1. Il mercato degli schiavi in Libia
La situazione infernale in Libia per i migranti lì intrappolati, conseguenza delle strategie europee ed italiane, non può davvero essere ignorata. Un durissimo reportage della CNN ha documentato l’esistenza di un vero e proprio mercato degli schiavi, dove i migranti sono venduti al miglior offerente – suscitando grandissima indignazione in tutto il mondo.
2. Le Nazioni Unite denunciano la situazione in Libia
La scorsa settimana sono arrivate anche – in contemporanea – la condanna del Commissario Onu per i diritti umani e le forti preoccupazioni del Comitato Onu contro la tortura (nel contesto del suo esame della situazione italiana).
Davanti all’evidenza, come possiamo continuare a girarci dall’altra parte?
L’editoriale di Guma el-Gamaty per Middle East Eye chiede all’Europa di smettere di usare la Libia come disumana discarica per i migranti che non vogliamo accogliere.
3. La battaglia navale dei libici sulla pelle dei migranti
Il 6 novembre, come vi abbiamo già raccontato, un salvataggio della Ong tedesca Sea Watch è stato violentemente sabotato dalla Guardia Costiera libica. Un episodio drammatico, in cui hanno perso la vita decine di persone. Il volontario Gennaro Giudetti ha portato la sua testimonianza dell’accaduto in giro per l’Italia, con la speranza di scuotere l’opinione pubblica su quanto sta avvenendo nel Mediterraneo. Da recuperare il suo intervento alla Camera e quello a Propaganda Live.
"Ho contattato uno a uno chi commentava contro le Ong. Non sono un eroe, non ci guadagno nulla: solo con il dialogo riesci a cambiare la testa delle persone"#propagandalive pic.twitter.com/wUJU4nmXxO
— Propaganda Live (@welikeduel) November 17, 2017
4. Morte in alto mare
Intanto in mare si continua a morire. Senza troppo clamore, decine di vite si perdono nei flutti del Mediterraneo, in una tragedia ignorata dai più. Barbie Latza Nadeau racconta su Refugees Deeply il dramma quotidiano delle missioni di salvataggio in alto mare, tra vite salvate e vite perdute, senza poter fare nulla. E intanto a Salerno si sono tenuti i funerali solenni per le 26 ragazze nigeriane che hanno perso la vita in mare la scorsa settimana (raccontati dalla Cnn), la cui memoria è stata onorata con la proclamazione del lutto cittadino. Una rosa bianca per ogni bara, per ricordare l’innocenza perduta – la loro, ma anche la nostra.
5. Una lista non basta
La scorsa settimana abbiamo condiviso la tragica lista pubblicata dal quotidiano berlinese Der Tagesspiegel, che ha messo in prima pagina i 33.293 nomi dei migranti morti nel disperato viaggio della speranza verso l’Europa dal 1993 ad oggi. Quell’elenco, però, non basta – perché le vittime dei confini sono molte di più. L’articolo di Sarah Ruiz-Grossman per Huffington Post.
6. L’integrazione passa per la pista da ballo: i club tedeschi per i rifugiati
C’è una nuova forma di attivismo in Germania, che mette i club al centro di uno sforzo della comunità per accogliere e integrare i rifugiati. Perché l’integrazione può passare anche per la pista da ballo e, perché no, andare a tempo di techno.L’approfondimento di Will Lynch per Resident Advisor.
7. Non dimentichiamo Manus Island
Che non si dica lontano dagli occhi, lontano dal cuore. I rifugiati, prima detenuti offshore e poi abbandonati dall’Australia, sono dall’altra parte del mondo, ma noi abbiamo il dovere di continuare a parlarne. Due importanti reportage dall’isola di Manus Island, dove la situazione sta precipitando (e si teme un’epidemia di colera): Ben Doherty per il Guardian e Damian Cave per il New York Times.
8. Rohingya: quel genocidio che non abbiamo il coraggio di chiamare col proprio nome
Non c’è molto margine di dubbio: quello che sta avvenendo in Birmania è un vero e proprio genocidio. La comunità internazionale, però, continua a rifiutarsi di classificarlo come tale, parlandone come di “un caso da scuola di pulizia etnica”. Il motivo è chiarissimo: classificare le atrocità commesse contro i Rohingya come condotta genocidiaria comporterebbe un obbligo di intervento – che i leader mondiali non vogliono né possono assolvere. È assolutamente da leggere il dettagliato e importante approfondimento di Doug Bock Clark per Longreads.
There is a genocide going on right now in Myanmar, and we are not doing anything about it. Important read by @DougBockClark for @Longreads https://t.co/OyOM98XZoK
— CorallinaLopezCurzi (@corallinaLC) November 19, 2017
9. Le voci dei rifugiati della Nord Corea
C’è un altro gruppo di rifugiati di cui si parla sempre troppo poco: se è vero che ultimamente la Corea del Nord compare spesso nei dibattiti, va però notato che l’attenzione della comunità internazionale è rimasta concentrata esclusivamente sulla minaccia dei test nucleari da Pyongyang, senza dare attenzione ai rifugiati coreani (a rischio di deportazione forzata, e quindi morte, dalla Cina). Le loro voci – rare, e quindi preziosissime – sono state raccolte da Anna Fifield in un bellissimo reportage per il Washington Post.
10. Umanitarismo da computer, bisogna essere realistici
Che potenziale hanno le nuove tecnologie nell’offrire risposte innovative alle crisi umanitarie? Ce lo siamo già chiesti in passato – con l’editoriale di Lina Srivastavasul civic tech per la crisi dei rifugiati e quello di Tin Geber sulla necessità di rivedere l’approccio hackathon – e torniamo a farlo oggi, con una riflessione di Elizabeth Stuart per Bright Magazine che tira le somme di potenzialità, limiti e pericoli dell’attivismo da social network.
Foto di copertina: rifugiati al confine tra Tunisia e Libia, via Wikimedia Commons.