1. Tre fermi amministrativi per altrettante navi delle Ong impegnate nel Mediterraneo
Nelle ultime settimane l’Italia, attraverso il Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) di Roma (organismo che risponde alla Guardia costiera, la quale a sua volta dipende dal ministero dei Trasporti), aveva coordinato una serie di salvataggi multipli condotti dalle navi di alcune Ong impegnate nel Mediterraneo. Quei salvataggi multipli proibiti dal codice di condotta e che, in questi giorni, sono stati tra le cause dei fermi amministrativi subiti da Open Arms e Sea Eye4.
Come scrive Giansandro Merli sul Manifesto: “Per entrambe è andata così: sono intervenute su un barcone partito dalla Libia; l’Italia ha assegnato un porto lontano (rispettivamente: Marina di Carrara e Salerno); risalendo verso nord hanno ricevuto altre richieste di aiuto a cui hanno risposto. Due a testa. Le Ong sostengono di aver chiesto all’Imrcc quali assetti si stessero dirigendo verso i barconi in pericolo. Non avendo avuto comunicazioni sono intervenute, nonostante l’Imrcc insistesse perché andassero «tramite rotte dirette e alla massima velocità sostenibile» nei porti indicati”.
Il blocco, per ciascuna imbarcazione, è di 20 giorni. Analoga detenzione è stata commiata anche all’imbarcazione veloce di Sea-Watch a cui è stato contestato lo sbarco a Lampedusa invece che a Trapani.
La Ong ha spiegato che “sbarcare a Lampedusa era l’unica opzione possibile per Aurora viste le limitate risorse di carburante, cibo e acqua potabile della nave per raggiungere il porto di Trapani, inizialmente indicato dalle autorità italiane. Un porto apparentemente vicino ma irraggiungibile per l’Aurora con un tanto alto numero di persone a bordo”.
🔴 #Aurora è stata sequestrata dopo aver salvato e fatto sbarcare 72 persone a Lampedusa. Secondo le autorità dovevano sbarcare a Trapani, dove non potevano arrivare, o in Tunisia, dove non sono garantiti i diritti umani.
Il comunicato: https://t.co/JDFn6hY8Mx pic.twitter.com/uVSVx8nn1Y
— Sea-Watch Italy (@SeaWatchItaly) August 21, 2023
In un periodo in cui le partenze e gli arrivi sono molto numerosi, il fermo di queste tre navi significa lasciare il Mediterraneo con meno soggetti dediti alla ricerca e salvataggio.
2. Aumentano le partenze dalla Tunisia dopo il memorandum siglato con Italia e UE
Lo scorso mese di luglio Unione Europea e Tunisia, alla presenza anche dalla Premier italiana Giorgia Meloni, avevano sottoscritto un memorandum che, tra i vari punti, si occupava anche di migrazione e controllo delle frontiere.
Un accordo criticato da più parti. Asgi aveva parlato di un memorandum attraverso cui l’Ue avrebbe sottoscritto rastrellamenti, deportazioni illegali e violenze contro i migranti.
L’obiettivo era quello di esternalizzare le frontiere, evitando le partenze dal paese nordafricano che, nel 2023, è diventato il principale paese di partenza delle persone migranti.
Nonostante le violenze e le forti politiche anti-migratorie della Tunisia (di cui avevamo parlato anche su Open Migration), tuttavia, il numero delle partenze è cresciuto nelle ultime settimane, come mostra Matteo Villa.
🇹🇳🇪🇺 #Migranti, memorandum UE-Tunisia: come sta andando?
Nelle cinque settimane precedenti il memorandum, gli sbarchi dalla Tunisia in Italia erano stati 17.352.
Nelle cinque settimane successive al memorandum, gli sbarchi dalla Tunisia in Italia sono stati 23.907 (+38%). pic.twitter.com/92DTcUdHo9— Matteo Villa (@emmevilla) August 23, 2023
3. Onu e Stati Uniti aprono ad un nuovo governo tecnocratico in Libia
Lo scorso 22 agosto Abdoulaye Bathily, Rappresentante speciale del Segretario generale per la Libia e capo della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia, intervenendo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha illustrato la situazione del paese nordafricano.
In particolare Bathily ha sottolineato come la situazione in Libia sia tornata ad essere estremamente fragile a causa di scontri fra gruppi armati interni che “sottolineano l’assenza di comando e controllo sul frammentato apparato di sicurezza nella Libia occidentale e lo stato precario della situazione della sicurezza”. Fragilità alimentata anche da quanto sta avvenendo in Niger e in Sudan, con possibilità di un contagio in tutta la zona.
Una posizione condivisa dagli Stati Uniti che, per bocca dell’ambasciatrice all’Onu Linda Thomas Greenfield, hanno sottolineato come “tutte le parti – Camera dei Rappresentanti, Alto Consiglio di Stato, Governo di unità nazionale, Esercito nazionale libico e Consiglio presidenziale – devono unirsi per raggiungere i compromessi necessari per tenere le elezioni”. “Il popolo libico è pronto al compromesso. Un compromesso che porterà elezioni e stabilità. A tal fine, siamo aperti a sostenere la formazione di un governo tecnico tecnocratico il cui unico compito sarebbe quello di portare il Paese a elezioni libere ed eque”.
Uno scenario – come scrive Nello Scavo su Avvenire – che potrebbe cambiare i piani italiani che con l’attuale governo libico stava cercando accordi su gas, idrocarburi e migranti.
4. Migliaia di persone sono bloccate in Niger dopo il colpo di Stato
Sarebbero circa 7.000 le persone attualmente bloccate in Niger dopo che, a seguito del colpo di Stato del luglio scorso, le frontiere aeree e terrestri del paese sono state bloccate. A riportare il dato è l’Associated Press che cita le Nazioni Unite.
Il Niger rappresenta uno snodo importante nelle rotte migratorie africane ed è il principale punto di passaggio per coloro che cercano di raggiungere la Libia per poi attraversare il Mediterraneo verso l’Europa.
Sempre secondo alcuni funzionari delle Nazioni Unite – citati ancora da AP – si stima che circa 1.800 persone vivano nelle strade del Niger perché i centri gestiti dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni sono troppo affollati per accoglierne di più. I centri ospitano circa 5.000 persone (il 14% in più della loro capacità) che cercano di tornare a casa.
5. L’Arabia Saudita spara su rifugiati al confine HRW
“Le guardie di frontiera saudite hanno ucciso almeno centinaia di migranti e richiedenti asilo etiopi che hanno tentato di attraversare il confine tra Yemen e Arabia Saudita tra marzo 2022 e giugno 2023”. È quanto emerge da un rapporto di Human Rights Watch pubblicato lo scorso 21 agosto. Se commessi come parte di una politica del governo saudita volta a uccidere i migranti, questi omicidi, che sembrano continuare, costituirebbero un crimine contro l’umanità.
Saudi authorities are spending billions on sports-washing to improve their image.
But out of public view, Saudi border guards have killed at least hundreds of Ethiopian migrants and asylum seekers, including women and children, who tried to cross the Yemen-Saudi border. pic.twitter.com/1XmJavfxWI
— Human Rights Watch (@hrw) August 21, 2023
Il rapporto “They Fired on Us Like Rain’” si basa sulla raccolta di diverse testimonianze di migranti e richiedenti asilo etiopi che hanno tentato di attraversare il confine tra Yemen e Arabia Saudita, nonché dall’analisi di oltre 350 video e fotografie pubblicati sui social media o raccolti da altre fonti, e diverse centinaia di chilometri quadrati di immagini satellitari.
La BBC ha raccolta separatamente la voce di alcuni testimoni, tra queste anche quella di Mustafa Soufia Mohammed, ragazzo di 21 anni che ha sottolineato come del suo gruppo 45 migranti sono stati uccisi in una “sparatoria andata avanti all’infinito”, e lui stesso è stato ferito ad una gamba.
Come riporta Al Jazeera, una fonte del governo saudita ha nel frattempo negato le accuse, ma altri governi hanno preso posizione sui fatti riportati da HRW.
6. Morti 18 richiedenti asilo negli incendi in Grecia
La Grecia negli ultimi giorni è sconvolta nuovamente da numerosi incendi che stanno interessando alcune parti del paese. Allo spegnimento di uno di questi, vicino al parco nazionale di Dadia, come riporta Al Jazeera, i vigili del fuoco hanno rinvenuto i corpi di 18 persone. Le autorità greche pensano si possa trattare di richiedenti asilo, in quanto la zona si trova al confine con la Turchia ed è un frequente punto di ingresso per migranti e rifugiati.
John Psaropoulos, inviato di Al Jazeera da Atene, ha sottolineato che l’assenza di segnalazioni di persone scomparse nelle città e nei villaggi vicini ai luoghi dell’incendio “porta alla teoria secondo cui queste persone sono migranti non registrate che hanno attraversato il confine e si stavano nascondendo dalla polizia”.
Nel frattempo, come scrive Open, un altro corpo è stato ritrovato dai vigili del fuoco nella zona di Lefkimmi, nel nord-est del Paese. Anche in questo caso, si tratta – con ogni probabilità – di un migrante, anch’egli trovato carbonizzato.
7. I nuovi articoli su Open Migration
La Tunisia è diventata il principale luogo di partenza verso l’Italia e l’Europa. Questo ha acceso i riflettori e le attenzioni dell’Unione Europea verso questo paese. Oltre al flusso di migranti in arrivo dall’Africa subsahariana, sono molti i tunisini, specialmente quelli più giovani, desiderosi di partire a causa della crisi economica del paese che preclude opportunità. Tuttavia, affrontare il problema dalla fine, non aiuta a trovare soluzioni, come spiega Mostafa Abdelkebir, presidente dell’Osservatorio per i diritti umani in Tunisia, in quest’intervista con Ilaria Romano.
Foto copertina via Twitter/Open Arms