Nella notte di mercoledì 29 settembre, nel ghetto dell’ex fabbrica Calcestruzzi Selinunte nel territorio tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, in cui alloggiano 300 braccianti stranieri che lavorano come raccoglitori di olive, è divampato un incendio. Nonostante l’intervento dei soccorsi, arrivati comunque due ore dopo, un uomo originario della Guinea Bissau di nome Omar Baldeh è deceduto tra le fiamme mentre dormiva. Questo episodio è l’ennesimo esempio lampante non solo delle condizioni disumane in cui spesso sono costretti a vivere lavoratori e lavoratrici straniere, ma anche della marginalizzazione, dello sfruttamento della manodopera a basso costo e del razzismo istituzionale e sistemico – si pensi alle baraccopoli, ai ghetti e all’esclusione sociale, come più volte denunciato dal collettivo Coordinamento Migranti e dalle persone migranti stesse – che, a un anno dalle proteste contro discriminazioni e razzismo continuano a produrre gli stessi risultati nocivi.
Quando si parla di razzismo, si tende a pensare che si tratti di episodi sporadici. Il razzismo è infatti un tema che ottiene una certa visibilità solo quando un’aggressione (o purtroppo un’uccisione) a sfondo razziale ottiene le prime pagine dei giornali. In realtà non esiste solo questo tipo di discriminazione: partendo dalle leggi o dai provvedimenti di uno Stato e del suo approccio con le soggettività che, pur facendone parte, vengono escluse e trascurate si può parlare di razzismo sistemico. Partendo proprio dall’ultimo incendio a Castelvetrano, in cui già i braccianti hanno iniziato a ricostruire tende di fortuna, è inevitabile far riferimento alle leggi vigenti in materia di immigrazione. Se le persone migranti sono in diversi casi costrette a lavorare, spesso in nero e senza alcuna garanzia, in condizioni disumane è per via di leggi come la Bossi-Fini, che vincola l’ottenimento del permesso di soggiorno al contratto di lavoro – tramite il paradossale concetto di far incrociare domanda e offerta quando la persona straniera si trova ancora nel Paese di origine – e che ha di fatto creato maggior irregolarità e conseguentemente vulnerabilità tra le persone straniere.
Nonostante le ripetute denunce da parte degli esperti in diritti umani sulle storture di una legge simile, la politica non ha mai voluto fare passi avanti per tutelare i diritti delle persone straniere – in particolare di quelle provenienti da Paesi extra Ue e a basso reddito: nel caso della legge Bossi-Fini, svincolare il permesso di soggiorno dal contratto di lavoro, potrebbe rappresentare un primo passo avanti.
Da più di trent’anni, le istituzioni hanno invece sempre proceduto per “sanatorie” nel momento in cui si accorgevano del gran numero di persone straniere non regolarizzate, seppur lavoratrici nel territorio. L’ultima, quella introdotta lo scorso anno nel Decreto Rilancio dall’allora ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova, secondo le ultime stime della campagna Ero Straniero, continua a essere un insuccesso: su 230.000 domande solo 60.000 permessi di soggiorno sono stati rilasciati in un anno, il 26% del totale. Il problema di queste soluzioni momentanee ed emergenziali non vanno comunque alla radice di un problema sistemico che risiede proprio nei provvedimenti sull’immigrazione. Senza contare che non vengono contemplate soluzioni per procurare sistemazioni dignitose e case a chi è costretto a vivere nelle baraccopoli e a cui è riservato un trattamento da schiavi – come ha spiegato l’attivista Yvan Sagnet nel documentario Slaves in Italy? (2019) sul caporalato in Italia.
Non avere documenti implica anche subire maggior esclusione sociale dal punto di vista sanitario: la campagna vaccinale per le persone straniere prive di documenti, ad esempio, continua a essere ostacolata da problemi di tipo burocratico. In diverse regioni, il sistema informatico, al quale si accede con il link che ogni vaccinato riceve tramite sms o via mail, non riconosce il codice Stp (Stranieri Temporaneamente Presenti) che viene dato alle persone senza documenti per accedere alle prestazioni sanitarie. Questo implica che per queste persone, anche se vaccinate, non è possibile scaricare il green pass che, come ha spiegato Maurizio Bove, responsabile del dipartimento immigrazione della Cisl di Milano: “Non serve solo per andare al cinema o al ristorante, ma anche per accedere a servizi della pubblica amministrazione, per prendere un treno[…]”. Questi problemi, secondo l’Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e secondo il sindacalista Aboubakar Soumahoro, avrebbero potuto essere risolti se anziché promuovere una sanatoria poco inclusiva fosse stata promossa una regolarizzazione con permesso di soggiorno per emergenza sanitaria, convertibile in lavoro, a prescindere dal processo lavorativo.
Oltre a percepire il razzismo unicamente come specchio di una determinata ideologia di partito o come propaganda di un singolo politico – si pensi a quella sulla “sostituzione etnica” e a tutta la propaganda anti-immigrazione tra il 2017 e il 2019 dei partiti Lega e Fratelli d’Italia – si tende a pensare che una volta fatto fuori il politico sovranista e conservatore di turno, il razzismo scompaia automaticamente. Tuttavia, passare dal ministro dell’Interno Matteo Salvini alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese non ha portato a una rottura effettiva con l’impianto legislativo che di fatto criminalizza le persone migranti. Basti pensare al fatto che ancora oggi esistano l’inutile “reato di clandestinità” e la detenzione, di fatto senza reato, delle persone migranti nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr), in cui pestaggi da parte delle forze dell’ordine e negligenza nei confronti dei bisogni di base delle persone trattenute sono all’ordine del giorno. E benché venga ripetuto da anni che questi Centri debbano essere chiusi, nemmeno il recente suicidio del giovane Moussa Balde nel Cpr di Torino, o le continue proteste all’interno dei Cpr in Italia, hanno fatto sì che ci fosse, se non un supermento effettivo, quantomeno un’attenzione e una soluzione alle problematiche urgenti all’interno dei Centri da parte delle istituzioni.
Inoltre, se da un lato le stesse istituzioni esprimono solidarietà nei confronti dell’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, conosciuto per il “modello di accoglienza” realizzato a Riace, dall’altro non si può non sottolineare una certa ipocrisia delle stesse nel momento in cui, come è stato affermato da diverse organizzazioni che si occupano di diritti delle persone migranti, sono oltre 1100 i migranti morti in mare nel 2021, 18400 dal 2014.
Ricordiamo infatti che l’Italia, oltre ad avere leggi restrittive sull’immigrazione – secondo una ricerca del 2019 del think tank Tortuga, le richieste di visto sono aumentate di un terzo, passando da 82mila a 106mila, con un tasso di rifiuto delle domande da paesi sub-sahariani più che raddoppiato, passando dal 10% del 2010 al 22,5% del 2017– ha tutt’ora un Memorandum d’Intesa siglato con le milizie libiche per catturare le donne e gli uomini migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo. Tale accordo – in netto contrasto con il diritto internazionale sulla protezione dei diritti umani – prevede non solo i respingimenti sistematici verso la Libia ma anche l’addestramento delle milizie libiche, le stesse che poi torturano e stuprano le persone trattenute nei loro centri di detenzione.
Un’altra persona colpita dal razzismo istituzionale è Younes El Boussettaoui, ucciso il 20 luglio a Voghera dall’assessore alla sicurezza Massimo Adriatici. Secondo le ultime indagini quest’ultimo avrebbe pedinato Boussettaoui prima di sparargli e dalle chat di un gruppo Whatsapp – pubblicate recentemente ma precedenti all’omcidio – in cui erano presenti sia Adriatici che la sindaca di Voghera, Paola Garlaschelli, figure istituzionali parlavano di sparare alle persone straniere, augurando loro la morte.
Tuttavia, non bisogna pensare che chi continua a subire gli abusi di una politica cieca, escludente e razzista non si attivi: a Castelvetrano i migranti sono ora in protesta da giorni per ottenere documenti e sistemazioni dignitose e, prima che scoppiasse l’incendio, nel mese di luglio, avevano inviato una lettera, ignorata dalla Regione e alla Prefettura, per denunciare le condizioni invivibili in cui erano costretti e costrette a vivere.
Twittare un post accorato quando avviene la tragedia in mare o tirare fuori la questione della riforma di cittadinanza – che oltre 800mila persone italiane de facto ma non de iure attendono da anni – solo quando si è in campagna elettorale non basta. Bisogna capire che le morti di Omar Baldeh, Soumaila Sako, Mohammed Ben Ali, Becky Moses e molti altri non sono “effetti collaterali” ma conseguenze di un sistema profondamente diseguale e strutturalmente razzista basato su leggi antiquate da cambiare o superare.
Foto copertina: migranti di Castelvetrano in protesta via Melting Pot/Twitter