E’ stato ratificato il 19 dicembre a New York il Global compact per una ‘migrazione sicura, ordinata e regolare’. Una firma necessaria nella forma, ma non nella sostanza: l’approvazione ufficiale, infatti, era già arrivata una settimana prima a Marrakech, durante il summit intergovernativo del 10 e 11 dicembre, che ha visto la partecipazione di 164 paesi sui 193 membri delle Nazioni Unite. Proprio l’assenza di più di venti stati ha palesato la polarizzazione tra chi appoggia il documento e chi, invece, non si è ancora espresso in merito o ha pronunciato un netto rifiuto.
Global compact: una piattaforma importante, ma non vincolante
Nato da un processo avviato a settembre 2016, durante il primo summit Onu interamente dedicato alla ‘questione migratoria’, e sollecitato dai paesi europei, il Compact muove i passi dalla Dichiarazione di New York approvata in quella sede, per poi giungere, tra consultazioni e negoziazioni, alla versione ufficiale diffusa lo scorso luglio e approvata da 192 paesi: tutti i membri delle Nazioni Unite, ad eccezione degli Stati Uniti. Un’opposizione isolata, dunque, ma solo in questa prima fase: come vedremo piu avanti, infatti, altri paesi seguiranno gli Usa, venendo meno al sostegno che invece avevano espresso durante il percorso di creazione del Compact.
Il testo può verosimilmente essere considerato il primo tentativo intergovernativo di abbracciare il concetto di migrazione come diritto per tutti, tutelando i valori sanciti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. È dunque un importante punto di partenza: per la prima volta i paesi Onu definiscono una piattaforma focalizzata sui migranti e i loro diritti, attraverso un accordo che riconosce il carattere transnazionale delle migrazioni e la conseguente necessità di lavorare in modo multilaterale, segnalando – attraverso la definizione di 23 punti – alcune vie da percorrere. Il compito di tradurle in pratica, però, spetta ai paesi: concretamente l’accordo non contiene alcun obbligo.
Rifiuti, cambi di rotta e scelte sospese
Fino a dicembre gli Stati Uniti, con la loro opposizione alla dichiarazione di New York, rappresentavano un’eccezione isolata: ora invece lo scenario è mutato. Anche Australia e Cile hanno espresso un netto rifiuto insieme, in Europa, a Ungheria, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Austria. Altri si sono detti incerti e per questo non hanno partecipato al summit in attesa di una decisione: si tratta di Israele, Estonia, Slovenia, Bulgaria e Italia, l’unico tra i paesi bagnati dal Mediterraneo a non essere stato presente a Marrakech (un atteggiamento cambiato in alcuni casi durante la votazione del 19 dicembre quando Australia, Austria e Cile hanno deciso di astenersi, mentre Israele ha votato contro il Compact).
“Il Global compact è un tentativo Onu di far avanzare una governance globale a spese della sovranità degli stati”: così l’amministrazione Usa pochi giorni prima del meeting, riprendendo il fil rouge di tutte le critiche avanzate al documento. “Non firmeremo un documento che mina la nostra sovranità”, dichiarava già a inizio anno l’allora Ministro dell’immigrazione australiano Peter Dutton, cui faceva eco il vice cancelliere austriaco Heinz-Christian Strache: “La sovranità dell’Austria è la nostra priorità e la proteggeremo”.
Eppure, il patto non solo non ha carattere vincolante, come chiarisce l’art.7, cosa che di per sé basterebbe a escludere qualsiasi obbligo per gli stati contraenti, bensì tutela esplicitamente la sovranità nazionale, e lo fa fin dai principi fondativi. “Il documento non dà nessuna imposizione agli stati. E’ sorprendente che ci sia così tanta disinformazione su quello che stabilisce veramente”, ha affermato alla vigilia del summit la rappresentante Onu per la migrazione Louise Arbour. Sul tema è tornato anche il segretario generale Onu Antonio Gutierres durante l’incontro di Marrakech, ribadendo che “Il Global Compact riafferma il diritto sovrano degli stati nel definire le proprie politiche nazionali in materia di immigrazione”.
“La ratifica del patto potrebbe portare a una nuova ondata migratoria, perché afferma che i migranti non possono essere differenziati in base al loro status legale”: così il Ministro degli esteri ungherese Péter Szijjártó, sollevando un altro dei punti intorno ai quali si sono mosse le maggiori critiche. Un argomento ripreso anche dal premier australiano Scott Morrison, secondo cui “Il compact non fa distinzione tra chi entra illegalmente in Australia e chi viene nel modo giusto”. Eppure, anche in questo caso è lo stesso documento a fugare ogni dubbio, quando al paragrafo 4 specifica che “migranti e rifugiati sono due gruppi distinti disciplinati da quadri giuridici separati”. Proprio per questo, l’Unhcr ha redatto un Compact ad hoc, incentrato sui titolari di protezione internazionale. Un documento che l’Assemblea Generale dell’Onu ha approvato il 18 dicembre, in questo caso a larga maggioranza: 181 i voti favorevoli – tra cui quello dell’Italia – tre astenuti e solo due i contrari: Usa e Ungheria. Il Global compact on refugees, anch’esso non vincolante, si basa su un’idea di responsabilità che dovrebbe sottostare alla cooperazione internazionale tra paesi, con l’obiettivo di stabilire una cornice comune per la gestione dell’accoglienza dei rifugiati, fondata sui principi già contenuti nella Convenzione di Ginevra del 1951 che, per prima, sanciva a livello internazionale i diritti dei rifugiati e gli obblighi degli stati. In particolare, l’accordo mira a incrementare l’autonomia dei rifugiati nei paesi di arrivo, rafforzando i servizi e migliorando le politiche di accesso all’istruzione, al lavoro, e in generale volte a favorire una vita attiva all’interno della società di accoglienza. Il documento prevede anche la possibilità dei ritorni volontari in patria, indicandolo come la soluzione da preferire, a condizione di garantire condizioni di sicurezza. Tutti obiettivi che dovranno essere verificati ogni 4 anni nel Forum globale indetto per il controllo dell’operato dei paesi.
“Una pietra miliare”
Se alcuni hanno fatto dietro-front venendo meno al supporto confermato mesi prima, altri hanno mantenuto fede a quanto espresso fin dall’inizio dei lavori. Tra loro la cancelliera Angela Merkel, una delle maggiori sostenitrici del Global compact: già prima del summit intergovernativo, durante una seduta parlamentare, la cancelliera aveva accusato gli oppositori al documento di “nazionalismo nella sua forma più pura”, laddove si affermi di “poter risolvere tutto da soli senza dover pensare a nessun altro”.
Particolarmente attesa a Marrakech la Merkel, richiamando l’attenzione sulla situazione attuale – “un mondo in cui ci sono 222 conflitti violenti, 68,5 milioni di rifugiati, il 52 per cento dei quali bambini”- ha definito il compact “una pietra miliare”, ribadendo l’importanza di “un approccio multilaterale” e sottolineando gli apporti benefici delle migrazioni, con uno sguardo particolare ai paesi di ingresso: “Le migrazioni sono un fenomeno normale. Quando sono legali, sono una cosa positiva. Nei molti luoghi in cui la fertilità è in declino e l’aspettativa di vita in aumento, senza immigrazione le economie dei paesi piu sviluppati ristagneranno. Questi paesi hanno bisogno di migranti, dalla cura degli anziani alla prevenzione del collasso dei servizi sanitari”, ha dichiarato la cancelliera. I vantaggi – soprattutto in chiave economica – sono stati piu volti ribaditi a Marrakech. “Il Global compact rappresenta un quadro utile per i paesi di origine, destinazione e transito”, ha affermato il ministro canadese per l’immigrazione Ahmed Hussen.
Anche la Commissione europea è intervenuta al summit e, rappresentata dal commissario per la migrazione Dimitris Avramopoulos, ha definito il Compact “una risposta a coloro che tentano di diffondere la paura”. Impossibile non leggere un riferimento ai paesi dell’Unione che hanno disertato il summit, e che “interpretano il compact in modo sbagliato. Non servirà ad aumentare l’immigrazione, né è un invito alla gente a venire in Europa. Ci aiuterà a ridurre l’immigrazione irregolare”, ha dichiarato Avramopoulos.
Il posizionamento della società civile
Anche la società civile ha accolto l’approvazione del Compact con umori differenti. “Siamo molto soddisfatti, mette al centro l’essere umano”, ha affermato il presidente della Federazione internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna rossa, cui ha fatto eco Save the Children: “Le migrazioni sono una sfida globale, l’unico modo per vincerla è che i paesi lavorino insieme. Questo Global Compact non ha precedenti. Se gli Stati trasformeranno questi principi in azioni, miglioreranno la vita di milioni di minori migranti”, ha dichiarato Helle Thorning-Schmidt, ceo dell’ong.
Non è mancato chi del Compact ha evidenziato i limiti. “Purtroppo, la natura non vincolante del patto fa si che la sua attuazione si fondi sulla buona volontà degli stati”, è stato il commento di Amnesty International, seguita da Action Aid, che con le parole del Policy advisor presente a Marrakech Roberto Sensi ha affermato che “il Compact non è vincolante e vivrà dunque solo della volontà politica degli stati”, evidenziando la “mancanza di ambizione” del documento, laddove, a causa delle negoziazioni alla base del documento, presenta ancora “troppi compromessi in materia di canali di ingresso sicuri e legali, gestione delle frontiere e detenzione dei migranti, accesso ai servizi per i cosiddetti migranti irregolari, protezione per situazioni di vulnerabilità”. Un giudizio, dunque, su alcuni aspetti particolarmente critici – la detenzione, i viaggi illegali e pericolosi cui i migranti sono costretti a ricorrere in mancanza di canali legali, le condizioni di accoglienza e l’inserimento nei paesi di arrivo – che non si è riusciti a superare.
Le varie posizioni si sono incontrate su un punto: la necessità di sollecitare i paesi assenti a Marrakech. “Questioni globali come il cambiamento climatico, la povertà e la persecuzione delle minoranze etniche e religiose ci invitano a lavorare insieme. Non spariranno se le ignoriamo. Quando i governi guardano oltre i loro bisogni immediati e le richieste elettorali, iniziano a proteggere e promuovere il bene comune, che è il cuore di ogni società fiorente”: questo l’appello del presidente di Caritas International.
Dall’Associazione Ong Italiane (AOI) arriva in questo senso una sollecitazione all’Italia: rappresentata a Marrakech dall’ong CEFA, AOI si è rivolta direttamente al governo italiano, chiedendo di “confermare il sostegno che ha dimostrato in fase di negoziazione del testo”, in linea con il “necessario rafforzamento della cooperazione tra paesi [..] che permetterebbe di massimizzare l’impatto delle azioni messe in campo, a beneficio di tutti: comunità, migranti e Stati membri, in particolare quelli che hanno maggiormente a che fare con grandi pressioni migratorie”.
Al momento, però, la risposta dell’Italia in tal senso non è ancora arrivata. “Non giudico le decisioni sovrane degli stati. Semplicemente dico che i due patti sono paralleli e complementari”, così Filippo Grandi, Alto Commissario Unhcr, commentando le diverse posizioni assunte dall’Italia nei confronti dei due Compact. “Rifugiati e migranti non sono le stesse persone; tuttavia – ha aggiunto Grandi – spesso i problemi che li riguardano e i rischi a cui vanno incontro sono uguali. A mio avviso è un peccato appoggiare un patto e non l’altro perché le sinergie vanno aumentate per affrontare meglio questi problemi. Inoltre, l’Italia, da diversi anni e soprattutto con l’attuale governo, ha condotto una campagna molto importante per chiedere una risposta condivisa in Europa a questi movimenti. I patti rappresentano proprio il tentativo di condividere responsabilità, risorse e risposte: quindi, perché non aderire? Mi sembra una contraddizione”.
Le realtà più piccole, presenti ai Side Events organizzati a margine del summit con l’obiettivo di creare uno spazio di scambio con la società civile, hanno espresso il maggior scetticismo sul Compact, mostrandosi caute sulla realizzazione dei concetti che delinea. “E’ un punto di partenza, e non di arrivo, per la piena realizzazione dei diritti dei migranti”, ha specificato Catherine Tactaquin del Women in migration Network. Particolarmente critica l’analisi del Gadem (Gruppo Antirazzista Difesa Stranieri e Migranti), che, abbracciando un ragionamento piu ampio, ha commentato: “È il paradosso del mondo in cui viviamo: un mondo in cui si attivano dispositivi logistici e politici che facilitano il movimento, cercando al contempo di controllarlo smistando, separando, classificando e allontanando. É questo paradosso, e la necessità di risolverlo, che ritroviamo al centro del Patto mondiale per delle migrazioni sicure, ordinate e regolari”.
Immagine di copertina: UN Photo/Manuel Elia