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Cities for all: verso un nuovo paradigma di integrazione

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16 dicembre 2016 - Liza Ramrayka
“Abbiamo bisogno di un cambiamento di paradigma che permetta a tutti gli interessati di trovare e realizzare soluzioni durature e soddisfacenti per tutti, a beneficio dei migranti, dei rifugiati e delle società che li accolgono.”

Dalla decisione del Regno Unito di lasciare l’Unione Europea agli inizi dell’anno alle elezioni presidenziali americane di novembre, i rifugiati, così come il tema più ampio dell’immigrazione, sono stati usati come armi da campagna politica, allo scopo di polarizzare l’opinione pubblica e conquistare voti. L’emergere dei discorsi e delle retoriche anti-immigrati ha minacciato di erodere gli sforzi fatti sia a livello europeo sia dei singoli paesi per promuovere l’integrazione in risposta alla crisi migratoria più grave della storia recente.

Ma al di là del clamore suscitato dai titoli di giornale, la sfida a lungo termine per i paesi che accolgono rifugiati e migranti resta quella di capire come sostenerli in maniera fattibile all’interno delle loro nuove comunità. Quali sono le soluzioni innovative per l’integrazione? E cosa stanno facendo le città per investire nel futuro dei nuovi arrivati?

Reinquadrare il discorso

Dagli alloggi all’occupazione, la crisi globale di migranti e rifugiati pone una miriade di problemi alle città che cercano di sostenere un flusso di residenti di passaggio o permanenti. Ma offre anche delle opportunità in termini di innovazione e di investimento, che possono avere un impatto positivo durevole sia sulla popolazioni locali che sui nuovi residenti.

Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, più del sessanta per cento dei 19,5 milioni di rifugiati del mondo e l’ottanta per cento degli sfollati interni vivono in aree urbane. Se da una parte le città offrono ai nuovi arrivati l’anonimato e l’occasione di ricostruirsi un futuro, spesso possono rivelarsi anche un ambiente ostile per soggetti vulnerabili come i rifugiati, che faticano a trovare l’appoggio necessario a destreggiarsi con nuovi sistemi o a competere per dei posti di lavoro.

Il Vertice delle Nazioni Unite sui Rifugiati e i Migranti del settembre 2016 ha rappresentato il primo tentativo da parte dell’Assemblea generale di parlare di grandi spostamenti di rifugiati e migranti insieme a capi di stato e governi. Il vertice, che in questo senso è stato uno spartiacque, si è incentrato sul rafforzamento della governance delle migrazioni internazionali e sulla creazione di un sistema più responsabile per la gestione di grandi spostamenti di rifugiati e migranti.

Nel corso del vertice, 193 stati membri hanno sottoscritto la Dichiarazione di New York, con la quale i firmatari s’impegnano a rafforzare i contributi positivi dati dai migranti allo sviluppo economico e sociale dei paesi che li ospitano. I firmatari si sono impegnati inoltre ad ampliare le opportunità a disposizione dei rifugiati per trasferirsi in altri paesi, ad esempio grazie alla mobilità professionale o ai programmi di istruzione.

Rispondere ai cambiamenti

Queste sfide sono avvertite tanto in Europa quanto altrove. Susan Down-Karkos è la direttrice delle partnership strategiche di Welcoming America, che lavora con organizzazioni e comunità per coinvolgere gli americani negli sforzi di integrazione degli immigrati. “C’è più preoccupazione che mai sulla condizione dei rifugiati in ogni parte del mondo, e il bisogno di creare una politica e una cultura più accoglienti perché la gente possa rifarsi una vita non è mai stato così evidente”, ha dichiarato. “Come possiamo trasformare una delle sfide più grandi del nostro tempo in un’opportunità significativa, che possa fare la differenza nelle vite di milioni di immigrati in Europa e nel resto del mondo, e per le comunità locali che li accolgono?”

Tre anni fa, Welcoming America ha cominciato a indagare il modo in cui le città americane stavano reagendo ai cambiamenti nella popolazione, e a individuare il ruolo delle amministrazioni locali nella creazione di una comunità accogliente che sappia attirare e conservare talenti da tutto il mondo. Tutto ciò è passato dalla documentazione delle politiche e dei programmi locali che aiutavano gli immigrati a integrarsi nella comunità, e dall’aiuto fornito ai residenti per conoscere e apprezzare meglio i loro nuovi vicini.

Il risultato è stata la rete Welcoming Cities & Counties, che permette agli enti locali americani di imparare e condividere metodi per l’accoglienza reciproca. La rete è passata da dieci a quasi cento enti locali, da Anchorage in Alaska a Salt Lake County nello Utah. Fra i partner ci sono sia aziende e agenzie per lo sviluppo economico, sia organizzazioni civiche come università e sedi YMCA.

Il sostegno di Welcoming America ai comuni che ne fanno parte comprende eventi annuali, seminari sul web e campagne di comunicazione su questioni che vanno dalle strategie di sviluppo della forza lavoro alle politiche territoriali e alla formazione linguistica degli imprenditori immigrati.

Downs-Karkos spiega che Welcoming Cities riduce le barriere che incontrano gli imprenditori immigrati, per esempio rendendo più comprensibili le strutture normative e di finanziamento, oppure fornendo accesso a servizi di microprestito.

Tre anni fa la città di Denver, in Colorado, ha istituito una commissione sui rifugiati e migranti. Fra i progetti c’è un programma di microfinanziamenti, avviato lo scorso anno, per le organizzazioni locali che hanno trovato modi creativi di unire fra loro i vari quartieri. I dieci progetti vincitori ricevono mille dollari ciascuno; fra quelli di quest’anno c’erano una serata di cinema al parco per mettere in contatto gli abitanti della comunità con le imprese locali, e un progetto di storytelling digitale sui rifugiati che in Colorado hanno ripreso la loro carriera nel sistema sanitario, culminato in una proiezione pubblica.

Soci in affari

L’impresa si sta rivelando un modello vincente per l’integrazione. Ogni fine settimana, al Queen’s Park Farmers Market nella zona nordovest di Londra, lo stand di Spice Caravan offre piatti dolci e salati provenienti da Eritrea, Kenya e Somalia. Questa cooperativa di catering, fondata nel 2011, è nata da un gruppo di sei madri rifugiate che cucinavano in occasione di eventi scolastici, per poi evolversi in un’attività di successo che si rivolge al mercato agricolo locale, eventi privati e festival.

Ayan-Hassan, nata in Somalia, madre di tre figli e cofondatrice di Spice Caravan, racconta che il suo successo è dovuto in gran parte al sostegno di Salusbury World, l’unico centro per rifugiati del Regno Unito a essere ospitato in una scuola (la Salusbury Primary). Fondata nel 1999, l’organizzazione aiuta bambini e famiglie a adattarsi alla vita nel Regno Unito grazie a doposcuola, corsi d’inglese, attività di tutoraggio e di comunità. Oltre a fornire a Spice Caravan una cucina e un finanziamento iniziale di 500 sterline, Salusbury World ha anche aiutato le donne a formarsi in pianificazione aziendale e igiene alimentare.

Sarah Reynolds, direttrice di Salusbury World, spiega che le scuole possono rivestire l’importante ruolo di mediatrici fra i nuovi arrivati e le comunità locali, perché conoscono bene queste ultime e godono della loro fiducia. Il lavoro di questa organizzazione benefica su quattro scuole e college sostiene ogni anno circa duecento bambini e adolescenti e 250 adulti.

Reynolds, però, è preoccupata dall’assenza di sostegni specialistici per i nuovi arrivati: “Il numero di adolescenti non accompagnati che arriveranno in queste scuole è probabilmente destinato a crescere ed è allarmante, perché il sostegno offerto dai servizi sociali in genere è inadeguato, in quanto gli stessi servizi sociali sono afflitti da pesanti tagli, cattiva pubblicità e mancanza cronica di persone a cui affidare i minori”.

Salusbury World fa parte di una nuova rete di gruppi che sostengono i giovani rifugiati nel nord di Londra, e che Reynolds spera aiutino ad aggregare i servizi e a venire incontro ai bisogni in maniera più efficace.

Un percorso per l’integrazione

Agli inizi dell’anno Judith Sunderland, direttore associato di Human Rights Watch per l’Europa e l’Asia centrale, notava che il dibattito sull’integrazione è stato spesso “litigioso”, e ha visto contrapposti i fautori delle politiche di assimilazione e quelli di un maggiore pluralismo culturale e della protezione della diversità. Sunderland identifica così le tappe fondamentali di un’integrazione riuscita: statuto legale, alloggi adeguati, accesso all’occupazione e all’istruzione (compresi i corsi di lingua) e ricongiungimento delle famiglie.

A partire da quest’anno, il Migration Policy Group è il partner coordinatore di ricerca per un monitoraggio di sei anni sull’integrazione dei rifugiati in quattordici stati membri dell’Unione Europea. Il meccanismo di valutazione delle politiche nazionali per l’integrazione (NIEM), valuta le politiche a seconda delle esigenze e delle situazioni degli aventi diritto alla protezione internazionale e dei richiedenti asilo. Le valutazioni completate nel 2017, 2019 e 2021 contribuiranno ai dibattiti nazionali ed europei sul miglioramento dell’integrazione dei rifugiati, e forniranno indicazioni ai governi per mettere in atto politiche più efficaci ed efficienti.

Una componente essenziale è il coinvolgimento del settore privato. In Germania, Migranti per i migranti (MiMi, secondo la sigla tedesca) è un programma di integrazione che affida a individui bilingui provenienti dalle comunità di immigrati il compito di fare da mediatori culturali, per rendere il sistema sanitario tedesco più accessibile agli immigrati. L’iniziativa MiMi, nata da un progetto di salute pubblica di Ramazan Salman, un immigrato curdo proveniente dalla Turchia, forma questi mediatori per campagne come quelle sull’abuso di alcool o sulle vaccinazioni. Secondo le sue stime, un migliaio di mediatori ha raggiunto più di 32mila migranti. Salman dichiara che il modesto budget annuale (un milione e mezzo di euro) raggiunge più immigrati dei suoi concorrenti statali.

Le soluzioni creative e il sostegno da parte di organizzazioni del settore pubblico e privato sono cruciali, se le città vogliono far propri la varietà e i talenti dei loro nuovi abitanti. Come ha detto il direttore di CILD Andrea Menapace: “Abbiamo bisogno di un cambiamento di paradigma che permetta a tutti gli interessati di trovare e realizzare soluzioni durature e soddisfacenti per tutti, a beneficio dei migranti, dei rifugiati e delle società che li accolgono”.

 

Cities For All è organizzato da CILD e Humans on the Move e si è svolto a Milano il 16 dicembre [per un resoconto della conferenza clicca qui].

 

Traduzione di Francesco Graziosi.
FOTO DI COPERTINA: un adesivo con la scritta “Refugees Welcome” a New York – via Pixabay (CC0).

 

Etichettato con:accoglienza, Cities4All, città, innovazione, integrazione

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