un’opera dell’artista angolano Kiluanji Kia Henda, realizzata in occasione della sua prima mostra personale in Italia, che molto spazio ha dedicato al tema delle migrazioni e della “prigionia” con cui si tenta di fermarle.
14 maggio 2020 -La detenzione di immigrati e richiedenti asilo nel Regno Unito è sempre stata uno strumento centrale nella governance dell’immigrazione del paese, nonché un motivo di discussione e analisi a livello europeo. Per detenzione si intende la pratica amministrativa dell’Home Office di trattenere cittadini stranieri in qualsiasi momento dell’iter per il riconoscimento dello status di immigrato o di richiedente asilo ai fini della gestione dell’immigrazione stessa. Affinché il ministero possa esercitare il suo potere discrezionale di detenzione, una o più delle seguenti ragioni deve essere presente: esecuzione dell’espulsione, verifica dell’identità, verifica delle ragioni della richiesta di asilo o di permesso di soggiorno, rischio di fuga, ricerca di sistemazioni alternative e protezione del bene pubblico.
In linea con gli standard europei e internazionali, le disposizioni emanate dall’Home Office indicano che la detenzione deve essere utilizzata con moderazione, quando non ci sono alternative ragionevoli e per il tempo più breve possibile. Secondo la legislazione nazionale, queste alternative includono identificazione elettronica, obbligo di firma, cauzione e residenza designata e devono essere prese in considerazione prima che la detenzione sia autorizzata. In pratica, però, le cose vanno diversamente. Non è necessario provare che le alternative siano inefficaci o siano state attuate correttamente; le decisioni e gli ordini di detenzione sono lasciati alla discrezione del ministero. Inoltre, Jerome Phelps, ex direttore dell’International Detention Coalition di Detention Action, spiega che, essendosi dissociati dall’acquis UE sull’asilo e dalla direttiva Rimpatri, il Regno Unito non ha applicato il diritto europeo sull’immigrazione e continua a non applicare un limite di tempo al trattenimento. Pertanto, sebbene i cittadini stranieri debbano per legge essere detenuti solo per brevi periodi, “se non possono essere espulsi, possono essere detenuti a tempo indeterminato, in passato anche per periodi di 8 anni”.
Ciò premesso, dai primi anni ’90 all’inizio del millennio il governo, ha adottato un approccio alla detenzione molto duro basato sull’enforcement. Ne è conseguita la creazione di uno dei complessi di detenzione di migranti più vasti d’Europa. Attualmente, comprende 7 centri di espulsione (Immigration Removal Centres – IRCs), due strutture di detenzione a breve termine (Short-Term Holding Facilities – STHFs), una struttura di alloggio pre-partenza (pre-departure accommodation facility – PDA), e trenta stanze di trattenimento a breve termine nelle zone di ingresso. Queste strutture nel 2019 hanno ospitato 24.052 persone.
Tuttavia, negli ultimi dieci anni, questo approccio alla detenzione è gradualmente cambiato grazie a un crescente interesse da parte delle istituzioni, della società civile, dei media e dell’opinione pubblica. “Si è svolta una campagna molto efficace”, ha osservato Phelps, “che ha mobilitato un ampio spettro di voci, tra cui leader religiosi, parlamentari conservatori (del partito ora al governo) e comunità civile, ma anche una forte leadership dei migranti, “esperti per esperienza”, che hanno vissuto la detenzione a tempo indeterminato e hanno un ruolo attivo nel guidare l’advocacy contro di essa”. Tutto ciò è stato integrato da azioni di contenzioso strategico da parte delle organizzazioni della società civile, che si sono dimostrate essenziali in diverse occasioni e su diversi fronti. Ad esempio, le azioni legali promosse da Detention Action hanno portato alla sospensione del Detained Fast Trask nel 2015 e, più recentemente, al rilascio di oltre 350 cittadini stranieri detenuti in una sola settimana durante l’epidemia di Covid-19.
Oltre a ciò, secondo Phelps, “c’è stato un impegno crescente da parte del governo: l’inchiesta parlamentare sulla detenzione e i vari scandali legati ad essa[3], hanno convinto il governo a condurre una propria indagine”. Quest’ultima ha fatto eco a molte delle preoccupazioni presentate dalla società civile, dall’ombudsman Stephen Shaw, e dagli organi di controllo delle Nazioni Unite. Ha aggiunto inoltre: “questo ha portato il governo a impegnarsi sempre più a ridurre la dimensione e la durata della detenzione, e ad andare verso lo sviluppo di alternative”.
Le riforme annunciate dal Ministro dell’Immigrazione nel luglio 2019 comprendevano più precisamente la promozione e l’incoraggiamento dei rimpatri volontari, la riduzione del 30% del numero di immigrati e richiedenti asilo detenuti, l’aumento del coinvolgimento diretto dei detenuti e un maggior contatto con i/le loro case manager. Parallelamente, “l’Home Office sta sviluppando, insieme alla società civile, una serie di progetti pilota sulle alternative alla detenzione per testare come la loro implementazione possa essere usata per sostenere quella che è la politica dichiarata del governo, cioè ridurre l’utilizzo della detenzione”, ci ha informato Phelps.
Il primo di questi progetti pilota finanziati dal governo è stato lanciato dall’Home Office nel dicembre 2018 ed è gestito da Action Foundation. Il progetto, denominato Action Access, mira a consentire il rilascio delle donne vulnerabili che sono detenute, o che sarebbero altrimenti detenute, nel centro di espulsione di Yarl’s Wood, nel nord dell’Inghilterra. A tal fine, fornisce gestione e assistenza personalizzata e un alloggio a 21 donne di età superiore ai 18 anni, senza persone a carico, con precedenti penali e ordini di allontanamento in scadenza e alle quali è stata rifiutata la richiesta d’asilo. Con il supporto dei/delle case manager, queste donne possono esplorare tutte le opzioni, prendere decisioni informate e, infine, di risolvere i loro casi in un contesto comunitario, al di fuori della detenzione.
Questa gestione individuale dei casi è un elemento chiave anche in diversi altri progetti pilota sulle alternative alla detenzione gestiti dalla società civile. Nel 2014, ad esempio, Detention Action ha lanciato il Community Support Project per giovani ex detenuti, il gruppo più esposto a detenzione indeterminata. Aiutandoli a rispettare le condizioni del loro rilascio, a partecipare alla comunità e a mantenere i contatti con le autorità, l’obiettivo del progetto è quello di consentire il loro rilascio e di ridurre il rischio di fuga o di recidiva. Nell’ambito del progetto, Detention Action ha “gradualmente costruito rapporti di fiducia con l’Home Office per consentire ai migranti di essere rilasciati all’interno del progetto e per convincere il ministero a non trattenerli per periodi di anni, nel caso in cui non possano essere espulsi”, ha detto Phelps.
Pertanto, anche se nel Regno Unito non è ancora stato fissato per legge un tempo massimo per il trattenimento dei migranti, la combinazione dei fattori di cui si è detto ha portato a una considerevole riduzione dell’uso della detenzione e un maggiore ricorso alle sue alternative. Negli ultimi 5 anni il numero di cittadini stranieri detenuti è diminuito di oltre il 40% e anche le recenti risposte all’emergenza Covid-19 riflettono questa tendenza.
Il 25 marzo 2020, il ricorso legale presentato da Detention Action davanti all’Alta Corte del Regno Unito ha portato infatti al rilascio di oltre 350 persone. Secondo la charity il governo non era riuscito a proteggere dal virus i cittadini stranieri detenuti. La sospensione delle espulsioni e il trattenimento dei migranti in ambienti a rischio rendevano la detenzione illegittima ed irragionevole. L’impossibilità di adottare misure di distanziamento sociale e di garantire adeguate condizioni sanitarie rendeva questi centri ideali aree di incubazione per la rapida diffusione del coronavirus. Bella Sankey, direttore di Detention Action, ha sottolineato: “Nel mezzo di una pandemia globale, la detenzione amministrativa mette in grave pericolo coloro che sono internati. E mantenere la detenzione, quando vi sono le prove […] che i centri di detenzione fungono da ‘pompe epidemiologiche’ ci mette tutti inutilmente a rischio”.
Eppure, un mese dopo, circa 1.000 persone erano essere ancora detenute. L’Alta Corte ha respinto l’appello per il loro rilascio ritenendo adeguate le misure adottate dal ministero per proteggerli dal virus; in particolare sono stati potenziati screening e monitoraggio, previste strutture per l’isolamento delle persone più vulnerabili, adottati migliori standard di pulizia e favorito il distanziamento sociale nelle aree comuni. Ciononostante, hanno continuato a essere presentate richieste di rilascio e, al 7 maggio 2020, le persone rimaste nei centri semivuoti erano 368. Dall’inizio dell’emergenza Covid-19, il numero dei migranti detenuti nel Regno Unito è diminuito di oltre due terzi.
Diverse organizzazioni, tra le altre Detention Action, Medical Justice and Association of Visitors to Immigration Detention, hanno esortato l’Home Office a garantire l’accesso a un alloggio sicuro ai cittadini stranieri rilasciati. È fondamentale che le autorità competenti assicurino sostegno e alloggio a queste persone per garantire che possano effettivamente lasciare i centri, rispettare le misure precauzionali Covid-19 ed evitare di trovarsi senza un tetto e in condizioni di indigenza.
In copertina: un’opera dell’artista angolano Kiluanji Kia Henda, realizzata in occasione della sua prima mostra personale in Italia.