L’associazione Lunaria ha pubblicato all’inizio di ottobre il suo Libro bianco sul razzismo, che si propone di dare una visione d’insieme del dilagare di xenofobia e discriminazioni in Italia. Duecento pagine che prima fanno il punto sul più ampio contesto politico e culturale – fra politiche migratorie insostenibili, cittadinanza e diritti negati e criminalizzazione della solidarietà – e poi analizzano da vicino come il razzismo si manifesta nei media e nei fatti di cronaca, per tentare di misurare un fenomeno che sembra in preoccupante crescita. Da questa ricerca emerge però che – anche descrivendolo in maniera accurata attraverso i dati e le informazioni disponibili – il razzismo è per sua natura più complesso, sottile e pervasivo di quanto possano dirci i semplici numeri.
Migranti e media: dai casi più gravi alle insidie del linguaggio
Nel libro bianco si citano nel dettaglio solo gli episodi di razzismo nei media più famosi e discussi degli ultimi anni: i quattro minuti in Tv dell’europarlamentare della Lega Nord Gianluca Buonanno, che nella tramissione Piazza Pulita gridava “gli zingari sono la feccia della società”; e l’antiziganismo e l’islamofobia in prima pagina sul quotidiano Libero con gli articoli dedicati ai “killer rom” e ai “bastardi islamici”. Osservazioni sufficienti a mettere in guardia su una situazione macroscopica, in cui fra stereotipi e pregiudizi sui migranti i media si fanno portatori di una narrazione distorta, quando non arrivano addirittura a fomentare odio.
In questo contesto allarmante, assumono profonda importanza anche le parole che a prima vista potrebbero apparire innocue: nel libro bianco, Giuseppe Faso ci mette in guardia dal “razzismo democratico”, esplorando i pericoli che si nascondono nell’abuso di alcuni concetti. Cosa c’è, per esempio, dietro la reiterazione dell’attributo di “incensurato” o “regolare” riferito a una persona straniera? Il caso del senegalese disperso sotto la valanga di Rigopiano offre un esempio di discriminazione sottilissima, ma non per questo meno insidiosa: a nessuno verrebbe in mente durante una tragedia di soffermarsi sulla fedina penale di vittime e dispersi, tanto più quando ancora sono in corso le operazioni di ricerca dei soccorritori – a meno che, come in questo caso, non si tratti di “immigrati”.
La violenza razzista nei dati (limitati) e nei fatti di cronaca (continui)
Ancora più preoccupante della rappresentazione mediatica è la situazione che si delinea attraverso l’analisi dei numeri relativi ad episodi di violenza e recenti fatti di cronaca di stampo razzista.
Va premesso che, come ha osservato la Commissione Europea sul Razzismo (Ecri) nel suo più recente rapporto dedicato all’Italia, non disponiamo ancora di un sistema nazionale coordinato, sistematico e trasparente di raccolta dati sulle discriminazioni e le violenze razziste. I dati raccolti dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar), dall’Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori (Oscad), dal Ministero della Giustizia e dall’Istat, oltre che nella banca dati del Sistema di Indagine della Polizia di Stato, differiscono infatti per finalità e metodo di rilevazione, per tempi di pubblicazione, per sistemi di classificazione adottati e in generale per l’eterogeneità del campo di osservazione – e vanno quindi letti tenendo conto di questi forti limiti.
L’Oscad riceve ogni anno centinaia di segnalazioni ricondotte a reati di matrice discriminatoria (232 nel 2014, 191 nel 2015, 108 nel 2016 e 28 al 30 aprile del 2017). I dati registrati nel Sistema di Indagine della Polizia di Stato offrono maggiori dettagli sul tipo di reati di matrice specificamente razzista commessi nel 2015 e nel 2016: i reati punibili ai sensi della Legge Mancino – e cioè manifestazioni razziste o esibizioni di simboli razzisti in riunioni pubbliche – sono stati 188 nel 2015 e 154 nel 2016. Sono invece 67 nel 2015 e 53 nel 2016 i reati registrati con riferimento alla Legge Reale (propaganda, istigazione o commissione di atti di discriminazione; istigazioni o commissioni di violenze razziste; partecipazione o assistenza a gruppi razzisti; promozione o direzione di associazioni o gruppi razzisti). Per quanto riguarda invece gli atti discriminatori segnalati all’Unar (la cui competenza riguarda le discriminazioni di rilevanza non penale), sono risultate pertinenti 2.652 delle 2.939 istruttorie aperte nel 2016: il movente più ricorrente (69 per cento) è quello etnico o razzista, che nel 17 per cento dei casi colpisce Rom, Sinti e Caminanti.
Un quadro piuttosto dispersivo, su cui prova a tirare le somme il database di Cronache di Ordinario Razzismo, che nell’ultimo triennio documenta 1197 casi di violenza verbale (611 nel 2015, 415 nel 2016 e 171 nel 2017), che riguardano soprattutto la propaganda (sono 783 i casi registrati) e 84 casi di violenza fisiche (41 nel 2015, 28 nel 2016 e 15 nel 2017), tra cui 11 episodi mortali (2 nel 2015, 4 nel 2016, 5 nel 2017). Aggiungendo i casi di violenza contro proprietà o cose e quelli di discriminazione la conta finale arriva a 1483 episodi razzisti dal 2015 a maggio 2017, dai più lievi, ma non meno gravi, a quelli che uccidono, come il caso di Roberto Pantic, ucciso a Bergamo nel febbraio 2015 con un colpo di pistola mentre stava dormendo nella sua casa mobile (“volevo spaventarli perchè sporcano”, provò a giustificarsi l’assassino, riferendosi ai nomadi) e quello di Emmanuel Chidi Nnamdi, ammazzato di botte a Fermo nel luglio 2016 dopo aver reagito agli insulti razzisti rivolti alla sua compagna.
FOTO DI COPERTINA: Lunaria.