In tempi di crisi economica, le imprese guidate da immigrati resistono e continuano a crescere: a fine 2015 erano più di 550mila nel nostro paese, il 9,1% del totale, con 96 miliardi di euro di valore aggiunto prodotti, il 6,7% della ricchezza complessiva. Come sottolinea il Rapporto immigrazione e imprenditoria 2016, elaborato dal Centro studi Idos con Cna e MoneyGram, i lavoratori migranti hanno grande capacità di adattamento “alle trasformazioni che attraversano l’economia e il mondo del lavoro non solo in termini restrittivi, di ‘rifugio’ dal persistente ristagno dell’occupazione dipendente, ma anche di riorganizzazione efficace e costruttiva”.
I numeri dell’imprenditoria straniera
Secondo un’indagine Eurostat, a fine 2015 nei paesi membri si contavano quasi 2,1 milioni di lavoratori autonomi stranieri – il 6,3% del totale – cresciuti del 52,6% rispetto a dieci anni prima. Se nell’Ue sono prevalenti gli stranieri comunitari (52,7%) e i 25-49enni (71,9%), in Italia la situazione è leggermente diversa. Nel nostro paese sono i non comunitari a essere in maggioranza (69,9%), e la fascia più giovane è ancora più larga (80,2%).
Rispetto agli altri paesi, però, è più bassa la percentuale di stranieri che hanno altri lavoratori alle loro dipendenze: da noi sono il 15,8%, contro una media del 25,7%. Una stima che conferma una tendenza italiana, quella del protagonismo delle ditte individuali: tra gli stranieri sono 8 casi su 10, il 79,9%, contro il 50,9% delle imprese di nati in Italia.
Idos rileva come l’iniziativa degli immigrati si concentri in aree “caratterizzate da un migliore andamento economico-produttivo e da una rete imprenditoriale più diffusa e strutturata”. Operano al Centro-Nord 8 imprese straniere ogni 10 (il 77,3% contro il 66,0% delle autoctone), quasi un terzo solo in Lombardia (19,1%) e nel Lazio (12,8%). Subito dopo ci sono Toscana (9,5%) – che ha anche la più elevata incidenza sul totale (12,6%) – Emilia Romagna (8,9%), Veneto (8,4%), Piemonte (7,4%) e Campania (6,8%), che è la prima regione meridionale.
Cosa fanno gli imprenditori stranieri in Italia
Il principale ambito di attività è il commercio: vi lavora oltre un terzo delle aziende di immigrati, circa 200mila, il 36,4%, contro il 24,5% di quelle autoctone. Il settore, tra l’altro, continua a crescere, con un aumento del 28,2% dal 2011 e del 6,6% nell’ultimo anno. Al secondo posto c’è l’edilizia, in cui sono impegnate 129mila imprese straniere (il 23,4%); mentre oltre 43mila aziende di immigrati lavorano nel settore manifatturiero (7,9%). All’interno di questi due comparti si concentrano tre quarti delle aziende straniere artigiane registrate alla fine del 2015 (76,0%), 180mila in tutto, un terzo di tutte le attività gestite da nati all’estero (32,7%). Per Idos, davanti alle forti difficoltà del mondo artigiano, “si evidenzia tutta la rilevanza del contributo dell’imprenditorialità immigrata”, che “appare determinante per l’andamento del settore”.
Secondo i dati di Unioncamere, una forte presenza straniera si ritrova tra imbianchini, carpentieri, nel trasporto merci, nella confezione di abbigliamento e, recentemente, anche nella sartoria, nel giardinaggio, nelle pulizie, nella ristorazione take away o nella panetteria. Sono in crescita anche le attività ricettive (7,5% del totale), seguite da “noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese” (5,3%). Le aziende immigrate, invece, continuano ad avere un ruolo marginale nell’agricoltura: sono meno di 15mila, appena l’1,9% di quelle operanti nel ramo. Il rapporto Idos rileva anche come siano ancora relativamente poche le esperienze con “vocazione innovativa e ad alto valore tecnologico”.
Ad ogni modo, ci sono alcuni gruppi nazionali maggiormente protagonisti nell’imprenditoria: marocchini (14,9%), cinesi (11,1%) romeni (10,8%), albanesi (7,0%), bangladesi (6,5%) e senegalesi (4,4%). Ognuno di questi si concentra in alcuni settori specifici. I marocchini, ad esempio, nel commercio (73,3%), così come i provenienti da Bangladesh (66,8%) e Senegal (89,2%). Nell’edilizia sono maggiormente impegnati romeni (64,4%) e albanesi (74%); mentre i cinesi si dedicano a commercio (39,9%), manifattura (34,9%) e attività di alloggio e ristorazione (12,9%). In generale, sono cinesi la metà di tutti gli immigrati responsabili di ditte individuali manifatturiere (49,3%) e un quarto di quelli dediti al comparto ristorativo-alberghiero (25%), mentre quasi la metà di quelli attivi in edilizia sono romeni (27,1%) o albanesi (20,1%) e quasi 3 su 5 di coloro che operano nel commercio sono marocchini (26,7%), cinesi (10,9%), bangladesi (10,7%) o senegalesi (9,5%).
Un settore in crescita
Tra il 2011 e il 2015 il numero delle imprese registrate in Italia ha subito un calo complessivo dello 0,9%. La perdita è stata temperata dall’iniziativa straniera: in questo lasso di tempo, infatti, le attività guidate da immigrati sono cresciute di 97mila unità, il 21%, mentre le aziende condotte da italiani sono calate del 2,6% (-149mila), fatta eccezione per il +10,1% delle società di capitale. Secondo Idos, le aziende immigrate continuano a “rappresentare un volano per l’imprenditoria” e “un fattore in controtendenza e in grado di favorire percorsi di stabilizzazione”. Tra l’altro, l’espansione dell’imprenditorialità straniera “continua a realizzarsi nonostante gli ostacoli più numerosi e complessi che i lavoratori immigrati devono affrontare soprattutto in termini di accesso alle informazioni necessarie e di capacità di far fronte ai requisiti economici e amministrativi previsti dalle procedure”.
Alla luce di questi dati, il rapporto rileva come quello dell’iniziativa imprenditoriale straniera in Italia sia “un contributo cui prestare crescente attenzione”, e non solo “in termini di risposta alle esigenze contingenti di certi settori, ma anche – e soprattutto – in termini di supporto al rilancio dell’intero Sistema Paese”.