C’è chi le chiama “operazioni di alleggerimento della frontiera”, chi parla genericamente di “trasferimenti” e chi arriva a definirli con il pesante appellativo di “deportazioni”. Espressioni diverse per indicare la stessa cosa: il sistematico trasferimento di migranti dalle città di frontiera – Ventimiglia e Como (a cui si è aggiunta recentemente Milano) – verso il Sud Italia.
Si ha notizia dei primi trasferimenti di questo tipo (qui un video che mostra una partenza) già nel maggio scorso, quando vennero utilizzati alcuni aerei di Poste Italiane per portare i migranti dal confine francese verso Trapani e Bari, ma è soprattutto a partire dai mesi di luglio e agosto che questa pratica è andata strutturandosi tanto da Ventimiglia quanto da Como, come ammesso dallo stesso capo della polizia Gabrielli in visita nella cittadina ligure. Al centro di questo sistema c’è l’hotspot di Taranto, uno dei quattro attivi in Italia, insieme a Trapani, Pozzallo e Lampedusa.
A confermare a Open Migration la prosecuzione di questa prassi è Michele Matichecchia, comandante dei vigili della città pugliese e capo della Protezione Civile cittadina, che è stato chiamato dal sindaco Ippazio Stefàno a dirigere l’hotspot aperto il 29 febbraio scorso. In questi mesi (dati forniti dallo stesso Matichecchia il 3 novembre) sono passati dal centro circa 12 mila persone: 9500 uomini, 1320 donne e 1300 minori. Tra questi ci sono i migranti che sbarcano direttamente al porto di Taranto (l’ultimo arrivo di 520 persone risale al 25 ottobre scorso) e quanti vengono trasferiti dai porti di Reggio Calabria, Crotone, Messina e Catania.
Ma c’è anche una terza via.
“All’incirca dal mese di luglio – spiega il direttore dell’hotspot – sono iniziati i trasferimenti verso Taranto di migranti che arrivano da Ventimiglia, Como e, in qualche caso, Milano. In media abbiamo transiti giornalieri di 40-50 persone, per un totale di 2 o 3 mila”.
In un documento pubblicato alla fine di agosto l’Associazione studi giuridici per l’immigrazione (Asgi), denunciava come molti dei migranti respinti alla frontiera di Chiasso (300 nei mesi di luglio e agosto secondo l’associazione Firdaus) fossero stati trasferiti direttamente dal posto di polizia di frontiera all’hotspot di Taranto. «Non sono fornite informazioni circa la meta finale di destinazione – scrive l’Asgi – e le stesse vengono trasportate su pullman di aziende private con personale di polizia di scorta». I viaggi con cadenza bisettimanale sono stati confermati da molti migranti tornati a Como e da informazioni raccolte presso la polizia di frontiera di Chiasso.
«Posto che i migranti trasferiti sono già stati identificati – continua il documento – e considerate le gravi difficoltà che la Puglia incontra nell’accogliere tutti i migranti che giungono sul proprio territorio nell’ambito degli sbarchi, è difficilmente comprensibile la ratio di tali trasferimenti, che rischiano di apparire non tanto come interventi finalizzati a una gestione efficiente dell’accoglienza e delle procedure d’identificazione, quanto come misure punitive volte a scoraggiare i cittadini stranieri respinti dal tentare nuovamente l’attraversamento irregolare della frontiera italo-svizzera: misure che ledono i diritti delle persone coinvolte oltre a comportare uno spreco di risorse pubbliche».
Viene infatti normale chiedersi se, in presenza di necessità, non si possa procedere all’identificazione nel Nord Italia, evitando un viaggio di oltre mille chilometri. «Se già è difficile comprendere perché un migrante debba essere trasferito per l’identificazione a Taranto e non nelle questure di Milano e Como o nell’hub regionale di Bresso – specifica Dario Belluccio, avvocato di Asgi – ancora di più lo è accettare che questo venga fatto a persone già identificate».
Di conseguenza, una motivazione potrebbe essere la deterrenza verso i cosiddetti movimenti secondari: «Non voglio dire – continua Belluccio – che sia un meccanismo punitivo verso specifiche persone con determinati atteggiamenti, per esempio quello di provare ad attraversare la frontiera, perché non ho gli elementi per dirlo. La deterrenza, invece, mi sembra una ragione plausibile».
A spiegare il senso di questo sistema è stato il sottosegretario alla difesa Domenico Rossi che rispondendo ad un’interrogazione parlamentare dell’onorevole Cozzolino (Movimento Cinque Stelle), il 21 ottobre scorso, ha spiegato come i trasferimenti da Como e Ventimiglia siano disposti con una duplice finalità: “Prevenire turbative dell’ordine pubblico ed evitare che l’alta concentrazione di migranti potesse dare luogo ad emergenze igienico-sanitarie”.
“In concreto – continua il sottosegretario Rossi – alle prefettura di Imperia e Como è stato richiesto di organizzare i trasferimenti verso l’hotspot di Taranto a mezzo di autobus, affidando il servizio a società da selezionare tramite procedure ad evidenza pubblica. Allo stato, peraltro, Taranto risulta essere l’unico hotspot operativo sulla terra ferma, eventuali trasferimenti verso gli altri, tutti localizzati in Sicilia, comporterebbero un significativo aggravio dei costi”.
L’indagine esplorativa per l’affidamento del servizio da parte della Prefettura di Como risale al 15 luglio 2016. Ad aggiudicarsi il servizio è stata l’unica società ad aver presentato un’offerta, la Rampinini Ernesto srl. L’offerta, valida fino al 31 dicembre 2016, è di 2,18 euro al chilometro (iva esclusa) per trasporto da 30 a 50 persone oltre i 600 km complessivi. Considerando la distanza tra Como e Taranto, più di 1200 chilometri, significa attorno ai 5 mila euro a viaggio (per ogni pullman). Cifra analoga a quella versata dalla Prefettura di Imperia alla Riviera Trasporti spa che si è risultata la migliore tra le tre aziende che si sono presentate con un costo tra i 2 e i 2,25 euro al chilometro.
Stando alla relazione del sottosegretario Rossi, la spesa a carico dello stato al 21 ottobre ammontava a 770 mila euro. Una cifra che non tiene conto dei costi sostenuti per la scorta e il personale delle forze dell’ordine.
Restano però ombre su un sistema che trasferisce i migranti verso quel sistema hotspot fortemente criticato pochi giorni fa da Amnesty International.
Le persone che arrivano da nord – spiega Michele Matichecchia – “compiono lo stesso iter di chi arriva via mare: all’ingresso avviene l’identificazione, si legge loro i diritti grazie all’azione dei mediatori culturali. Compilano una scheda con le informazioni legali, chiedono loro se vogliono aderire alla richiesta di asilo e poi passano alla scientifica dove sono foto segnalati e identificati tramite impronte digitali».
Critico sui trasferimenti da nord è lo stesso sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, che ha segnalato la questione al ministero dell’Interno: «Noi siamo abituati a fare il nostro dovere, lo vogliamo e lo dobbiamo fare. Non mi lamento di questo, però le persone fanno mille chilometri e invece potrebbero magari farne solo 200».
Persone come T., 52 anni, operato di ernia, ora in attesa di relocation, che ha subito un trasferimento da Ventimiglia via bus, particolarmente doloroso per via dei suoi problemi di salute. «La polizia – racconta – mi ha preso alla stazione e trattenuto. Successivamente, mi hanno caricato in un bus insieme con altri 25 migranti e a 5-6 poliziotti. Non sapevo dove stavo andando, nessuno mi ha detto dov’eravamo diretti. Ho dormito perché non stavo bene. Arrivato a Taranto, mi hanno operato e poi sono stato accolto in struttura».
Abdu, invece, è arrivato in Italia il 29 settembre. Ha 42 anni e porta le stampelle. Accolto alla chiesa di Sant’Antonio a Ventimiglia, è stato fermato e portato su uno dei pullman dopo un controllo. Il viaggio è durato «giorno e notte. Ci siamo fermati diverse volte, la polizia è stata molto gentile, ci ha portato acqua e cibo».
È capitato addirittura – come denunciato da alcuni associazioni tarantine – che fosse trasferito un migrante da Milano già affidato ad una comunità di accoglienza.
«Succede – aggiunge Matichecchia. Può capitare, ci vuole però un controllo maggiore a Milano, dalla zona in cui arriva».
Alle persone già identificate non è però permesso restare nel campo e vengono così letteralmente messi alla porta. “Nella maggior parte dei casi i migranti portati qui da nord ripartono subito”, ci racconta Francesco Ferri, attivista della Campagna Welcome Taranto. “Lasciano il centro e vanno a piedi alla stazione dove salgono sul primo treno”; dove per alcuni di loro il circolo ricomincia.
Un andare e venire per la penisola con il rischio di essere risucchiati dentro il caporalato e il lavoro nero: «Molti migranti a Taranto finiscono nelle mani di gente che non si fa scrupoli se ti deve mettere davanti ai supermercati a chiedere l’elemosina o in campagna – spiega Maristella Bagiolini, direttrice di TvMed, emittente cittadina – dove il fenomeno è ancora molto forte. C’è sempre bisogno di manodopera: c’è un pulmino che accompagna i ragazzi a fare l’elemosina, ed è lo stesso che porta le persone a prostituirsi. La gestione del fenomeno migratorio ha tante facce. E in questo giro dell’oca dei trasferimenti, molti ne perdiamo».
Merita un’annotazione il contesto ambientale in cui si trova l’hotspot, collocato fra Ilva, Cementir e raffineria dell’Eni. La tempesta perfetta per quanto riguarda l’inquinamento. Condizioni denunciate in due comunicazioni da parte della Cgil di Taranto e del suo sindacato di polizia: «In risposta – spiega Giuseppe Massafra, segretario della Camera del lavoro cittadina – ai poliziotti sono stati dati in dotazione occhiali e mascherine per le polveri».
Il luogo, come specificato bene in una nota dal sindacato di polizia Silp, «non pare certo brillare d’igiene e salubrità a causa della concentrazione di emissioni di vario genere dalle alte ciminiere dei siti industriali circostanti. Ciò è dimostrato dal fatto che le coperture delle tende, che originariamente erano bianche, hanno assunto in breve tempo una colorazione rossastra».
“Effettivamente il ministero poteva trovare un altro sito -, ha ammesso il sindaco Stefàno – anche se questa collocazione offre dei vantaggi data la vicinanza al porto e la possibilità di garantire un facile controllo. Purtroppo l’inquinamento è un problema generale che non riguarda solo l’hotspot ma tutti i cittadini di Taranto, a partire dagli abitanti del quartiere Tamburi che si trova a cento metri dall’Ilva».
Per realizzare questo reportage i giornalisti Andrea Quadroni e Michele Luppi hanno inoltrato regolare richiesta per accedere all’hotspot alla Prefettura di Taranto. Il ministero dell’Interno “non ha inteso autorizzare l’accesso”.
[Foto copertina: Mauro Oricchio]