Tra le gole del Monginevro comincia a soffiare un vento freddo, le giornate autunnali sono ancora calde, ma la notte l’ombra delle Alpi fa entrare il gelo nelle ossa.
Silvia Massara lo sa bene e mentre si siede al tavolo della mensa del Rifugio Fraternità Massi di Oulx ci racconta: “È dal 2017 che distribuisco thè caldo e giacche a vento, prima in stazione, poi al rifugio. Con l’inverno in arrivo è sempre più difficile oltrepassare il confine, perché rischi di morire assiderato o finire sotto una slavina”.
Il 7 agosto un ragazzo di vent’anni della Guinea è stato trovato senza vita lungo i sentieri che portano dal Monginevro a Briançon, in Francia. Come lui altre centinaia di giovani sono morti dal 2017 ad oggi tentando di passare la frontiera e sperando di non venire respinti dalla gendarmeria francese. Delusi dall’Italia, in cerca di membri della famiglia o un futuro migliore nel resto d’Europa. “Quando li incontro e ascolto le loro storie – continua Silvia – mi chiedo cosa possano mai aver vissuto per lasciare tutto e partire. Spesso vedo ragazzini di tredici o quattordici anni, gli unici in famiglia a parlare inglese che diventano delle piccole guide in questi viaggi della speranza e ti raccontano che la vita per loro è boschi, polizia, scappare, fame e freddo”.
Uno di questi ragazzi è Mabast, da poco diciottenne, lo abbiamo incontrato al rifugio Massi, di passaggio con i genitori, le sorelle e il fratellino di sette anni. “Stiamo camminando dal 2016” racconta Mabast, che, poco dopo la nascita del piccolo Alvest ha dovuto guidare la sua famiglia dal Kurdistan iracheno in guerra all’agognata Europa, passando per la Turchia, Lesbo, l’Albania e la Bosnia, dove è stato picchiato più volte, insieme alla madre e il padre, dalla polizia croata ogni volta che tentavano il Game. “Nessuno aiuta nessuno laggiù, come a Lesbo, dove abbiamo vissuto in una tenda in mezzo al fango. Si litigava per ogni cosa e la polizia ti aiutava a litigare” conclude il giovane con lo sguardo a terra.
La storia di Mabast e la sua famiglia è ormai ricorrente a Oulx: “Ogni giorno ci sono circa 200 persone qui al Rifugio, ma la capacità è di ottanta posti letto. Vengono dall’Afghanistan, dalla Siria, dal Sudan, dalla Libia e da altri Paesi in crisi. Noi stiamo stringendo i denti per farcela, grazie anche al sostegno di una rete di circa duecento volontari e delle donazioni dei privati, ma di questo passo non riusciremo a tirare fino a quest’inverno” racconta preoccupato Luca Guglielmetto, referente logistico del Rifugio Massi.
L’aumento degli arrivi dalla Rotta Balcanica e il collasso delle strutture di accoglienza a Trieste, così come i continui sbarchi a Lampedusa, mettono alla berlina le politiche europee sui respingimenti e in evidenza l’inefficienza del Regolamento di Dublino.
Oggi, con l’inverno in arrivo, la Rotta delle Alpi sta diventando sempre di più una trappola mortale per chi insegue disperatamente la speranza di un futuro migliore.
“A luglio abbiamo avuto il doppio degli arrivi di giugno, ad agosto il doppio di quelli di luglio e ad oggi possiamo dire che sono già passate circa 20.000 persone dal rifugio, mentre fino all’anno scorso la media annuale era tra i 12.500 e i 15.000 passaggi” – afferma Luca e continua – “Ogni giorno circa duecento persone prendono il bus che le porta alla frontiera”. Arrivati con il bus a Claviere si disperdono nei boschi, per cercare di passare il confine di notte, circa un terzo viene respinto dalla gendarmeria, il resto continua e raggiunge il Refuge Solidaire di Briançon, dove non possono più essere scacciati.
Max Duez, referente del Refuge Solidaire è un uomo di montagna, concreto e indaffarato con il berretto sempre in testa e un gran cuore, è lui che con i volontari si occupa di accogliere le persone che arrivano, garantire un pasto caldo e un letto. “Non siamo un centro di accoglienza, noi siamo qui per dare un rifugio alle persone quando è brutto tempo, quando ci sono meno 14°C e se resti fuori rischi la vita, la vocazione dei paesi di montagna è questa: non lasciare mai nessuno da solo al freddo”. Il Refuge Solidaire si sviluppa su una struttura di tre piani e può accogliere poco meno di un centinaio di persone, è stato acquistato dalla gente di Briançon, una cittadina di circa tredicimila abitanti, che ha creato una Società Civile Immobiliare per una gestione diffusa del rifugio. “Abbiamo contattato il comune, lo Stato, tutti i livelli, ma non abbiamo ricevuto nessuna risposta per fronteggiare l’emergenza così, con fatica, attraverso donazioni private, siamo riusciti ad acquistare l’immobile”. Oggi, anche la struttura del Refuge Solidaire è sotto pressione per via del numero di arrivi, più di duecento persone chiedono aiuto ogni giorno, i letti non bastano e la scarsità di risorse crea tensioni anche tra gli ospiti.
Ogni tanto dall’Italia arrivano delle chiamate, per avvisare che delle persone potrebbero aver bisogno di aiuto il mattino seguente, quando infreddolite e stanche arriveranno a Briançon. Max e Silvia si conoscono e collaborano a distanza per tutelare il diritto di ogni essere umano alla libertà di movimento. Ogni anno si incontrano, con altre centinaia di persone, sui sentieri del Monginevro per la Grande Maraude Solidaire, la marcia di protesta che dal 2016 le associazioni italiane e francesi organizzano, una volta all’anno, per denunciare l’ingiustizia delle politiche migratorie europee, le violenze della polizia al confine e per chiedere il riconoscimento del diritto al viaggio per tutti.
Alle marce annuali partecipa ormai da qualche anno anche Arnold, un ragazzo ivoriano arrivato in Italia nel 2016. Oggi vive a Caprie con il figlio e la compagna Sandra, ritrovata dopo che si erano persi di vista quando era stato fatto prigioniero in Libia nel 2015. Aveva lasciato la Costa d’Avorio per salvare la compagna, già da qualche anno in Libia per lavoro, che si era ritrovata in mezzo alla guerra civile. Arnold lavora come operatore al Rifugio Massi e dà una mano a Silvia, a Luca e ai volontari nella gestione degli ospiti. “Sono stato anch’io un migrante e la cosa più difficile è riuscire a fidarsi delle persone. Io cerco di guadagnarmi la fiducia dei ragazzi che incontro e gli do dei consigli, dicendo che il futuro non arriva subito, ma se si impegnano la gente poi li aiuta e piano piano il futuro arriva. Alla fine chi cerca trova”.
Da Oulx a Briançon, dal 2017 ad oggi sono passate circa 65.000 persone in fuga da guerre, dittature, violazioni di diritti e un mare di ingiustizie. Queste vite a pezzi, disorientate, illegali e quindi respinte da politiche migratorie totalmente inadeguate, ogni giorno, da sei anni, vengono riconosciute nel loro valore da altre persone, che senza troppi giri di parole, agiscono e così facendo difendono i principi del sogno europeo, creando una catena di umanità che oltrepassa le Alpi e ogni confine.
Foto di copertina: Portigliatti Matteo. Solidarity in the mountains. Una cartina topografica, all’interno del refettorio del Rifugio Massi, evidenzia la migliore via per oltrepassare il confine italo-francese.
Foto nell’articolo: Portigliatti Matteo. Solidarity in the mountains. Il centro di accoglienza Rifugio Fraternità Massi, destinato ai migranti di passaggio in alta Val Susa è stato rinnovato ed ampliato nel 2021, ora conta 70 posti letto.