Erano le 6.40 del mattino quando l’equipaggio della barca di soccorso Iuventa ha avvistato il gommone. A bordo c’erano 129 persone provenienti da Gambia, Senegal, Ghana, Guinea, Nigeria e altri paesi. Erano partite sei ore prima dalla costa della Libia, dove erano state portate dai trafficanti che avevano pagato. Grazie alla missione di soccorso, condotta dall’Ong tedesca Jugend Rettet a 20 miglia nautiche dalla costa libica, quel giorno sono sopravvissuti tutti.
Fra di loro c’era Malick Jeng, 19 anni, del Gambia, la cui vita ho documentato con le mie fotografie da quando è stato soccorso in mare. Malik è uno dei 362,753 rifugiati e migranti che hanno raggiunto l’Europa attraversando il Mediterraneo nel 2016. È partito dalla sua città natale, Banjul, la capitale del Gambia, cinque mesi prima di essere soccorso in mare ad agosto. Se n’è andato a piedi, da solo, senza dirlo alla sua famiglia, come molti altri giovani che hanno tentato il viaggio verso l’Europa prima di lui. Dopo aver passato il Senegal, ha attraversato il deserto in Mali nella cisterna di un trasporto di petrolio, nella quale è quasi morto soffocato. E una volta giunto in Libia, è stato imprigionato per un mese.
Malick nel suo letto all’Hotel Colibrì, l’albergo chiuso diventato centro di accoglienza che può ospitare fino a 55 richiedenti asilo, di solito fino a un massimo di due anni finché non si compie la loro procedura. (Foto: César Dezfuli)
Denunciata dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni come un “mercato di schiavi”, la Libia, sprofondata in una lotta di potere dopo la caduta di Muammar Gheddafi, è la culla di vari gruppi armati che predano i migranti sub-Sahariani per guadagnare. I trafficanti gestiscono sia le rotte migratorie che portano alle coste, sia le prigioni dove i migranti vengono spesso confinati, mentre alle loro famiglie viene estorto il denaro per la loro liberazione.
All’interno della prigione in Libia, Malick ha dovuto assistere all’assassinio di alcuni dei suoi compagni di viaggio. E appena è stato rilasciato, grazie a un pagamento della sua famiglia, si è messo subito in contatto con un trafficante che lo ha trasferito a un “centro di collegamento” nella capitale, Tripoli. Lì ha aspettato per settimane di essere portato alla spiaggia per partire per l’Europa.
L’entrata dell’Hotel Colibrì di Biella, un albergo a lungo chiuso e ora usato come centro di accoglienza temporanea per richiedenti asilo (Foto: César Dezfuli)
Dopo essere stato soccorso, Jeng è stato prima trasferito in Sicilia e poi a Biella, nel nord Italia, dove abita da allora, in un centro di accoglienza temporanea chiamato Hotel Colibrì – un vecchio albergo rimasto chiuso per dieci anni e poi trasformato ad agosto del 2016 in centro di accoglienza, che può ospitare fino a 55 richiedenti asilo. Tutti coloro che vi risiedono attualmente vengono da paesi dell’Africa sub-Sahariana, e vengono ospitati in camere da due a quattro persone. In Italia, a gestire centri come questo sono cooperative e aziende private. Tutti i migranti fanno lezione di italiano due volte alla settimana, in cui imparano le basi della conversazione per procedere nella loro vita quotidiana, e imparano a preparare un curriculum. All’Hotel Colibrì, Malick divide una stanza con altre persone del Gambia e del Senegal. Vuole ottenere asilo politico in Italia, e da richiedente asilo ha diritto di restare in questo centro per tutta la durata della procedura, che di solito richiede fino a un massimo di due anni.
Malick prepara il tè nella stanza con i suoi amici, usando un piccolo fornello elettrico. Segue il rito di preparazione del tè che usava quando stava ancora con la sua famiglia. Quando è pronto, lo offre agli amici mentre ne prepara dell’altro. È un modo per far passare parte del tempo nel centro di accoglienza temporanea. (Foto: César Dezfuli)
Malik però sa che di recente, per via dei cambiamenti politici nel suo paese, le sue probabilità di ottenere lo status di rifugiato sono diminuite. Come molti compatrioti, aveva lasciato il Gambia perché stanco della mancanza di libertà, della persecuzione politica, della corruzione e dell’incertezza sul futuro causate dalla dittatura di Yahya Jammeh, che era al potere dal 1994. Ma Jammeh è stato rimosso dal governo a gennaio di quest’anno, dopo aver perso le elezioni contro Adama Barrow, che ora è al potere e ha promesso di dare inizio a una nuova era per il paese.
Malick a lezione di italiano insieme ai suoi compagni dell’Hotel Colibrì e a quelli di altri centri per i migranti a Biella. Tutti i migranti ricevono lezioni di italiano due volte alla settimana per imparare a fare conversazione nella vita di tutti i giorni e a preparare il curriculum. (Foto: César Dezfuli)
Malick festeggia i cambiamenti avvenuti nella sua patria, ma non si fida del fatto che lì le cose possano cambiare tanto facilmente. E dopo tutti i rischi che ha corso per arrivare in Europa, vuole avere l’opportunità di cominciare una nuova vita lontano dal paese dal quale un giorno aveva deciso di fuggire, e nel quale per ora non vuole tornare perché dubita della sua stabilità.
Per ora, resta in attesa di un responso alla sua richiesta di asilo per scoprire se potrà cominciare una nuova vita in Europa legalmente, da rifugiato, o se sarà costretto a continuare a lottare per il suo futuro.
In copertina: Malick guarda il mare dall’imbarcazione di soccorso Iuventa, sopravvissuto con decine di altri dopo sette ore di viaggio su un gommone dalla costa della Libia. (Foto di César Dezfuli, come tutte le foto di questo articolo)