Il simbolo dell’estate 2015 era la scogliera dei Balzi rossi, a pochi passi da Ponte San Ludovico, il confine di Stato che porta a Mentone, prima cittadina francese. Su quegli scogli, 400 migranti si erano accampati per giorni, proprio nel periodo del Ramadan. Avevano costruito una città precaria, di tende, ombrelloni e rivendicazioni: “We are not going back”. Indietro non si torna, il viaggio deve continuare. Presto si erano uniti attivisti e volontari, si era creata una comunità e un presidio “No borders”.
L’attenzione mediatica cresceva e con lei le tensione diplomatiche tra Francia e Italia. L’inverno, i riflettori spenti e un centro di accoglienza gestito dalla Croce Rossa vicino alla stazione di Ventimiglia sembravano aver risolto la situazione, che invece, con l’arrivo dell’estate 2016 torna a complicarsi.
Questa volta il luogo simbolo non è il confine, ma il cuore della città: la spiaggia alla foce del fiume Roia. A cavallo tra maggio e giugno qui era nato un nuovo campo spontaneo. Pochi giorni prima il sindaco Enrico Ioculano (Partito Democratico) aveva emesso (e poi ritirato) un’ordinanza che vietava di distribuire cibo e bevande ai migranti, nonché impediva ogni forma di accampamento. Ancor prima il Ministro degli Interni italiano Angelino Alfano, aveva ordinato la chiusura del centro di accoglienza. Ai migranti non restava che la spiaggia. Ma non sarebbe potuta durare a lungo.
Che fare? Dopo Calais, dopo Idomeni, l’Italia si è accodata ad altri governi europei e ha scelto la strada degli sgomberi forzati. All’alba del 30 maggio, oltre 150 agenti di polizia in tenuta antisommossa hanno invaso la spiaggia, pronti a caricare migranti sui pulman in direzione Genova, dove gli aerei charter delle Poste Italiane (il simbolismo migrante=pacco postale appare sinistro) erano pronti a smistare il gruppo nei centri di identificazione del Paese. Ma all’arrivo delle forze dell’ordine, la spiaggia era incredibilmente deserta. Nella notte, i migranti avevano trovato accoglienza nella Chiesa di San Nicola.
L’immagine è d’altri tempi: la chiesa che dà “asilo”, rifugio extraterritoriale. In quell’alba a Ventimiglia si è consumata una sfida ancora da scrivere: da una parte la misericordia della chiesa di Papa Francesco, dall’altra i muscoli dello Stato. Da una parte uomini in divisa che si aggirano tra sacchi a pelo e tende abbandonate, senza nessuno da identificare, dall’altra il vescovo di Ventimiglia che plaude al coraggio del parroco che ha aperto la parrocchia e si dichiara disponibile ad accogliere altri gruppi di migranti.
I migranti forse poco percepiscono di questi risvolti politici-istituzionali, la loro priorità è continuare il viaggio verso la Francia, l’Inghilterra, il Nord Europa, ma il confine rimane inesorabilmente chiuso. La gendarmeria francese applica un ordine preciso: respingere tutti coloro che tentano di passare. Le Regole di Dublino devono essere fatte rispettare: se i migranti sono arrivati in Italia, spetta all’Italia identificarli e decidere sulle loro richieste di protezione internazionale.
L’ordine non ammette eccezioni, a costo di palesi violazioni del diritto internazionale, come ad esempio il respingimento di minori non accompagnati. I controlli sui treni, principale mezzo di trasporto utilizzato per tentare di passare il confine, sono ferrei, i migranti vengono fermati, portati in posti di polizia al confine, trattenuti qualche ore e quindi riconsegnati alle autorità italiane. Una sorta di rito dell’Europa della (non) accoglienza. Se si è disposti a pagare (parecchie centinaia di euro) si può salire sull’auto di un passeur che tenta di passare il confine attraverso le strade impervie dell’entroterra, ma i controlli anche sulle strade sono frequenti.
E a Ventimiglia l’estate è appena cominciata.