Valentino non ha paura di sbagliare un calcio di rigore. Anche perché, per citare ancora De Gregori, non c’è dubbio alcuno che di altruismo, fantasia e soprattutto solidarietà lui e i suoi compagni di squadra ne abbiano a sufficienza. Insieme a Valentino, – Darlington il suo vero nome – 19enne, nigeriano, ci sono i suoi coetanei Amin Kalissi, marocchino arrivato in Italia quattro anni fa e Aboubakar e Sarjo Fathi, calciatori professionisti arrivati dal Gambia. Altro gioiello del palmares è Goriba Tounkara, 28 anni, proveniente dal Mali. Gli altri compagni di squadra sono i portieri Roberto Panza, 24 anni, iscritto al corso di laurea in Cooperazione e sviluppo all’Università della Calabria e Francesco Longo, 32 anni. E poi il coetaneo Mattia Gallo, 32, che gioca nelle retrovie, e Gabriele Manna, 28. Tutti allenati dai mister Gianluca Visciglia e Vittorio Tignanelli.
Come in ogni società sportiva che si rispetti ci sono anche un presidente, Giuseppe Bornino, 33 anni, ricercatore di Storia e Filosofia dell’ateneo cosentino, e un vice presidente, il togolese Abouk Hussein, mediatore culturale a Cosenza e abitante nell’ex Istituto delle Canossiane, occupato dal 2013.
Un “equipo” fantastico. Di sicuro una rosa multicolore e multinazionale, nel senso letterale del termine, per le tante provenienze di cui è composta. In una parola, anzi due, la Polisportiva Mmishkata, che significa “mescolata, mischiata” in dialetto bruzio. Un melting pot, insomma, in salsa calabrese. Nata a Cosenza lo scorso maggio come iniziativa per bucare a ripetizione la rete del razzismo, ha debuttato su un campo di tutto rispetto: quello dei Mondiali Antirazzisti che, quest’anno, sono stati ospitati dalla cittadina di Riace.
Ideata e fondata da una rete di associazioni cittadine che promuovono la solidarietà e lo sport popolare, tra cui il centro sociale Rialzo, La Terra di Piero, il collettivo Fem.In. Cosentine in Lotta, la palestra di Boxe Popolare e varie attività commerciali, ludiche e solidali della città, la Polisportiva Mmishkata si è preparata con dedizione per questi Mondiali. L’evento è stato organizzato dall’Unione Popolare Sport per Tutti che, per la prima volta in 24 edizioni, si è trasferito dall’Emilia Romagna alla Calabria. Una regione che ospita, a pochi chilometri l’uno dall’altra, il ghetto di Rosarno e il modello di accoglienza fondato dall’ex sindaco Mimmo Lucano, in solidarietà del quale si è svolta la kermesse sportiva.
Quando siamo andati a seguire gli allenamenti della neonata compagine per conoscere meglio le storie dei suoi atleti, siamo stati coinvolti dall’entusiasmo e dalle aspettative, non solo dei giocatori. Quasi come ai mondiali veri, i mister Tignanelli e Visciglia hanno convocato una ventina di giocatori-attivisti della Polisportiva.
Tra coloro che sono andati a Riace dal 5 al 7 luglio, c’è Goriba Tounkara, 27enne maliano entrato in Italia dal porto da Siracusa a dicembre 2013 e trasferito a Cosenza a inizio gennaio 2014. «Mi piace molto giocare mischiato!», ci dice sorridente a margine di un giro di riscaldamento. La storia di Goriba racconta che un’integrazione positiva e intelligente è possibile. Giunto a Cosenza si è dato immediatamente da fare come volontario per il 118 con la Cooperativa Soccorso Sociale Speranza. «Un lavoro complicato, faticoso e pieno di responsabilità», ammette. Prima di iniziare ha seguito un corso di formazione e una volta diventato operatore non si è risparmiato. «Spesso ho dovuto soccorrere malati molto pesanti in barella, ho trasportato anziani da casa all’ospedale per visite urgenti, dovevo maneggiare bombole di ossigeno e affrontare qualsiasi tipo di emergenza». Scappato da Bamako Kura, cittadina a sud del Mali, a Cosenza Goriba ha trovato casa in centro città, nell’occupazione di via Savoia, ex edificio regionale Aterp, Agenzia Territorriale Edilizia Residenziale Pubblica. «Manca l’acqua a volte, per cui bisogna un po’ arrangiarsi, ma mi trovo bene, ho un piccolo appartamento dove vivo con la mia fidanzata Cynthia, che ha 22 anni e viene dalla Nigeria e nostra figlia di 18 mesi, si chiama Emanuela Aisha. Le abbiamo dato un doppio nome, italiano e africano, perché queste sono le nostre identità».
Come le migliaia di migranti fuggiti dalla Libia, anche il 27 enne neoattaccante della Mmishkata ha conosciuto l’inferno di quei centri di detenzione. «Ho attraversato il Mali, il Niger e sono arrivato in Libia dove sono stato rinchiuso a Tripoli in cella per tre mesi e ho visto gente torturata e ammazzata per il solo fatto di respirare».
La fuga di Goriba, però, è a lieto fine. A Cosenza si trova bene, parla molto bene l’italiano. Purtroppo ancora non ha un lavoro. «A Bamako, con mio padre, avevamo un negozio di abbigliamento. Ma qui, a parte qualche lavoretto saltuario, non ho trovato niente di continuativo». Una questione non semplice se si pensa che in Calabria il tasso di disoccupazione è tra i più alti d’Italia (57,2%) e uno dei più critici dell’intera Unione europea.
A condividere la stessa speranza di Goriba c’è Ibrahim Jaith, che si è unito alla spedizione jonica grazie all’opportunità che gli ha dato un suo compagno di squadra, Vincenzo Montedoro, gestore della stessa Cooperativa Sociale che lavora per il 118. Dopo aver ingaggiato come volontario Goriba, infatti, grazie a un nuovo finanziamento Montedoro ha offerto a Jaith la possibilità di lavorare con lui dal prossimo autunno. «Ibrahim aveva un lavoro che non gli permetteva di unirsi a noi per il torneo di Riace», ci racconta il presidente Bornino. «Eppure anche in questo caso è avvenuto un mescolamento». Infatti grazie a questa offerta lavorativa Jaith avrà un contratto stabile a partire da ottobre, che gli consentirà di recuperare i guadagni persi durante la manifestazione di Riace e intanto ha iniziato a fare squadra con gli altri sodali e con il suo nuovo principale.
Come nel Milan a partire dalle stagioni ’97-’99 anche la Mmishkata ha il suo Bah. Per la precisione Alex Bah. Del suo quasi omonimo, Ibrahim Ba, ex centrocampista avanzato dei rossoneri, non ha copiato la tinta platino dei capelli, ma ha segnato il gol con cui la compagine cosentina ha pareggiato la gara contro i bolognesi del “Grinta”, squadra a suo modo mescolata, visto che ci giocano sia uomini che donne.
Ma, soprattutto, si è rivelato prezioso anche fuori dal campo di gioco: dipendente di un outlet di pneumatici, ha molta esperienza con i motori e ha rimesso in moto l’autovettura di un suo compagno di squadra cosentino che aveva avuto problemi durante il tragitto per arrivare a Riace.
Tra gli atleti professionisti c’è Aboubakar che, nei minuti di pausa del training settimanale, sdraiato sul campetto della società sportiva Pro Cosenza, che concede ai “mmischkati” un’ora e mezza di sgambettamento, ci racconta che nel suo Paese frequentava un’accademia di football e ha militato nella “Forth Division”. Il problema è che, oltre a battersi per la vittoria sul campo, «dovevo lottare anche per la mia vita, per aiutare economicamente i miei genitori e i miei fratelli», racconta.
A Serrekunda si è diplomato al Gambia Tecnical Training Institute (GTTI), dipartimento tecnico-industriale fondato dal Parlamento nel 1980. Nel tempo libero si dedicava alla passione per la musica, facendo il deejay. Ma per sopravvivere e per mantenere una famiglia tutto questo non bastava.
Colonia britannica dal 1965 il Gambia è uno dei Paesi più poveri del continente nero. «E il problema è che lì la povertà è un crimine”, spiega Aboubakar, in arte Adi General, soprannome che si è scelto per quando maneggia mixer e vinili. Diciannove anni oggi, quando è scappato dalla terra natia ne aveva 17. È sbarcato a Reggio Calabria dove, con l’aiuto di Save the Chidren ha ottenuto il permesso di soggiorno e poi è stato inserito nello Sprar di Benestare, ai piedi delle colline joniche aspromontane, sempre in provincia di Reggio.
Ma era un posto troppo isolato e per questa ragione si è trasferito a Cosenza, dove ha conosciuto i ragazzi del movimento Prendocasa e ha ottenuto una stanza nell’ex Hotel Centrale, l’iniziativa di occupazione abitativa con cui migranti e centri sociali hanno sfidato, questi anni, la speculazione edilizia e gli episodi di mala accoglienza. È stato lì che ha conosciuto Nyima, gambiana come lui. Con lei si è rifatto una vita. Sicuramente più dignitosa di quella che aveva prima. «In Gambia i poveri sono considerati criminali, non c’è accesso per noi nella società, cosa ci stavo a fare lì? Come potevo crescere, dare una mano alla mia famiglia e farmene una pure io?».
Ora invece lo chiamano per metter musica in giro per l’Italia, «quando va bene mi danno 50 euro a serata», aggiunge. La sua pagina Facebook è piena di locandine di eventi da Torino a Palermo, passando per Napoli, Roma, Catania. Dopo aver combattuto per sé stesso e per Nyima, ora Aboubakar, il “guerriero Adi General”, ha aiutato i suoi compagni a portare a casa un ottimo risultato ai Mondiali antirazzisti. La squadra, infatti, si è classificata prima del suo girone.
Sempre dal Gambia, la repubblica islamica dove dal 2013 l’ex presidente dittatore Yahya Jammeh ha severamente proibito di giocare a calcio per strada, mettendo al bando i Navétanes, i tornei che si disputano durante la stagione delle piogge, arriva l’altro professionista del pallone, il 30enne Sarjo Fathy. Che da quando è in Italia, fino all’incontro con la Mmishkata, aveva dovuto appendere le scarpette al chiodo. «In Gambia giocavo nella Makhasa, invece qui nessuno mi ha mai dato la possibilità di praticare questo sport, che per me è tutto». Dopo la traversata del Mediterraneo in una barca con 40 persone a bordo, Sarjo è arrivato prima a Bianco, in provincia di Reggi0 Calabria e ha vissuto per 6 mesi in un “emergency camp”, un centro di emergenza temporanea che accoglieva più di 60 persone. Poi è stato trasferito a San Benedetto Ullano, paese natale del noto giurista Stefano Rodotà, che però dista più di mezzora d’auto da Cosenza, e per chi come lui non possiede un mezzo proprio per spostarsi, diventa tutto più complicato.
Sarjo è dovuto scappare dal Gambia perché lui e la sua famglia sono stati perseguitati da Jammeh, che voleva imprigionare chiunque avesse avuto qualcosa a che fare con i governi precedenti. I perseguitati politici come lui, scappati dalle temibili prigioni di Jammeh, sono tantissimi in Italia.
«Sono andato prima in Senegal, poi in Mauritania, dove ho lavorato per 3 mesi, anche se in nero, perché sono Paesi in cui è molto difficile ottenere i documenti». Dalle persecuzioni nel suo Paese, all’arrivo nella provincia calabra, il trentenne gambiano spera di riuscire prima o poi a dribblare gli ostacoli. E a tornare a essere quello che ero: un capocannoniere».
Darlington, alias Valentino, non ha la stessa rabbia di Sarjo, perché lui una casa a Cosenza l’ha trovata. Mentre interloquiamo ci mostra su Google Map il luogo da dove proviene, un villaggio nella periferia di Benin City, Edo State, nel nord della Nigeria.
Diciannove anni, arrivato in Italia da due e mezzo, dopo lo sbarco a Lampedusa è stato portato prima a San Lucido, a ottobre 2016, in un centro per minori stranieri non accompagnati, dove ha iniziato a studiare italiano, lezioni che poi ha proseguito al Centro di prima accoglienza di Spezzano della Sila. Compiuti i 18 anni l’hanno trasferito dal mare ai monti, nel Cas di Camigliatello Silano, dove è stato per altri tre mesi. Ma un po’ per la lontananza dalla città, circa un’ora di pullman, un po’ per cercare lavoro e per frequentare gli amici cosentini, Valentino si allontanava spesso dalla struttura di accoglienza straordinaria sui monti della Sila. E a causa dei ritardi e delle assenze presto scatta il procedimento di “revoca dell’accoglienza”, misura prevista dalla direttiva 2013/33/UE del Sistema Europe Comune del Diritto di Asilo.
Ma si trova un accordo con i responsabili del centro, decide di trasferirsi definitivamente a Cosenza e viene accolto dai Prendocasa che gli assegnano una stanza all’ex Hotel Centrale occupato.
Qui trova la sua dimensione e, adesso, anche la squadra di calcio. Ma il suo vero sogno è uno: la pista da ballo. Oltre al ruolo di “ala sinistra” nella Mmishkata, infatti, Valentino fa il ballerino di rap e hip-hop. E intanto cerca un lavoro. Di certo, non vuole tornare in Nigeria
Ad allenare questa corazzata dell’integrazione ci sono due ragazzi che, più che esortare i calciatori a puntare alla vittoria a ogni costo, li educano alla sportività e al rispetto reciproco in campo.
«Come in ogni buona famiglia, ci devono essere regole anche sul campo. Io mi occupo di farli migliorare nella tecnica», spiega il mister Tignanelli, che si è fatto coinvolgere dal progetto senza esitare. A ad aiutarlo, per la preparazione atletica, mister Gianluca Visciglia secondo cui, «può capitare che tra i Mondiali Antirazzisti di Riace e la No Borders Cup i primi di agosto a Lecce, verrà qualche osservatore sportivo a scoprire un talento tra questi ragazzi».
Quella di Riace, dicevamo, era una “special edition”. Ideati 24 anni fa a Montecchio Emilia, piccolo comune in provincia di Reggio Emilia, le precedenti 23 edizioni si sono svolte tutte tra il Bosco Albergati di Modena, Bologna e Casalecchio, al Centro Sportivo Salvador Allende. Quest’anno però, vista la gravità della situazione politica, la Uisp, Unione Italiana Sport per Tutti ha ritenuto di voler mandare un segnale netto e prendere posizione a favore di Mimmo Lucano. «Appresa la notizia degli arresti domiciliari per l’ex sindaco di Riace abbiamo deciso subito di trasferirci in Calabria per i Mondiali di quest’anno», spiega Roberto Terra, tra gli organizzatori della manifestazione. Che ha una storia importante alle spalle di partecipazione, inclusione e sport popolare.
“Stavolta abbiamo fatto molto di più: abbiamo portato un migliaio di persone a ripopolare per tre giorni il borgo e la marina di Riace. Dove la neonata fondazione dell’ex sindaco, “È stato il vento” ci ha messo a disposizione circa 250 posti letto, tra la mediateca comunale e le case lasciate dai migranti costretti ad andare via nei mesi scorsi».
I tornei di calcio e basket si sono svolti in paese, al Ritiro del Pellegrino, dove da un campo grande ne sono stati ricavati 6 più piccoli. Le gare di volley si sono disputate in piazza, nell’anfiteatro arcobaleno, mentre le gare di rugby già alla marina, in spiaggia.
Ai Mondiali, che sono ormai rinomati nell’ambito dello sport popolare si sono iscritte molte squadre internazionali e alcune squadre del luogo.
Tutte in campo accettando poche regole etiche più che sportive da rispettare che contraddistinguono da sempre i Mondiali Antirazzisti. Dopo la prima fase a gironi che prevedeva partitelle di 20 minuti ciascuna (due tempi da 10) infatti, quarti semifinali e finali si sono disputati solo ai rigori. Questo per evitare che l’agonismo si trasformi in antagonismo e in campo ci si innervosisse pur di conquistare la vittoria. Tra le squadre con cui si è incontrata, più che scontrata, la Mmishkata, c’era il Camini Eurocoop, battuto per 1-0; i bolognesi del Galliera con cui è finita a reti inviolate. Degna di nota è invece la vittoria contro i “vatussi” londinesi del Mosstino, battuti per 2 a 1. «Oltre al piacere di confrontarci con una squadra straniera abbiamo fatto un’ottima figura in campo perché loro erano molto alti e molto ben preparati atleticamente», precisa Bornino.
Se i Mondiali Antirazzisti a Riace rappresentano una novità assoluta a livello nazionale, la Polisportiva Mmishkata rappresenta una bella novità per Cosenza e per la Calabria. Le divise per tutti i calciatori sono arrivate da Caserta, ordinate alla Rage Sport che, come specificato sul sito e sulla pagina Facebook, è un marchio di abbigliamento sportivo unicamente per i progetti popolari e solidali. «Abbiamo scelto tramite sondaggio sui social media i colori e i loghi delle uniformi», spiega Wilma Carlini, attivista delle Fem.In Cosentine in lotta.
La Mmishkata, infatti, è rossoblù come il Cosenza Calcio e i bordini delle maniche sono rosso-giallo-verdi per ricordare i colori del Senegal e la maggior parte delle bandiere africane. Sempre per la logica del mescolamento, il simbolo stampato è formato da un leone e un lupo attaccati, il primo sventola la bandiera del Cosenza, il secondo quella africana. Sul retro è stampata la frase “If the kids are united”, dal titolo del brano degli Sham 69, gruppo punk britannico.
Dopo l’emozione di Mondiali Antirazzisti, dove la Mmishkata è arrivata prima nel suo girone con 11 punti, con soli tre mesi di preparazione, c’è già in calendario un appuntamento altrettanto importante: la No Racism Cup di Lecce 8-11 agosto. «Siamo molto contenti dopo il primo banco di prova di Riace e siamo già carichi per il prossimo torneo, sempre all’insegna della solidarietà e del rispetto, in campo e fuori», ricorda il presidente. Intanto i Mmishkati si sono iscritti pure al Coni, con il desiderio e l’auspicio di potersi iscrivere anche a campionati amatoriali di categoria e di poter mescolarsi ulteriormente convocando in squadra anche le donne che supportano il progetto.
Insomma sono in arrivo altre notti magiche sotto il cielo di un’estate “mmishkata”. E antirazzista, naturalmente.