La situazione del “parlamento sospeso” in Gran Bretagna è costata ai Conservatori 30 seggi, e ha anche negato al Primo Ministro Theresa May la decisa maggioranza che ella si aspettava per condurre i negoziati sulla Brexit con l’Unione europea e implementare quella “formula dura” lanciata nel suo discorso alla Lancaster House lo scorso gennaio.
Mentre il destino del ruolo di May è incerto ed è molto probabile che nuove elezioni si svolgeranno di nuovo entro l’anno, la recente campagna elettorale non ha mostrato la stessa forte focalizzazione su migranti, rifugiati e richiedenti asilo che aveva caratterizzato la campagna su Brexit del 2o16. È cambiato qualcosa nell’approccio del Regno Unito verso rifugiati e richiedenti asilo nell’ultimo anno? E quali sono le politiche dell’attuale governo su questo fronte?
Rifugiati e richiedenti asilo: a un anno da Brexit
“Penso che l’approccio verso i rifugiati e i richiedenti asilo abbia sempre lasciato molto a desiderare prima di Brexit, per cui non penso che sia cambiato un granché”, dice a Open Migration Fizza Qureshi, direttrice del Migrant Rights Network. “Vari settori di migranti e rifugiati hanno espresso preoccupazione su come vengono trattati e sul tipo di politiche che vengono implementate, che sono diventate più restrittive. Per esempio, è diventato più difficile ottenere asilo. E quando non ci si riesce, bisogna ricorrere in appello, ma i rifugiati non sempre hanno accesso al diritto di appello. Si è ridotta anche l’assistenza legale. In un senso più ampio, dal referendum su Brexit in poi c’è stata una generale rimessa a fuoco sull’immigrazione, che è molto incentrata sull’idea di ’riprendersi il controllo’, e sul riprendere il controllo dei confini. Di recente la discussione è stata molto incentrata sugli obbiettivi migratori in cifre, si è detto che dovevano restare nell’ordine delle decine di migliaia di persone, quando già adesso superano le 200 mila”. Come ha raccontato Alan Travis del Guardian, il numero esatto è 273,000; l’idea di tagliare questa cifra e portarla al di sotto dei 100 mila non si realizza da sei anni, ed è sia irrealistica che potenzialmente dannosa per l’economia britannica.
Mentre i manifesti di partito dei Liberal Democratici e dei Verdi sono stati ben accolti perché hanno reintrodotto il cosiddetto “Dubs Scheme” per i minori e la chiusura dei centri di detenzione – una cosa su cui ha lavorato anche lo Scottish National Party – altri hanno invece causato preoccupazione, specialmente “il manifesto dei Tories”, dice Qureshi, “in cui dicevano di voler modificare la definizione di rifugiati e richiedenti asilo e di volerlo fare attraverso la convenzione dell’Unhcr sui rifugiati. Sarà quasi impossibile farlo, perché si tratta di definizioni riconosciute a livello internazionale, ma potrebbero cercare di interpretarle in modo diverso dentro al Regno Unito, cosa che il Ministero dell’Interno in parte fa già”.
Quando si tratta invece della percezione pubblica di rifugiati e richiedenti asilo, un ruolo chiave lo giocano i media. I tabloid britannici, enormemente diffusi, sono molto noti per i loro titoli e il loro linguaggio contro migranti e rifugiati. Su questo fronte, Qureshi aggiunge: “quello che preoccupa dei media è che non sempre si rendono conto dell’impatto di quello che scrivono. Che qualcuno scriva di rifugiati o richiedenti asilo in termini di scarafaggi o di sciami può dare origine ad aggressioni come quella al ragazzo di Croydon. I media non riconoscono la loro responsabilità nell’uso del linguaggio, e storicamente, in Gran Bretagna queste cose le abbiamo già viste nel modo in cui alcuni tabloid parlano delle persone asiatiche o di colore”.
L’iniziativa del Refugee Council “Tè con un rifugiato” al Project Cafè di Glasgow. (Foto: TheTech Dave, CC BY 2.o)
Una delle organizzazioni che nel Regno Unito si concentrano sui migranti, Migrant Voice, si è formata proprio con lo scopo specifico di dar voce ai migranti nel dibattito pubblico. Nazek Ramadan, la direttrice, ci racconta lo scopo dell’organizzazione e gli obbiettivi che ha raggiunto: “Siamo un soggetto abbastanza giovane, che esiste da sette anni, e ci concentriamo sugli altri media, con molti dei quali abbiamo costruito un ottimo rapporto nel corso degli anni – fra TV, giornali e radio. Il risultato di questo buon rapporto è che molti giornalisti quando scrivono di migrazione ci chiedono il nostro punto di vista e ci chiedono di fornire loro dei portavoce. Siamo stati la prima organizzazione specificamente creata per portare ai media le voci delle persone. E poi ne abbiamo visto nascere altre – come Detention for Action che ha cominciato a ottenere le voci delle persone detenute, e Women for Refugees Women per le voci delle donne – si cominciano a vedere sempre più progetti di questo tipo…” Per quello che riguarda le politiche del governo conservatore in questi ultimi anni, Ramadan aggiunge: “L’ossessione di mettere un limite all’immigrazione ha portat0 a una serie di politiche draconiane, fissate sull’idea di ridurre il numero di migranti anziché sulle persone, e sempre presentando i migranti come un problema”.
Mentre lo scenario sta cambiando agli occhi di parte dell’opinione pubblica, quali sono i numeri? E quali sfide si trovano di fronte i rifugiati e i richiedenti asilo quando effettivamente raggiungono il paese?
Rifugiati e richiedenti asilo nel Regno Unito: le cifre
Secondo le Statistiche Nazionali del Ministero degli Interni britannico pubblicate il 25 agosto 2016, il numero di coloro che hanno fatto richiesta di asilo nel Regno Unito è aumentato del 41 per cento, salendo a 36,465 nell’anno conclusosi col giugno 2o16, con il maggior numero di richieste dai tempi dell’anno conclusosi col giugno 2oo4 ((39,746). Le cinque principali nazionalità di provenienza sono state Iran, Iraq, Pakistan, Eritrea, Somalia e Siria, e la maggior parte delle richieste di asilo sono pervenute da persone che si trovavano già nel paese, invece che al momento dell’arrivo.
L’asilo è stato accordato a 1.936 richiedenti, e le richieste dei richiedenti siriani hanno ricevuto risposta positiva nell’87 per cento dei casi; ma alcuni siriani a cui è stata rifiutata la richiesta di asilo sono stati trasferiti in paesi terzi dell’Unione europea (cioè diversi dal paese d’arrivo) perché il loro caso venisse esaminato, e a 2.682 persone (inclusi i famigliari a carico) è stata concessa la protezione umanitaria sotto l’egida del VPRS, che è il Piano di Ricollocamento delle Persone Siriane Vulnerabili. In ogni caso, il London Evening Standard ha rivelato nell’aprile 2o16 che sulla base di quel piano Londra ha finito per ricollocare soltanto 43 rifugiati siriani.
Le statistiche del Ministero dell’Interno britannico dicono anche che la Gran Bretagna è all’ottavo posto per richieste d’asilo (44 mila) nell’Unione Europea nell’anno conclusosi a giugno 2o16, compresi i famigliari a carico. Questa cifra è ben al di sotto della quantità di richieste d’asilo ricevute dalla Germania (665 mila), dalla Svezia, (149 mila) e dall’Ungheria (131 mila), che mettono questi tre paesi in cima alla lista per numero di richieste d’asilo e che contano per il 63 per cento del totale.
Come riferisce il Refugee Council, la verità sull’asilo nel Regno Unito è piuttosto dura: nel 2o16 i tribunali hanno rovesciano le decisioni del Ministero dell’Interno nel 41 per cento dei casi in appello, ci sono problemi specifici nei casi delle donne, e 13.23o richiedenti asilo sono stati chiusi nei centri di dentenzione, compresi 71 bambini. Qual è, dunque, il percorso di coloro che cercano asilo nel Regno Unito una volta che riescono a raggiungere il paese?
L’odissea di Kamal nel sistema d’asilo britannico
Kamal è arrivato a Londra a settembre del 2o16. Ad assisterlo è stata l’organizzazione benefica Migrant Help, fondata nel 1963. La sua descrizione di quello che è successo poco dopo il suo arrivo dice molto: “Sono arrivato in modo legale in transito all’aeroporto di Heathrow, mostrando il mio passaporto. Avevo un visto Schengen. Il primo giorno mi hanno tenuto in detenzione. Cercavano di deportarmi in Germania secondo il Regolamento di Dublino. I funzionari dell’immigrazione non sapevano che fossi un richiedente asilo, lo chiedevano a me e gliel’ho dovuto spiegare. Ecco cos’è successo quando mi hanno arrestato, oltre al fatto di venire ignorato e messo in un posto con uno staff molto razzista e altri detenuti omofobi. In sostanza è stata un’esperienza orribile. Ho fatto resistenza alla deportazione perché non volevo andare, mi hanno ripreso e lo staff è stato orribile e razzista e hanno cercato di deportarmi e il giorno dopo mi hanno dato un biglietto per andare a Liverpool”.
La manifestazione del gennaio 2017 a Londra che chiedeva a Theresa May di respingere il “Muslim ban” di Trump (foto di Alisdare Hickson, CC BY-SA 2.0)
“Io ho una buona conoscenza della geografia”, dice Kamal, “so dov’è Liverpool sulla mappa, parlo inglese e chiedo indicazioni oppure controllo sul cellulare cercando il wifi più vicino, ma devi pensare che la maggior parte dei richiedenti asilo e dei rifugiati che vengono detenuti non sanno la lingua, non hanno uno smartphone o Internet”.
Dopo il suo arrivo a Liverpool a mezzanotte, alla reception non sapevano nulla di Kamal e non avevano posto per lui; dopo che ha mostrato le sue carte, l’hanno mandato in un albergo di Manchester, dove è stato per tre notti, facendo esperienza diretta delle rigide norme applicate dagli hotel quando accolgono i rifugiati. Da Manchester è stato trasferito a Londra, anche se la sua destinazione avrebbe dovuto esssere Glasgow e là avrebbe dovuto cercarsi un nuovo avvocato. “Ecco cos’ho passato da quando sono in Gran Bretagna – il razzismo, la discriminazione, l’omofobia”, dice.
La sua odissea è proseguita con una serie di appelli legali, vari problemi di comunicazione fra l’organizzazione che lo assiste e il Ministero dell’Interno, continui rapporti da compilare, e il rischio di vedersi tagliare il sostegno economico, oltre alle difficoltà che ha avuto per vedere un medico e uno psicologo dopo essere stato rinchiuso. Sul sistema d’asilo in Gran Bretagna dice questo: “Ho lasciato il mio paese per via della mia sessualità, e con questo contesto alle spalle, essere messo insieme a richiedenti asilo che possono essere omofobi… Questo non dovrebbe accadere, dovrei poter scegliere con chi voglio stare. Non auguro a nessuno di passare una cosa del genere. Dal mio punto di vista, la Gran Bretagna non è affatto un paese sicuro”.
In copertina: la Umbrella Parade del 2011 a Londra (foto di Astrid Busser Casas e Ivan Ballester Molina, CC BY 2.0)