La conquista di Kabul da parte dell’esercito dei Talebani e la fuga del presidente Ghani negli Emirati Arabi Uniti ha sancito la sconfitta degli Stati Uniti e degli alleati occidentali in una guerra che è durata 20 anni in Afghanistan.
Uno dei più grandi quesiti è come l’Unione europea e i suoi Stati membri cercheranno di relazionarsi col nuovo governo e con possibili nuovi arrivi di rifugiati in fuga dal Paese.
L’Alto Rappresentante della politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, dopo la riunione straordinaria con i ministri degli esteri dell’Ue ha dichiarato “È stata una catastrofe per l’Afghanistan e per l’Occidente. Dobbiamo metterci in contatto con le autorità di Kabul per far partire in sicurezza le circa 400 persone che hanno lavorato con l’Ue. I talebani hanno vinto la guerra”. In una nota i ministri europei hanno poi specificato i limiti entro i quali il dialogo futuro dovrà avvenire: “La cooperazione con qualsiasi futuro governo afghano sarà subordinata a una soluzione pacifica e inclusiva e al rispetto dei diritti fondamentali di tutti gli afghani, comprese le donne”. Un’altra precondizione è “Prevenire l’uso del territorio afghano da parte di organizzazioni terroristiche” ha aggiunto Borrell.
“Nell’attuale situazione molto preoccupante, l’azione umanitaria dovrebbe essere la massima priorità dell’UE” ha affermato David McAllister, presidente della commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo. La violenza, la siccità e il COVID-19 hanno fatto sì che 18 milioni di persone, quasi la metà della popolazione afgana, necessitino di assistenza umanitaria. “È essenziale che la comunità internazionale continui a sostenere la popolazione afghana e che i leader talebani assicurino che gli attori locali e internazionali possano continuare a svolgere le loro attività in sicurezza”, ha affermato Tomas Tobé, il presidente della Commissione per lo sviluppo dell’eurocamera.
È chiaro quanto le prime dichiarazioni di Borrell non siano sufficienti di fronte agli attuali numeri della situazione nel Paese. Secondo l’Unhcr, l’Agenzia Onu per i rifugiati, dall’inizio dell’anno sono circa 550 mila gli sfollati interni nel paese, oltre ai 2,9 milioni già sfollati alla fine del 2020. L’80% delle persone costrette a fuggire sono donne e bambini.
Sono stati forniti più di 250 milioni di euro di assistenza per sostenere le comunità ospitanti e il reinserimento sostenibile dei rimpatriati e degli sfollati interni. “Continueremo i nostri programmi in corso e intensificheremo la nostra cooperazione in Pakistan, Iran e Tagikistan, così come in altri paesi come la Turchia” ha detto la Commissaria per gli affari interni dell’Unione europea Ylva Johansson.
Per quanto riguarda la gestione di possibili nuovi arrivi di rifugiati verso l’Europa, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha ricordato a tutti i paesi “l’obbligo di proteggere i civili” e ad “astenersi da qualsiasi rimpatrio verso l’Afghanistan”.
Tra gli Stati membri dell’Unione europea non è ancora stata definita una linea comune rispetto alla possibile accoglienza dei profughi afgani, anzi. Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Grecia e Olanda a inizio agosto – in pieno periodo di avanzata militare talebana verso la conquista di Kabul – avevano chiesto alla Commissione europea di non sospendere i rimpatri. Tra questi, solo Danimarca, Germania e Olanda hanno ufficialmente fatto marcia indietro. Il presidente francese Emmanuel Macron ha avvertito che i paesi europei dovrebbero “proteggersi da un ingente flusso migratorio irregolare che metterebbe a rischio la vita di quelli che ne faranno parte e alimenterebbe traffici di ogni tipo”; mentre l’Austria sembra il Paese più intransigente con le dichiarazioni reiterate del Premier Kurz in chiave securitaria “Gli eventi in Afghanistan sono drammatici, ma non dobbiamo ripetere gli errori del 2015. La gente che esce dal Paese deve essere aiutata dagli Stati vicini. L’Ue deve proteggere le frontiere esterne e combattere la migrazione illegale ed i trafficanti di esseri umani”.
Ylva Johansson ha risposto indirettamente agli Stati membri che ancora non hanno cambiato idea dicendo che “Per come stanno le cose, la situazione in Afghanistan chiaramente non è sicura e non lo sarà per un po’ di tempo. Non possiamo costringere le persone a tornare nel Paese”.
Secondo le stime di Eurostat, dal 2008 a oggi gli Stati europei hanno valutato 600 mila richieste d’asilo da parte di afghani rifiutandone 290 mila. Il totale dei rimpatri è stato invece di oltre 70 mila persone, tra cui 15-20 mila donne. L’Italia è uno dei Paesi che ne ha rimpatriati di meno (215 persone), contro i 15755 del Regno unito e i 9970 della Svezia, i due Paesi europei che ne hanno rimpatriati di più.
Alcuni esperti hanno auspicato che gli Stati europei garantiscano diritto di asilo almeno a chi è già in Europa. Matteo Villa, ricercatore per il programma migrazioni dell’ISPI, sostiene che “Regolarizzare i richiedenti asilo afgani sarebbe il modo migliore per mostrare che i governi europei riconoscono che nell’Afghanistan dei talebani non si può tornare. E per dare un segnale a Kabul: dialoghiamo, certo, ma senza sconti”.
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha detto che l’Ue “deve offrire alternative a coloro che non possono tornare indietro o stare a casa. Bisogna offrire rotte legali e sicure a coloro che hanno bisogno della nostra protezione”. Protezione umanitaria che sarebbe possibile applicando una direttiva europea del 2001 che prevede la possibilità di protezione temporanea fino ad un massimo di 2 anni senza precludere il diritto di fare richiesta di asilo. A seguito della crisi dei profughi kosovari del 99 le istituzioni europee si sono date questo strumento, che per essere attivato ha bisogno però della maggioranza qualificata in sede di Consiglio dell’Unione europea (serve il voto favorevole del 55% degli Stati membri, che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Ue).
Sara Prestianni, Responsabile del Programma Asilo e Migrazione per la Ong Euromed Rights, avverte invece dei rischi della continuazione delle politiche securitarie e di esternalizzazione delle frontiere anche nel contesto della crisi afghana: “Bisogna evitare che la situazione resti così, serve un coordinamento europeo e internazionale e avere volontà politica di offrire corridori umanitari per proteggere chi in Afghanistan rischia la vita.”
Nel frattempo, però, il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha annunciato la fine dei lavori di costruzione di un muro di 40 chilometri lungo il confine con la Turchia. In un recente colloquio con Mitsotakis, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva sostenuto la necessità che i Paesi europei condividessero con il Medio Oriente la gestione dei nuovi flussi migratori provenienti dall’Afghanistan e che la Turchia “non diventerà ‘un’unità di stoccaggio’ per i possibili migranti in arrivo”. Queste dichiarazioni, però, sembrano più un avvertimento agli stati europei, una sorta di riedizione di quella “logica del ricatto” imposta dalla stessa Turchia all’Ue durante la crisi della gestione migratoria siriana nel 2015.
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