1. Vertice ONU sui rifugiati, ancora una volta tante parole e nessun fatto
Mentre a New York i leader mondiali spendevano belle parole sulla volontà di impegnarsi nel fornire risposte efficaci e durature per la crisi dei rifugiati, la situazione in Libano per le migliaia e migliaia di rifugiati siriani continua ad essere drammatica. Insomma, molte parole e nessun fatto – ancora una volta. Ne scrive Fadi Halisso su Refugees Deeply.
2. Vertice con vista: considerazioni da New York
Marta Foresti, direttore dell’Overseas Development Insitute (ODI), tira le somme della settimana newyorkese (in maniera esemplare), evidenziando alcuni aspetti cruciali: l’assenza di coesione sul tema dei canali di accesso per i profughi, la persistente frattura – legale e non solo – tra la comunità dei rifugiati e quella dei migranti, l’impossibilità di esplicare azioni veramente efficaci nella cornice delle Nazioni Unite e l’esigenza di affidare il discorso all’iniziativa dei singoli leader politici.
3. Rifugiati ambientali, l’emergenza del millennio
Si chiamano ‘rifugiati ambientali’, sono sempre di più – nel 2015 hanno superato i rifugiati in fuga dai conflitti armati, nel 2050 si stima ce ne saranno 250 milioni. A differenza dei profughi che arrivano dalle zone di guerra, però, queste persone non possono chiedere asilo politico e non hanno diritti di alcun tipo. Ecco perché i termini rifugiati e migrante non bastano più a spiegare le nuove diaspore (come scriveva per noi Saskia Sassen): gli articoli di Fusion, Repubblica e il Fatto Quotidiano.
4. Accoglienza, soluzioni locali invece che nazionali?
Gli stati europei – e non solo – hanno fallito miseramente nel fornire risposte adeguate alla crisi umanitaria. Non è forse ora di cambiare proprio paradigma e pensare a soluzioni locali invece che nazionali? Se lo chiede Charlie Sorrel su FastCoExist, partendo dall’esempio spagnolo: lo stato aveva dato la disponibilità ad accogliere quasi 18.000 richiedenti asilo nell’ambito del programma di relocation europeo, ma a marzo aveva aperto le porte soltanto a 18 di loro. Intanto, i sindaci di Barcellona e Madrid e gli enti locali (la provincia della Catalogna, che vorrebbe ospitare 4000 richiedenti asilo, e la rete di città che fa pressioni per permettere la sponsorship privata) spingono per fare di più. Insomma: città aperte ai rifugiati, nonostante lo stato (propone Open Democracy).
5. Città aperte per profughi e migranti, l’appello dei sindaci
I migranti rendono le nostre città posti migliori – più vivaci, più sani – e, a prescindere da ciò, abbiamo un imperativo morale di accoglienza. Insomma: aprire le porte si può e si deve, parola dei sindaci di New York, Londra e Parigi.
6. Como, città tra due confini
L’ultimo luogo caldo della crisi dei migranti in Italia è la cittadina di Como che, a seguito della chiusura della frontiera svizzera, si è riscoperta all’improvviso città di confine. Ve lo abbiamo raccontato nel nostro reportage, lo approfondisce Philip Di Salvo nel suo articolo per The Towner.
7. L’accoglienza italiana che funziona – ma è solo la seconda
Mentre nei Cara e nei Cas si fronteggia la prima emergenza, con situazioni estreme di disagio e mala gestione, nella rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo il lavoro di integrazione riesce a produrre risultati davvero positivi. Insomma: c’è l’accoglienza cattiva e quella buona. Ecco perché bisogna investire di più sulla rete di enti locali – in crescita, ma con numeri ancora relativamente bassi – che consente ai rifugiati di diventare cittadini: l’articolo di Fabio Grandinetti per l’Espresso.
8. L’Italia e la paura dei migranti (ma paura di chi?)
L’Italia è tra i paesi che credono meno nell’accoglienza e guardano all’immigrazione con maggior sospetto. Il punto è che – nonostante si parli costantemente di emergenza – questi sentimenti non trovano riscontro in dati reali, numeri di arrivi e presenze. Il fact-checking di Claudia Torrisi per Fanpage.
9. Profughi e terrorismo, le probabilità contro la paura
Così come il timore (infondato) di una “invasione” di migranti è stato tra i principali motori della Brexit, la campagna presidenziale di Donald Trump ha fatto della paura verso i profughi uno dei suoi capisaldi. Ma si può davvero affermare che l’arrivo di migranti e rifugiati aumenti il rischio terrorismo, si chiede Zack Beauchamp su Vox? La risposta forse vi stupirà: contrariamente al comune sentire, le possibilità di essere uccisi in un attentato terroristico per mano di uno straniero sono davvero incredibilmente basse. Al punto che è più probabile che perdiate la vita uccisi dai vostri stessi vestiti. Leggere per credere.
10. Internet, essenziale eppure pericoloso
Per i rifugiati che scappano da paesi distrutti dalla guerra, come la Siria o l’Iraq, lo smartphone è essenziale tanto quanto il cibo o un tetto sopra la testa (spiega l’articolo di FastCoExist, dove si legge che l’accesso a questa risorsa sia negato ad almeno metà degli sfollati a livello globale). Ma, come scriveva Margie Cheesman, “gli apparecchi mobili sono allo stesso tempo una benedizione e una maledizione” e fidarsi delle iniziative tecnologiche è piuttosto complesso per i profughi siriani. L’articolo di Refugees Deeply.
FOTO DI COPERTINA: United Nations Photo / Flickr Creative Commons.