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Homepage >> Approfondimento >> Caso Iuventa: si racconta il capitano che rischia 20 anni di carcere per aver soccorso naufraghi nel Mediterraneo

Caso Iuventa: si racconta il capitano che rischia 20 anni di carcere per aver soccorso naufraghi nel Mediterraneo

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10 febbraio 2022 - Anna Dotti
A parlare è l’attivista Dariush Beigui, capitano della nave Iuventa della tedesca Jugend Rettet indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver salvato tra settembre del 2016 e giugno del 2017 centinaia di vite nelle acque del Mediterraneo. L’inchiesta ha portato al sequestro della nave e al processo che vede indagato lo stesso Beigui, che rischia fino a 20 anni di carcere. Lo ha intervistato per noi Anna Dotti.

Dariush Beigui, 43 anni, fa il marinaio sull’Elba e guida le navi cisterna che trasportano il carburante ad altre navi. Nel Mediterraneo fa l’attivista nelle operazioni di ricerca e salvataggio in mare, di solito guida i gommoni di salvataggio che raggiungono le imbarcazioni dei migranti. Vive ad Amburgo e ama il punk rock. 

Signor Beigui, oggi La incontro ad Amburgo ma presto Lei dovrà andare in Italia: La aspetta un processo. Di che cosa L’accusa la procura di Trapani?

L’accusa è di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Cioè, che io e gli altri tre attivisti tedeschi della mia squadra di soccorso abbiamo aiutato in modo illegale delle persone nel Mediterraneo a raggiungere l’Italia. L’accusa sostiene, che quello che abbiamo fatto non fosse salvataggio in mare. Il che è semplicemente assurdo. Quelle sono barche sovraffollate di migranti, quasi senza cibo e acqua a bordo e con pochissimo carburante. Non c’è bisogno di essere un marinaio per capire che una barca in quelle condizioni non è in grado di raggiungere il prossimo porto sicuro. Perciò l’imbarcazione si trova in pericolo di naufragio, questa è la prima definizione. E quindi c’è l’obbligo di soccorso in mare.

A cosa si riferiscono di preciso le accuse?

A diverse operazioni di salvataggio avvenute nel Mediterraneo tra il 2016 e il 2018. In tutto sono 21 le persone accusate in questo processo. Abbiamo ricevuto un PDF di 30.000 pagine contenente le accuse, contro di noi e contro gli altri attivisti, appartenenti a Save the Children e Medici senza frontiere. Per quanto riguarda me e gli altri tre dell’organizzazione Jugend Rettet le accuse si riferiscono solo a tre missioni, avvenute nel settembre 2016 e nel giugno 2017. Durante queste operazioni, come tutte le altre, abbiamo lavorato in collaborazione con le autorità italiane, abbiamo seguito le istruzioni che ci venivano date.

Però Lei oggi rischia per questo 20 anni di prigione.

Sì, quello è il massimo della pena per questo tipo di accusa. Perché noi, come organizzazione internazionale, avremmo aiutato i migranti ad entrare in modo illegale nel Paese. Inoltre, c’è anche una multa di 11.000 euro per ogni persona che è stata aiutata. Ma io non credo che alla fine del processo si arriverà a pene così alte. Non credo nemmeno che la procura stessa sia convinta seriamente delle accuse.

Quindi non ha paura delle possibili conseguenze?

Non posso avere paura di quello che potrebbe succedere tra cinque anni. Il processo comincerà forse a maggio e questa è la durata, secondo le ipotesi del mio avvocato. Io sono troppo punk-rock per guardare così lontano. Ma sono sorpreso che questo processo stia per avere luogo. È pura repressione politica, e la repressione contro il salvataggio in mare mi sorprende sempre. Mi sembra assurdo criminalizzare persone che salvano la vita ad altre.

Lei fa il marinaio sull’Elba, come è stato coinvolto nelle missioni di salvataggio nel Mediterraneo?

Sono un attivista di sinistra. Sono attento a queste questioni politiche. Nel 2015 nel porto di Amburgo è stata restaurata la nave che è poi diventata la prima imbarcazione dell’organizzazione Seawatch. Per noi qui è stato un evento importante. E io lavoro al porto: passavo davanti a quel cantiere navale ogni giorno. Nell’estate 2016 sono anche stato un mese a Lesbo, come attivista ho dato una mano all’organizzazione No Border Kitchen, che fornisce cibo ai migranti sull’isola. Ma in realtà io odio cucinare. Nel salvataggio in mare, invece, posso usare la mia esperienza professionale, che non tutti hanno. Quando è arrivato il momento in cui si cercavano persone, avevo già deciso che volevo partecipare. 

Fino all’ottobre scorso è stato coinvolto in ripetute missioni nel Mediterraneo. Come è cambiata la sua vita di conseguenza?

È diversa, sotto diversi  aspetti. Da una parte ora conosco molto bene l’argomento, in termini di leggi o riguardo alla situazione in Libia, per esempio. Dall’altra parte è semplicemente difficile. In un salvataggio, nella mia prima missione, più di 100 persone sono annegate. Tre di loro siamo riusciti a portarli a bordo. Ho afferrato i loro cadaveri con le mie mani. A volte ho ancora davanti agli occhi i volti di quei tre. 

Come affronta questo trauma nella vita di tutti i giorni?

Cerco di trarne forza e coraggio per la lotta politica. Perché la cosa peggiore di tutta questa situazione non è, che nel Mediterraneo muoiano persone. Ma che non si tratti di incidenti. È un disegno politico, è cinico arbitrio. Quello che succede lì non accadrebbe mai ad una persona con il passaporto europeo. 

Pensa che il governo tedesco possa fare qualcosa?

Certo. Prima di tutto accogliere più migranti. Nel 2019 la Germania ha accolto 114 persone salvate in mare. Non è niente. Inoltre, il governo dovrebbe permettere ai singoli comuni di accogliere migranti a prescindere dalle decisioni sul piano nazionale. Ci sono diversi comuni che sono pronti a farlo, che si autodefiniscono “porti sicuri”. Ma io in realtà non ho aspettative nel governo e non voglio avere niente a che fare con i partiti. Sono troppo punk-rock anche per questo. 

Ha intenzione di continuare a partecipare alle missioni in mare?

Assolutamente. Non appena saranno trascorsi i primi giorni del processo, avrò più tempo a disposizione. Nel mentre voglio cercare di usare questo processo per attirare l’attenzione sull’argomento, per mostrare all’opinione pubblica quello che succede in Europa. Per questo penso che il processo sia un ottimo strumento. 

 

In copertina foto di Ruben Neugebauer

Etichettato con:criminalizzazione solidarietà, Iuventa, soccorsi in mare

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