48% più 26 più 17 uguale 91%. Gli ultimi dati dell’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite parlano chiaro: dalla Turchia alla Grecia arrivano pressoché solo profughi siriani, iracheni e afghani. E, di conseguenza, l’accordo dell’Ue con Ankara ha come oggetto le tre nazionalità più colpite dalle guerre che dal 2001 a oggi hanno più insanguinato quel quadrante.
E tuttavia, l’accordo di Bruxelles dell’8 marzo rischia di fare una distinzione tra popoli che fino a oggi, almeno formalmente, non aveva avuto patria in Europa. Poi, certo, ci ricordiamo la “preferenza” per i profughi siriani espresse da Angela Merkel nell’agosto scorso, ma il pericolo ora è che sia di fatto scritto nero su bianco.
Siriani, afghani e iracheni rappresentano – stando all’Eurostat – la metà dei richiedenti asilo in Europa nel 2015, circa 650mila su un milione e 300mila. Tre gruppi nazionali ai quali finora è stato riconosciuto un trattamento simile dalle autorità europee e che invece, a partire dal recente accordo di Bruxelles tra Ue e Turchia, potrebbe vedere un cambiamento.
I siriani – stando alla prima bozza della mediazione – continueranno a poter trovare una via verso l’Europa. Magari non più in gommone verso Lesbo, ma attraverso un passaggio privilegiato che è garantito pochi giorni fa dal risultato dell’incontro tra il premier turco Davutoğlu e i leader Ue. Tutti gli altri verranno rimandati indietro, verso la Turchia che per farsi carico di questo flusso di ritorno dovrebbe ottenere altri 3 miliardi oltre ai 3 ricevuti dall’Europa solo qualche mese fa. E, stando ai numeri, quelli spediti indietro saranno afghani e iracheni, accolti in Turchia ovvero in un paese che, malgrado sia firmatario della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e del protocollo del 1967, applica limitazioni geografiche al trattato e prevede lo status di rifugiato per i soli cittadini europei. Quindi i profughi dell’Iraq e dell’Afghanistan non godrebbero dei diritti riconosciuti a chi fugge in cerca di protezione internazionale.
«Sono profondamente preoccupato per qualsiasi accordo che comporterebbe il ritorno di chiunque da un paese all’altro senza precisare le garanzie dei rifugiati in base al diritto internazionale» ha dichiarato il commissario dell’Unhcr Filippo Grandi.
L’accordo con Ankara si traduce in fin dei conti in uno scambio tra profughi bloccati in Grecia e siriani ospitati finora nei campi del sud della Turchia. E così nella legittimazione di rifugiati di serie A e di serie B. Per i secondi si chiuderanno le porte per arrivare in Europa, per i primi il via libera per raggiungere la Germania e il nord.
Riconoscimento dell’asilo in calo
Quella che si nasconde nelle pieghe dell’accordo con la Turchia rischia di essere un’inversione a “U” nell’ambito delle scelte sull’asilo. Come è noto, lo status di rifugiato non è riconosciuto (o negato) in virtù del paese di provenienza ma degli effettivi pericoli che una persona corre. Una singola persona. Il “respingimento” coatto di gruppi di persone in un paese terzo somiglia molto a un cambiamento di fatto dei principi della Convenzione del 1951.
Detto questo, il caso di iracheni e afghani è esemplare della trasformazione delle politiche in arrivo. Il tasso di riconoscimento della protezione internazionale per iracheni e afghani è stato finora molto alto. Nel terzo trimestre del 2015 era dell’88% per gli iracheni e del 70% per gli afghani, sceso rispettivamente all’80% e al 57% a fine anno.
Ma ecco il paradosso: con questi dati gli iracheni avrebbero diritto alla relocation (che prevede la soglia il 75% di risposte positive alle domande di protezione) e rischiano di essere rimandati indietro.
Twitter: @alessandrolanni