq9NjscQ
— Sea-Watch Italy (@SeaWatchItaly) July 21, 2018
I militari italiani sono attori quasi sempre silenziosi, ma iniziano ad emergere dichiarazioni e un senso di impotenza per come vengono gestiti i salvataggi e il rapporto con la loro presunta controparte libica, sensazioni esasperate da situazioni come quelle della nave Diciotti o della Monte Sperone (ne avevamo scritto nella rassegna della scorsa settimana).
Al Sole 24ore un ammiraglio (che preferisce non essere nominato) dice che sulla Guardia Costiera libica non c’è chiarezza: “Quando l’Italia cede motovedette alla “guardia costiera libica” e quando si vedono le foto dei marinai libici, a quale organizzazione militare o paramilitare si ci si riferisce? Sono organismi neutrali oppure sono strumenti armati dei trafficanti di schiavi? C’è una Guardia Costiera di Misurata, una Guardia Costiera della Tripolitania, probabilmente una diversa Guardia Costiera Libica a Zuara-Zauia.”
Su Avvenire concorda l’ammiraglio Vittorio Alessandro, già responsabile delle relazioni esterne delle Capitanerie di porto negli anni del boom degli sbarchi a Lampedusa:
Ma quante Guardie costiere ci sono in Libia?
Non c’è un unico organo istituzionale. Ce ne sono tre come emerge anche da alcune segnalazioni dell’Onu. Siamo molto lontani dall’avere un interlocutore credibile.
Tra le ipotesi fatte c’è anche quella di una riconsegna ai libici.
È fuori dalle norme. Già l’Italia venne sanzionata, quando era ministro Maroni, per la restituzione di persone che erano fuggite. La fondatezza di questa impraticabilità è ancor più cresciuta dopo alcune sentenze che hanno confermato quanto la Libia non offra porti sicuri e che in realtà le persone respinte siano dei morti che camminano, destinate a non restare in vita o a finire in condizioni di detenzione.
Una scheda realizzata dalla Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili fa chiarezza sulla questione del conflitto di competenze sollevato dal caso della nave Diciotti (e che potrebbe nuovamente ripresentarsi). Un anno fa la CILD aveva pubblicato anche una guida alla solidarietà in mare.
Infine, dopo l’ipotesi di un ritiro dall’operazione Sophia, sabato è invece arrivata la notizia che l’Italia non bloccherà le navi. Lo strappo avrebbe portato alla fine della missione, come prospettato dagli altri Stati membri. La decisione sarebbe stata effettuata su pressione del Quirinale, scrive Marco Bresolin su La Stampa, consapevole dell’importanza della missione navale Ue, di cui l’Italia ha il comando.
4. Accoglienza: fermo l’ampliamento dei posti Sprar
Il sistema di accoglienza SPRAR, gestito su base volontaria dai Comuni e considerato il più efficiente, aspetta dal 1° luglio la lista dei nuovi progetti. All’inizio del mese, infatti, il Ministero dell’Interno doveva dare il via ai nuovi posti SPRAR, con relative coperture economiche – ma al momento è tutto fermo: non sono state pubblicate le graduatorie dei nuovi centri, né stabilite le coperture economiche necessarie. “In altre parole, mancano i soldi, che andranno trovati in sede di assestamento del Bilancio, dopo una richiesta al ministero delle Finanze. Tempo della procedura: non prima di settembre” scrive Lorenzo Bagnoli sul Fatto Quotidiano.
La situazione desta preoccupazione, evidenziata in una lettera che lo scorso 11 luglio la segretaria generale dell’Anci Veronica Nicotra ha inviato una lettera al Viminale. Secondo gli addetti ai lavori, una conseguenza negativa che potrebbe scatenarsi da questo ritardo è un disincentivo a nuove partecipazioni allo Sprar. A marzo 2018 il sistema SPRAR aveva finanziato 35.869 posti, di cui 3.488 per minori. Qui vi avevamo raccontato come funziona la rete SPRAR in 5 punti.
Intanto lunedì scorso, una settimana dopo la circolare del Ministro dell’Interno Salvini ai prefetti sulla stretta al diritto d’asilo, la Commissione nazionale sull’asilo ha inviato una circolare a tutti i presidenti delle commissioni territoriali, chiedendo espressamente di tagliare la protezione umanitaria, scrive Avvenire, che riporta il commento di ASGI:
«Questa è la conferma di quello che abbiamo sempre sostenuto, e cioè che queste commissioni sono fortemente influenzabili perché chi dovrebbe garantire la maggiore trasparenza (la Commissione nazionale, ndr), si conferma il maggior strumento politico».
Le associazioni che fanno parte del Tavolo Asilo esprimono preoccupazione e chiedono un incontro al Ministro: “La Commissione Nazionale, così come il Ministro, non ha competenza sulle risposte delle Commissioni, che devono essere indipendenti da indicazioni politiche ed essere solamente legate alle previsioni di legge e alle storie personali dei richiedenti, senza alcun intervento che risulti contrario al dettato costituzionale. In particolare poi per i minori non accompagnati richiedenti asilo, la valutazione dovrebbe riguardare in via prioritaria il loro superiore interesse” si legge nel loro commento.
5. In Libia i centri di detenzione sono al collasso
I centri di detenzione in Libia sono al collasso: secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, il numero di persone detenute è salito da 5.000 a 9.300, con altre migliaia alla mercé di contrabbandieri nelle strutture detentive non ufficiali, scrive Karen McVeigh sul Guardian. Secondo le stime dell’OIM in Libia ci sarebbero 662 mila migranti in Libia (un aumento di circa 40 mila persone dallo scorso anno), il 10% dei quali è minorenne (più della metà non accompagnato). All’interno del paese ci sarebbero anche quasi 180 mila sfollati.
Intanto, su The Vision, Yasha Maccanico, analista e ricercatore italiano della Ong britannica Statewatch spiega che c’è un fattore chiave che accompagna le oscillazioni nei flussi migratori: la ricattabilità di Italia e Unione europea di fronte ai Paesi lungo le rotte: “Queste partenze possono essere legate al tentativo di alzare il prezzo degli accordi tra Italia e milizie libiche.”
Secondo il ricercatore questa ricattabilità nasce da una distorsione della cooperazione internazionale, ridotta a mero strumento di contenimento dei flussi migratori (ne aveva scritto per noi Sara Prestianni).
6. Dopo due anni di lavoro, il Global compact sui migranti è realtà (ma l’Ungheria si ritira)
In molti si chiedevano se il documento finale avrebbe mai visto la luce. Lo scetticismo è aumentato dopo la decisione degli Stati Uniti di Trump di abbandonare i tavoli dei negoziati nelle fasi iniziali delle discussioni, ma lo scorsa settimana il testo del Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (GCM) è stato finalmente approvato dagli stati membri delle Nazioni Unite. Si tratta del primo accordo internazionali sulle migrazioni, il primo tentativo di ridurre i fattori negativi che costringono le persone a lasciare il proprio paese – povertà, mancanza di opportunità, alti tassi di criminalità, cambiamenti climatici – amplificando al tempo stesso i benefici che la migrazione può portare a individui, comunità, paesi di origine e destinazione. Un accordo che per Marta Foresti (Overseas Development Institute) è lontano dalla perfezione e ricco di limiti – fra tutti il suo essere ancora lontano dall’adozione e non giuridicamente vincolante – ma di cui, in un epoca in cui nazionalismo e xenofobia sembrano rubare la scena al multilateralismo, va riconosciuta l’importanza politica.
Ad accordo raggiunto, l’Ungheria ha annunciato però il proprio ritiro, citando preoccupazioni per la sicurezza. Peter Szijjarto, ministro degli Affari Esteri e del Commercio ha affermato che l’accordo è “in conflitto con il buon senso e anche con l’intento di ripristinare la sicurezza europea”. L’Ungheria si unisce agli Stati Uniti, portando a due il numero dei membri delle Nazioni Unite che non si sono impegnati all’accordo. E giovedì scorso proprio l’Ungheria era stata deferita alla Corte di Giustia UE dalla Commissione Europea “per non aver rispettato la legislazione su asilo e rimpatrio in base alle norme Ue”: sotto accusa sarebbero le azioni sui respingimenti.
7. A Salonicco il calcio è per tutti
Aniko è un movimento calcistico animato da un piccolo gruppo di volontari, ma il loro lavoro è stato straordinario. In pochi mesi sono riusciti ad avvicinare persone di età, etnia, religione e genere diversi e farle sentire come se appartenessero tutte allo stesso posto. È stato lo sport a fare da collante e ad abbattere le barriere, così una volta al mese italiani, afgani, marocchini, greci o camerunensi, si incontrano per giocare a calcio e finiscono per diventare parte di una grande comunità. Ce lo raccontano da Salonicco la nostra collaboratrice Marianna Karakoulaki e Dimitris Tosidis.
8. Per i migranti lo smartphone è un’arma a doppio taglio
Gli smartphone hanno aiutato decine di migliaia di migranti a viaggiare in Europa. Sentire la propria famiglia, mettersi in contatto con chi ha già attraversato il confine, ma anche ricevere informazioni sulla chiusura di frontiere, sui controlli della polizia, sulle truffe a cui stare attenti una volta in viaggio. Gli smartphone però conservano anche un gran numero di informazioni personali e altri dati utili a ricostruire il viaggio di un rifugiato, dati che i governi europei sempre più spesso utilizzano per respingerli. Foto e applicazioni potrebbero aver salvato posizioni durante il viaggio, quindi anche il punto di primo ingresso in Europa, messaggi e chat invece, potrebbero essere utili per dimostrare l’appartenenza politica o religiosa – quindi utili a negare la protezione. Analizzare il telefono dei migranti è già una prassi comune in Regno Unito e Norvegia e da poco anche in Germania e Danimarca – dove l’autorità si spinge ad analizzare anche i social network – ma presto potrebbero diventarlo anche in Austria e Belgio.
9. Al confine tra Messico e Stati Uniti l’indignazione potrebbe non bastare
Il pianto incessante di un bambino separato dai propri cari, le immagini di genitori disperati. La copertura mediatica della “crisi” migratoria al confine tra Usa e Messico è riuscita a portare nelle case di milioni di persone il dramma delle separazioni familiari al confine, scatenando l’indignazione dei più. Ma le immagini e i video dal confine andranno a vantaggio di chi il confine lo vive e lo attraversa, si tradurranno in occasioni di cambiamento? A chiederselo è Gabriella Sanchez, che dalle pagine di Refugee Deeply ci mette in guardia dalle “esplosioni di intensa attenzione virale” che spesso, una volta esaurite, non lasciano traccia.
Intanto, secondo quanto riportato dal New York Times, sarebbero migliaia i casi di violenza sessuale subiti da migranti mentre erano sotto la custodia delll’Immigration and Customs Enforcement (ICE), oltre 1000 nei soli anni dal 2013 al 2017.
10. Sulle orme dei migranti
Un gioco interattivo, a metà tra il gioco di ruolo e quello online, un unico obiettivo: immedesimarsi nel percorso di chi migra. È l’idea alla base di “Into the footsteps of a migrant”, progetto educativo sostenuto dal programma Erasmus+ della Commissione europea che coinvolge le realtà di quattro paesi: Italia, Olanda, Germania e Romania. Per la Cooperativa Camelot – referente italiano – l’obiettivo è “sviluppare un gioco di ruolo che permetta alle persone di lavorare sui pregiudizi, di stimolare empatia, riflessione e pensiero critico. Vorremmo che avesse la più ampia diffusione possibile: a scuola, nei gruppi formali e informali di giovani, tra gli addetti ai lavori”.
Foto di copertina via Guardia Costiera