La nascita della Fortezza Europa e dei campi di detenzione per stranieri
Per parlare di detenzione di migranti e richiedenti asilo in Italia ed in tutto il continente europeo non si può che iniziare con la presa d’atto dei numeri: l’Europa, punto di riferimento per il rispetto e la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, detiene ogni anno circa 600.000 stranieri — tra cui numerosi minori (circa 40.000) — sulla base di una semplice decisione amministrativa, senza che questi abbiano commesso nessun reato. Si noti bene: trattasi di stime perché in realtà una quantificazione precisa non è possibile, data la grave difficoltà di accesso ai relative dati (denunciata da Access Info & Global Detention Project).
Per dipingere lo stato dell’arte della detenzione amministrativa di migranti e richiedenti asilo in Europa è però necessario fare un salto indietro nel tempo di quasi trent’anni. E’ infatti negli anni ottanta e novanta, con la firma dell’Accordo di Schengen (1985) e l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht (1993) — e la conseguente affermazione del diritto dei cittadini di paesi UE a muoversi liberamente all’interno dello spazio comunitario — che l‘Unione Europea ha iniziato progressivamente ad assumere quell’aspetto per cui oggi viene definita “Fortress Europe”. L’apertura delle frontiere all’interno dell’area di libera circolazione per i cittadini UE ha corrisposto infatti alla chiusura e alla fortificazione delle frontiere esterne per i cittadini dei paesi non-UE. Questo processo di rafforzamento dei confini esterni— nato dalla convinzione che l’abolizione dei controlli alle frontiere interne, se non propriamente governata, avrebbe costituito una minaccia per l’ordine pubblico dei paesi appartenenti all’area Schengen — ha finito per legittimare il ricorso sistematico da parte degli Stati membri alle restrizioni della libertà personale nei confronti dei cittadini di paesi non-UE.
Se per un cittadino tedesco, austriaco o italiano risulterebbe impensabile essere deprivato della propria libertà senza aver commesso nessun reato o per un semplice illecito amministrativo, per i cittadini di paesi non-UE soggiornanti all’interno dello spazio Schengen (o anche di Stati non membri che però applicano il Regolamento Dublino III , come la Svizzera) ciò è la norma. In moltissimi paesi europei i migranti possono infatti essere costretti in strutture chiuse in attesa che la loro richiesta di asilo venga esaminata, o in attesa di essere rimpatriati forzatamente nei paesi di origine o di essere trasferiti in un altro paese UE, in base al regolamento Dublino III. Ma gli stranieri non vengono ristretti solo nei centri di detenzione, ma anche nelle zone di transito dei valichi di frontiera aeroportuali, luoghi particolarmente sensibili dove si verificano gravi violazioni della normativa internazionale e dei diritti fondamentali della persona. Tra cui la violazione del principio di non-refoulement che – sulla base dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 e il relativo Protocollo del 1967 nonché dell’art. 3 della Convenzione contro la tortura del 1984 –obbliga gli Stati a non respingere i migranti in Stati nei quali la loro vita o libertà sarebbe in pericolo.
La messa a sistema dell’eccezione: non c’è paese che si distingua
Per quei pochi che riescono a raggiungere l’Europa inizia un percorso ad ostacoli per sfuggire alle pastoie burocratiche e alle innumerevoli trappole della normativa comunitaria e degli ordinamenti nazionali.
Perché se è vero e ormai noto — ma non per questo meno controverso — che in tutti i paesi dell’UE i destinatari di un provvedimento di espulsione possono essere detenuti in attesa di essere rimpatriati forzatamente, questa non è l’unica condizione a portare alla privazione della libertà personale. Nella maggior parte dei paesi europei si può finire in un centro di detenzione anche per essere entrati o aver soggiornato irregolarmente sul territorio (in Germania e Svezia, tra le altre) per non aver rispettato il termine per la partenza volontaria precedentemente concesso o le misure non custodiali (Ungheria), per verifiche sull’identità e la nazionalità (Regno Unito), e per prevenire l’ingresso irregolare o l’allontanamento (tra queste, la Svezia e l’Ungheria). Inoltre, sono molti i paesi ad aver introdotto nei propri ordinamenti la criminalizzazione dell’ingresso, del re-ingresso e del soggiorno irregolare — tra questi il Regno Unito, la Romania, l’Olanda, e l’Irlanda — per cui sono previste multe, ma anche il carcere vero e proprio. Così come non solo alcuni Stati appartenenti all’UE, ma anche la Svizzera, trattengono i richiedenti asilo in attesa di essere trasferiti in un altro paese UE individuato come competente ad esaminare la domanda d’asilo in attuazione del regolamento Dublino III.
UE, 2016: un doppio livello di legalità e un doppio sistema di protezione delle libertà personali
Negli ultimi anni in Europa la detenzione amministrativa di migranti e richiedenti asilo è stata insomma istituzionalizzata, diventando un anello chiave nella gestione dei flussi migratori. Ed è così che non solo nel Regno Unito ma anche, per citare solo alcuni paesi, in Olanda, in Germania, e in Francia non è inusuale che i bambini e i minori non accompagnati vengano trattenuti fino a 18 mesi — in chiara violazione dei principi dell’unità familiare e del supremo interesse del minore (come fondamentalmente definiti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia) e in condizioni che molto spesso le associazioni denunciano come al limite del rispetto della dignità umana.
I centri di detenzione per migranti sembrano invertire il rapporto tra libertà e sicurezza che è alla base del moderno regime dei diritti umani, con la diretta conseguenza della creazione di un doppio livello di legalità e di un doppio sistema di protezione delle libertà personali. Se, infatti, nel caso dei cittadini dell’UE la centralità del rispetto dei diritti individuali continua a modellare le restrizioni alla libertà personale come strumento da utilizzare solo in casi eccezionali di grave minaccia per l’ordine e la sicurezza, in quello dei migranti la necessità degli Stati di controllare le frontiere per prevenire intrusioni indesiderate tende a prevalere sulla tutela delle libertà individuali.
Insomma noi i diritti ce li teniamo stretti, per gli altri ci si arrangia come si può, anche quando rischiano la vita e la libertà personale.