1. Mediterranea è accusata di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina
“Questa mattina all’alba è scattata una vasta operazione di polizia contro Mediterranea Saving Humans. La Procura della Repubblica di Ragusa ha coordinato perquisizioni effettuate da decine e decine di agenti in tutta Italia, in abitazioni, sedi sociali, e sulla nave Mare Jonio. Le accuse sono pesanti, ma in realtà puntano a colpire la pratica del soccorso civile in mare che Mediterranea promuove dal 2018, attraverso la sua compagnia armatoriale, Idra social shipping, che fornisce all’associazione la nave di ricerca e soccorso e cura la gestione degli equipaggi”. Esordisce così il comunicato stampa di Mediterranea Saving Humans dopo che nella mattinata del 1 marzo uomini delle forze dell’ordine avevano perquisito tutte le sedi dell’associazione e la Nave Mare Jonio.
L’accusa è sempre la stessa: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina:
“Secondo le ipotesi avanzate dalla Procura di Ragusa e affidate a comunicato stampa – ricostuisce Alessandro Puglia su Vita – ci sarebbe stato un accordo di natura commerciale tra la Mare Jonio e il colosso danese Maersk Etienne in merito alle operazioni di trasbordo di 27 migranti avvenuto il 10 settembre. Persone soccorse che erano in mare da oltre 4 settimane quando Mediterranea pose fine alla più lunga permanenza di naufraghi a bordo in una nave commerciale. Un caso che venne soprannominato ‘Vergogna d’Europa’”.
Perquisizioni in tutte le sedi di @RescueMed e sulla #MareJonio. L’accusa è sempre la stessa: #favoreggiamento dell’immigrazione #clandestina. L’Ong: «Mediterranea non si fermerà a causa di questo #attacco e continuerà ad essere in mare» https://t.co/W2iskR66QU pic.twitter.com/EssBk4g81T
— DinamoPress (@DinamoPress) March 2, 2021
All’epoca dei fatti, era il 12 settembre, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati espresse parole di ringraziamento verso il governo italiano per avere contribuito a interrompere il più lungo e drammatico stop mai registrato a causa del rifiuto maltese di accogliere i profughi.
2. Un porto per le 363 persone a bordo della Sea Watch
Dopo 10 giorni di navigazione e diverse operazione di salvataggio Sea-Watch è in cerca di un porto sicuro in cui far sbarcare i 363 migranti presenti a bordo.
🔴 Il TAR di Palermo ha sospeso oggi i fermi che bloccavano #SeaWatch4 in porto da 6 mesi, in attesa di un pronunciamento della Corte di Giustizia UE.
Intanto #SeaWatch3 aspetta con urgenza un porto sicuro per le 363 persone a bordo.
Il comunicato 👇https://t.co/YnDhwHKixq pic.twitter.com/hoqhR0Xkx3
— Sea-Watch Italy (@SeaWatchItaly) March 2, 2021
“Due dei tre ponti sono pieni di famiglie, padri con figli, donne con bambini, minori non accompagnati, neonati. Vengono da Sudan, Mali, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Camerun, Ghana, Gambia, Guinea, Niger, Nigeria. Un terzo di tutte le persone salvate nei cinque soccorsi operati tra venerdì e domenica hanno meno di 18 anni” scrive Lara Tomasetta su TPI.
La nave umanitaria ha chiesto il Place of safety per sbarcare i naufraghi a Italia e Malta. La prima richiesta è partita sabato sera, la seconda domenica, l’ultima il 1 marzo, ma al momento non è arrivata ancora nessuna risposta.
Intanto le condizioni meteorologiche – racconta sul Manifesto Giansandro Merli – stanno peggiorando e a bordo aumenta la stanchezza.
Finalmente, questa mattina, la tanto attesa notizia: alla Sea Watch è stato assegnato il porto di Augusta.
3. Cambiamento climatico, un’arma nelle mani degli xenofobi
Le migrazioni dovute ai cambiamenti climatici sono già in atto da ormai qualche anno e nel prossimo futuro continueranno a crescere: secondo la Banca Mondiale, entro il 2050, fino a 143 milioni di persone che attualmente vivono nei paesi dell’Africa subsahariana, dell’Asia meridionale e dell’America Latina, potrebbero muoversi forzatamente. (Ne parlavamo qui con Diego Andreucci e Andrea Oleandri).
Ma cosa succede se il cambiamento climatico diventa una nuova arma da utilizzare contro i migranti?
Sul New Yorker, Cristina Baussan, Letícia Duarte, Ottavia Spaggiari e Sarah Stillman, raccontano cosa è successo quando l’uragano Dorian ha colpito le Bahamas nel 2019: ai migranti dell’isola è stato prima detto di non temere e di cercare riparo, salvo poi trovarsi senza più un riparo e in molti casi finire deportati. Un interessante reportage che riflette, purtroppo, una tendenza globale.
4. Hotspot: continuano i trattenimenti illegittimi di cittadini stranieri
L’Italia non si è ancora adeguata a quanto stabilito dalla CEDU nella sentenza Khlaifia sul trattenimento illegittimo nei centri hotspot. È quanto denunciato dalla Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili insieme ad A Buon Diritto e all’Associazione Studi Giuridici Immigrazione, che hanno scritto al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa al fine di segnalare alcune prassi poste in essere all’interno degli hotspot italiani che continuano a ledere i diritti umani delle persone lì trattenute.
🔴 L’Italia non si è ancora adeguata a quanto stabilito dalla #CEDU nella sentenza Khlaifia sul tattenimento illegittimo negli hotspot.
Con @abuondiritto e @asgi_it lo abbiamo denunciato scrivendo al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europahttps://t.co/hKPVq9FsbK
— CILD (@Cild2014) March 2, 2021
“Nonostante nel 2016 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si fosse pronunciata in merito condannando l’Italia per la detenzione arbitraria di cittadini stranieri nel Centro di soccorso e prima accoglienza di Contrada Imbriacola a Lampedusa e a bordo delle navi Vincent e Audacia – si legge nella comunicazione -, la detenzione negli hotspot italiani è ancora oggi caratterizzata da assenza di base legale e condizioni di trattenimento che non garantiscono il rispetto dei diritti e la dignità dei cittadini stranieri in arrivo”.
5. Detenzione migrante ad un anno dalla pandemia. Cosa è cambiato?
Cosa è cambiato nella detenzione migrante nell’anno della pandemia? Molto poco in realtà, come si scopre leggendo il lavoro del Jesuit Refugee Service Europe intitolato “Covid-19 and Immigration Detention: Lessons (Not) Learned”.
One year of #Covid19, international travel still highly discouraged, yet people remain in detention, more isolated due to limitations on visits and often longer due to flight scarcity and impossibility to enforce return.
Read more in our new report 📄https://t.co/lKSYTZn6Sf pic.twitter.com/X4eRMPSySG
— JRS Europe (@JRSEurope) February 25, 2021
Il report descrive l’impatto del Covid-19 sulla detenzione amministrativa in sette paesi dell’UE (Belgio, Germania, Italia, Malta, Romania, Portogallo, Spagna), analizzando i risultati e le lezioni apprese, ma anche riportando cattive pratiche, evidenziando le decisioni positive prese a livello nazionale e fornendo raccomandazioni alle autorità nazionali e alle istituzioni europee su cosa fare durante e dopo la pandemia.
6. Frontex: ora indaga il Parlamento Europeo
“Quattordici eurodeputati, due per ogni gruppo politico, hanno istituito un intergruppo di lavoro che per quattro mesi indagherà sulle attività dell’agenzia, con particolare attenzione al rispetto dei diritti umani.” Come scrive Vincenzo Genovese su Linkiesta a rischiare il posto è il direttore dell’Agenzia Fabrice Leggeri.
L’operato di Frontex – ce ne parla Anna Dotti qui – è finito sotto indagine per aver partecipato, in modo diretto e non, a una serie di respingimenti illegali di migranti nelle acque dell’Egeo, dalla Grecia verso la Turchia.
7. The Big Wall: come l’Italia spende miliardi per bloccare i migranti
Lo denuncia dopo quasi sei mesi di lavoro, ActionAid che pubblica “The Big Wall”: non un rapporto di ricerca, ma un’inchiesta multimediale che vuol rendere fruibile a tutti una storia lunga e complessa, quella dei tentativi italiani di fermare le migrazioni via mare dal continente africano.
Dal 2015 l'Italia ha investito 1 miliardo e 337 milioni di euro, la parte più sostanziosa, quasi il 50%, ha riguardato il controllo dei confini.
Solo l'1,3% le vie legali e sicure
Un nuovo rapporto di @ActionAidItalia sul business della frontiera.https://t.co/TuZ7vW6edr
— Eleonora Camilli (@EleonoraCamilli) March 2, 2021
Satelliti, droni, navi, progetti di cooperazione, posti di polizia, voli di rimpatrio, centri di formazione. Sono mattoni di un muro invisibile, ma tangibile e spesso violento.
Con un unico obiettivo: azzerare quei movimenti via mare, dal Nord Africa all’Italia.
“Per farlo – spiega Giacomo Zandonini – il nostro paese ha messo in campo risorse proprie e fondi dell’Unione Europea, ed una serie di interventi distribuiti tra le acque del Mediterraneo e 25 paesi africani, viaggiando a ritroso lungo le rotte delle migrazioni, dalle coste del nord Africa fino all’equatore. Non c’è quindi solo la Libia, dove l’intervento italiano ha dato vita ad un ciclo di intercettazioni in mare, detenzione e rimpatri, accompagnato da un corollario di violenze e abusi contro persone in viaggio, ma anche Egitto, Tunisia, Niger, Sudan, Etiopia e molti altri paesi per cui, dalla ‘crisi dei rifugiati’ del 2015 in poi, la questione migratoria è diventata prioritaria, entrando con prepotenza in negoziati su cooperazione e partnership politiche e commerciali.”
8. Agricoltura e sfruttamento un legame che si consolida in tutta Europa
Il settore agricolo europeo si regge sullo sfruttamento del lavoro stagionale, sui contratti fantoccio, su scarsi controlli. Lo afferma il rapporto realizzato dall’Associazione Terra “E(U)XPLOITATION: il caporalato, una questione meridionale. Italia, Spagna, Grecia”.
Qual è quindi la situazione nel nostro paese? A spiegarlo è Fabio Ciconte – direttore dell’Associazione – in questo articolo di Flavia Carlorecchio per Repubblica:
“L’Italia ha compiuto passi avanti nella lotta al caporalato, in particolare con la legge 199/2016, o legge anti-caporalato. Tuttavia, molti problemi legati allo sfruttamento del lavoro sono duri a scomparire. Nell’Agro Pontino laziale è diffuso il lavoro a cottimo: un bracciante impegnato nella raccolta dei ravanelli riceve 0,02 euro per un mazzetto di 10 ravanelli. C’è poi il lavoro grigio, piaga di tutto il sud Italia. Laddove le condizioni di lavoro sono migliorate, esiste ancora spazio per lo sfruttamento: “Nel foggiano, dopo anni di battaglie, la raccolta meccanizzata del pomodoro ammonta oggi al 90%. Ma quel 10% lascia ancora un ampio margine di sfruttamento: sono circa 50mila giornate di lavoro per 800 lavoratori”.
Foto di copertina di Alexander Jaschik