1. La Corte Costituzionale riafferma l’importanza del soccorso in mare
Una nuova sentenza della Corte costituzionale ha portato un po’ di chiarezza sulla disciplina italiana contro le ONG e il cd. Decreto Piantedosi.
“La Corte ha innanzitutto riconosciuto la natura penale e il carattere punitivo della disciplina al punto da rilevare la sua “vocazione marcatamente dissuasiva” rispetto all’attività di soccorso. L’Italia deve dunque interrogarsi sulla necessità di una disciplina penale piuttosto che su una attività di reale coordinamento e collaborazione. Afferma ancora che le indicazioni che devono essere rispettate dai comandanti delle navi umanitarie sono esclusivamente quelle legalmente date e conformi alle regole della Convenzione di Amburgo e delle altre norme concernenti di soccorso in mare. L’inosservanza non può essere sanzionata in quanto tale ma in quanto abbia ad oggetto un provvedimento legittimo dal punto di vista formale e sostanziale”, riporta l’Asgi.
E ancora: “dopo avere ricostruito il quadro della normativa internazionale e l’importanza che il salvataggio si concluda in un porto sicuro in cui siano garantiti i diritti fondamentali delle persone nel più breve tempo possibile e senza gravosi oneri per il capitano, i giudici affermano chiaramente che non è vincolante pertanto un ordine che conduca a violare il primario ordine di salvataggio della vita umana e che sia idoneo a metterla a repentaglio e non ne può essere sanzionata l’inosservanza […], principio che vale tanto più in collegamento con il divieto di respingimento di cui alla Convenzione di Ginevra e il divieto di tortura e trattamenti inumani, rispetto ai quali “non sono ammesse deroghe”.
2. Nel Cpr di Roma gravi violazioni dei diritti fondamentali
L’On. Rachele Scarpa e l’avvocata Martina Ciardullo hanno recentemente effettuato un sopralluogo presso il Cpr di Roma, evidenziandone le gravi criticità.
“La delegazione ha rilevato delle condizioni igienico-sanitarie particolarmente critiche. Uno stato generale di sporcizia e degrado, la presenza di insetti e cimici da letto, materassi con macchie di sangue o muffa e stanze prive di arredi di base. Le pulizie vengono effettuate in modo superficiale e irregolare; i servizi igienici risultano mal funzionanti, umidi, maleodoranti e privi di illuminazione. Le persone trattenute hanno lamentato la presenza disturbante di zanzare e mosche, riferisce il report, sottolineando come l’ambiente si presenti molto umido e afoso”, si legge su Melting Pot Europa. E ancora: “allarmante anche la situazione sanitaria e psichiatrica: l’assistenza medica è carente, con un solo medico presente per cinque ore al giorno e l’assenza di un presidio psichiatrico interno. Le visite psichiatriche, da svolgersi esternamente, sono limitate a due alla settimana per mancanza di disponibilità della scorta. La delegazione ha riscontrato «tempi di attesa assolutamente incompatibili con la necessità di tutelare le persone che presentino vulnerabilità psichiatriche”.
3. Anche i “nuovi” italiani se ne vanno dall’Italia
L’Italia non è un paese attrattivo nemmeno per gli e le italiane di altre origini. Discriminazioni ed esclusione, oltre a un contesto socio-economico sempre più insostenibile, sono alla base delle motivazioni.
“Un terzo di chi espatria è nato all’estero”, scrive la giornalista Eleonora Camilli su La Stampa. “Scelgono di partire per un riconoscimento e un futuro lavorativo migliore ma spesso la spinta all’espatrio è motivata anche dalla delusione di sentirsi cittadini di serie B […]. Per molti di loro, l’Italia non è più l’Eldorado che avevano inseguito i genitori, ma un luogo in cui sentono sulla loro pelle forme più o meno esplicite di discriminazione costante”. Sostiene Antonio Ricci, vicepresidente del Centro Studi e Ricerche Idos, intervistato da Camilli: “la migrazione dei nuovi italiani impone una riflessione critica sulle politiche di inclusione […]. All’estero vengono riconosciuti per le loro capacità e non giudicati per le loro origini etniche”.
E’ il caso di Hajar Drissi, una giovane italiana di origini marocchine che si è trasferita in Belgio, dove lavora come campaigner digitale per organizzazioni che si occupano di giustizia climatica e sociale: “quando cresci in un paese che non investe mai su di tel, l’unica cosa che hai voglia di fare è scappare […]. Ho studiato Scienze Politiche a Bologna e proprio in quel periodo ho capito che in Italia sarei sempre stata una straniera in patria […].”
4. Gli attracchi in Italia non sono terminati
Il governo tace ma gli attracchi in Italia continuano.
“A dirlo è il cruscotto statistico giornaliero [..]. Secondo il quale dal 1 gennaio al 30 giugno di quest’anno, i migranti arrivati sulle coste del nostro paese sono stati 30.269, contro i 26.202 dello stesso periodo del 2024. Detto altrimenti, si tratta di un aumento del 15,5%”. E ancora: “certo, sono lontani i valori del 2023, il primo del governo guidato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni entrato in carica nell’autunno del 2022: nel primo semestre di quell’anno, ad arrivare su barche di fortuna furono 65.828 persone. Il 2023 era l’anno che si era aperto con la strage di Cutro, paesino della Calabria sulle cui spiagge morirono a febbraio 64 persone. E che si era concluso con gli sbarchi di 157.652 migranti, in aumento del 49,9% rispetto al 2022 e del 133,6% rispetto al 2021”.
5. Spari in un campo profughi in Francia
Nelle ultime settimane si sono verificate sparatorie a Loon-Plage, nel nord della Francia, un punto di ritrovo per i migranti che sperano di attraversare la Manica verso il Regno Unito.
“Si sentono diversi colpi d’arma da fuoco, seguiti da una fuga precipitosa. La violenza ha colpito ancora una volta il comune francese di Loon-Plage. Il rumore degli spari ha riecheggiato intorno a mezzogiorno del 9 luglio nei pressi di un punto di distribuzione alimentare organizzato nel comune, situato nel nord della Francia. Diverse centinaia di migranti si riuniscono sul posto una volta al giorno, dove associazioni di aiuto ai migranti come Roots, Care 4 Calais e Medici del Mondo distribuiscono loro pasti caldi. I giornalisti di InfoMigrants erano presenti in quel momento e hanno assistito alla scena. Un uomo ferito da un proiettile che gli ha sfiorato il ginocchio ha ricevuto immediata assistenza dall’associazione inglese Roots […”], si legge su InfoMigrants.
E ancora: “le nostre équipe sono riuscite a fornire le prime cure, ma a volte non hanno abbastanza tempo per salvare qualcuno, ha dichiarato Sarah Berry, responsabile dell’organizzazione […] britannica Roots. Due iraniani, colpiti da colpi d’arma da fuoco a metà giugno, sono morti per le ferite riportate, mentre due sudanesi, tra cui un neonato, sono rimasti feriti”.
6. Ritorno alle rovine: i congolesi sfollati costretti a tornare a casa dai ribelli dell’M23
Quasi un milione di persone congolesi è ritornato nelle proprie case da quando il gruppo ribelle M23, sostenuto dal Ruanda e responsabile di una delle più grandi insurrezioni del paese, ha preso il controllo di Goma, la città più grande della Repubblica Democratica del Congo (RdC) orientale, a gennaio.
“Il gruppo, che ha riacceso la sua ribellione alla fine del 2021 dopo anni di inattività, ha prontamente imposto la chiusura dei campi profughi a Goma , dove le persone avevano cercato rifugio sia dai ribelli che dall’esercito congolese e dalle milizie alleate che combattevano contro di loro. Nelle ultime settimane, The New Humanitarian ha intervistato più di 20 rimpatriati provenienti da diverse città e villaggi per valutare la situazione umanitaria che stanno affrontando, il livello di supporto fornito e il modo in cui le comunità si aiutano a vicenda”, scrivono la giornalista Patricia Huon e il giornalista Mushaga Akili sul New Humanitarian.
E ancora: “L’M23 è guidato in gran parte da ribelli Tutsi congolesi che inizialmente hanno giustificato la loro insurrezione sostenendo che il governo della RdC non era riuscito a implementare un precedente accordo di pace con il gruppo e che le comunità Tutsi erano oggetto di discriminazione. Con l’espansione dell’insurrezione, i ribelli (parte di una stirpe di gruppi armati della RdC sostenuti dal Ruanda) svilupparono ambizioni nazionali più ampie sotto la bandiera dell’Alleanza del fiume Congo […], che chiede la rimozione del presidente Félix Tshisekedi”.