Dopo tre anni, tre minuti. O forse otto. Al massimo 11. Tanto è stato il tempo che i leader UE, durante il Consiglio Europeo della scorsa settimana, hanno dedicato alle migrazioni. L’argomento era assente dall’agenda dei lavori dal 2018, è rientrato su esplicita richiesta dell’Italia, ma si è ritrovato schiacciato tra pandemia, Russia e il dibattito straordinario sulla legge anti LGBT+ dell’Ungheria di Orbán. Per essere la prima volta che Mario Draghi discuteva ufficialmente della questione con i colleghi, lo spazio è stato davvero esiguo. Ma perché? Le letture possibili sono due.
Una è positiva: è bastato poco perché tutti gli stati membri sono sulla stessa linea. L’altra è opposta: i 27 sono talmente divisi che questo dibattito nemmeno lo vogliono aprire. Le spiegazioni sono vere entrambe: la prima riguarda la dimensione esterna della migrazione e cioè il processo di esternalizzazione delle frontiere; la seconda la dimensione interna, con la riforma del regolamento di Dublino, la solidarietà e i ricollocamenti dei cittadini stranieri che arrivano nei paesi ai confini esterni UE. Su quest’ultimo aspetto, in Italia, si erano create aspettative particolarmente alte, ma il tema non era in agenda e, infatti, Draghi era stato particolarmente cauto nel presentare il vertice, dicendo al Senato di aspettarsi “un impegno comune europeo a contenere i flussi illegali”. E, in effetti, le conclusioni del Consiglio Europeo sembrano andare proprio in questa direzione.
Il testo parla di “partenariati e cooperazione con i paesi di origine e di transito” in relazione a “tutte le rotte”, per affrontare “le cause profonde” delle migrazioni”. Per quanto Draghi si sia dichiarato soddisfatto alla fine del summit, non sono certo novità portate a Bruxelles dal Presidente del Consiglio. Sono termini di cui i documenti UE sono infarciti ormai da anni e processi in atto ormai da tempo: l’esternalizzazione delle frontiere, su tutti, ma anche l’uso di ogni leva possibile per limitare i flussi in ingresso.
Paesi di origine e transito
Nelle conclusioni, per esempio, viene citato lo Strumento di vicinato, cooperazione allo sviluppo e cooperazione internazionale (nell’acronimo inglese, NDICI) che dispone di oltre 79 miliardi di euro per i paesi terzi e che deve essere usato almeno al 10% per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare. L’accordo che lo riguarda è arrivato a marzo, ma se ne discute da molto prima. Ora bisognerà capire quanto l’Italia sarà in grado di influenzare l’utilizzo di questi fondi, dirigendoli verso quelle zone che la riguardano maggiormente, come la Libia. La partita è aperta e i primi risultati si vedranno forse in autunno, quando la Commissione è chiamata a presentare un piano d’azione per i paesi di origine e di transito e a dire come spenderà i fondi di NDICI. Chi, nel frattempo, è certa di avere ulteriori risorse è la Turchia.
Sempre nel corso del Consiglio Europeo della scorsa settimana, i leader UE hanno deciso “il proseguimento dei finanziamenti a favore dei rifugiati siriani e delle comunità di accoglienza in Turchia”. La proposta della Commissione dovrebbe essere di altri 3,5 miliardi fino al 2024 e prevedrebbe nuovi e ulteriori fondi anche per Libano e Giordania. A conti fatti, potrebbe essere questa la novità più rilevante e concreta degli ultimi tempi in materia di migrazioni. L’altra è la trasformazione dell’EASO, l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, in una vera e propria Agenzia europea per l’asilo.
Turchia ed EASO
La riforma, attesa dal 2016, è una delle componenti del Patto sulla migrazione e l’asilo presentato dalla Commissione UE nel settembre 2020, l’unica che riguarda la dimensione interna su cui si è trovato un accordo. Secondo Susan Fratzke del Migration Policy Institute, “è un passaggio importante”. L’agenzia avrà più competenze, budget e personale che, spiega l’analista, “in due o tre anni potrebbero rendere più omogenee le procedure in tutta l’UE”. Politicamente, invece, per Silvia Carta dell’European Policy Centre, “la riforma ha un valore soprattutto simbolico: era uno dei dossier meno complessi. Le istituzioni UE sperano di fare altri accordi come questo su altre parti del Patto sulla migrazione e l’asilo, ma non sarà facile”. La dimensione interna rimane bloccata.
Draghi, che al momento si ritrova ad affrontare l’estate praticamente senza solidarietà, ne sembra conscio. A Bruxelles, ha dichiarato ai giornalisti che un accordo sui ricollocamenti è “prematuro” perché, ora, non sarebbe “conveniente per l’Italia”. Al tempo stesso, però, in Senato, due giorni prima, aveva fatto intendere che spera di raggiungerlo in futuro. “Un miglior controllo della frontiera esterna dell’Unione Europea – ha detto il Presidente del Consiglio – può essere la base per un piano più ampio, che comprenda anche i ricollocamenti”.
In apertura: Draghi arriva al Consiglio Europeo del 24/25 giugno 2021, a Bruxelles – Foto: Unione Europea