Continua l’emergenza umanitaria nel mar Mediterraneo: neanche l’inverno ferma i barconi in partenza dalla Libia che, fatiscenti, troppo carichi di persone, affondano a poche miglia dalle coste africane. La risposta del Governo italiano sembra andare nella direzione non di una maggiore apertura ma di un ritorno al passato. Di recente il ministro dell’Interno, Marco Minniti, ha annunciato di voler ampliare il sistema dei Cie, i centri di detenzione amministrativa per i migranti irregolari; luoghi di privazione non solo della libertà, ma anche della dignità e dei diritti fondamentali, come denunciato da organizzazioni internazionali e dallo stesso Senato.
Eppure esiste più di un modo per gestire con umanità il fenomeno migratorio: si è già parlato dei corridoi umanitari e dei reinsediamenti, che offrono un accesso legale e sicuro per i richiedenti asilo; quanto all’immigrazione irregolare, l’alternativa alla detenzione è contenuta nella stessa normativa che costituisce il fondamento giuridico dei Cie.
La direttiva rimpatri e il suo recepimento in Italia
Le norme sul “trattenimento ai fini dell’allontanamento” dei migranti irregolari sono nella direttiva 2008/115, contenente “norme e procedure comuni per il rimpatrio”. Già nelle premesse, la direttiva Ue stabilisce che le operazioni di rimpatrio devono avvenire “in maniera umana e nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e della dignità umana” e che il rimpatrio deve essere deciso “caso per caso, non limitandosi a prendere in considerazione il semplice fatto del soggiorno irregolare”. Non trova nemmeno menzione, quindi, l’ipotesi di usare la detenzione amministrativa come strumento indiscriminato di sicurezza sociale, come invece traspare dalle intenzioni del Governo. Al contrario, è la stessa sequenza di articoli (art. 7 partenza volontaria; art. 8 allontanamento; art. 15 trattenimento) a suggerire che la detenzione finalizzata all’allontanamento, e quindi svincolata da alcuna condotta criminale, debba essere usata come extrema ratio.
Infine, “si dovrebbe preferire il rimpatrio volontario” a quello forzato e “concedere un termine per la partenza volontaria” compreso tra 7 e 30 giorni, che è escluso se sussiste il rischio di fuga o l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza.
In Italia queste norme vengono trasfigurate: come spiega il professor Luca Masera, avvocato e consigliere Asgi, qui la partenza volontaria è un’opzione poco praticata. Il pericolo di fuga, infatti, viene ravvisato ogniqualvolta l’interessato non sia in possesso di documenti di identificazione.
Inoltre, secondo il TU sull’immigrazione (D.Lgs 286/98) il termine per la partenza volontaria è accordato solo su richiesta dell’interessato, e non in maniera automatica e la deroga al divieto di reingresso in Italia nei 5 anni successivi al rimpatrio, prevista dalla direttiva come incentivo alla partenza volontaria, non opera automaticamente: dev’essere il migrante, dopo il rimpatrio e dal Paese in cui risiede, a dimostrare di essere partito volontariamente, e quindi di poter rientrare in Italia.
In caso di partenza volontaria, si hanno 30 giorni per lasciare l’Italia. Ma tornare a casa non è facile: alla sensazione di aver fallito il progetto migratorio e di dover tornare a quel Paese, a quella vita, da cui si è tentato di fuggire, si aggiungono difficoltà economiche e burocratiche, legate alle incomprensioni linguistiche o all’assenza di documenti. Da qui l’importanza di valorizzare quei programmi che assistano il migrante nel ritorno in patria.
I ritorni volontari assistiti
I programmi di rimpatrio volontario assistito (Rva) e reintegrazione consentono al migrante che voglia o debba fare ritorno nel suo Paese di ricevere assistenza in tutte le fasi pre-partenza e anche all’arrivo. Il migrante viene aiutato nella verifica dei documenti, nell’acquisto del biglietto aereo, e riceve una modesta somma da impiegare all’arrivo per le prime necessità.
Il fondamento normativo dei Rva è appunto la direttiva rimpatri, insieme agli artt. 14 bis e 14 ter del TU Immigrazione e al decreto del ministero dell’Interno del 27 ottobre 2011, contenente le Linee guida per l’attuazione dei programmi di Rva.
In base ad decreto ministeriale, il Rva si rivolge a diverse categorie di migranti:
- soggetti vulnerabili;
- vittime di tratta richiedenti o titolari di protezione internazionale o umanitaria;
- cittadini stranieri che non soddisfano più le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno (che, quindi, si apprestano a diventare irregolari);
- cittadini stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento e trattenuti nei Cie;
- cittadini stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione a cui sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria.
Come si vede, si parla anche di quegli irregolari cui si riferiscono le norme sui Cie. Un successivo regolamento Ue, però (n. 516/2014) riduce i destinatari delle misure di rimpatrio a sole 3 categorie. L’articolo 11 – Misure di accompagnamento delle procedure di rimpatrio – parla infatti di:
a) cittadini di paesi terzi che non hanno ancora ricevuto una risposta negativa definitiva alla loro domanda di soggiorno o di soggiorno di lungo periodo e/o di protezione internazionale riconosciuta loro in uno Stato membro, e possono scegliere di avvalersi del rimpatrio volontario;
b) cittadini di paesi terzi che godono del diritto di soggiorno, di soggiorno di lungo periodo e/o di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/UE o di protezione temporanea ai sensi della direttiva 2001/55/CE in uno Stato membro e che scelgono di avvalersi del rimpatrio volontario;
c) cittadini di paesi terzi che sono presenti in uno Stato membro e non soddisfano o non soddisfano più le condizioni di ingresso e/o soggiorno in uno Stato membro, compresi i cittadini di paesi terzi il cui allontanamento è stato differito conformemente all’articolo 9 e all’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE.
Come funziona il Rva? In sintesi, le fasi sono:
- Richiesta del migrante
- Servizio di counselling individuale: viene tracciato il profilo del migrante, verificando la sua storia, le motivazioni al ritorno, il possesso dei documenti necessari e l’assenza di impedimenti al rimpatrio
- Assistenza al rilascio dei documenti presso il consolato del Paese di provenienza
- Acquisto del biglietto aereo e assistenza aeroportuale
- Alla partenza, consegna al migrante di 400 euro per le spese vive
- All’arrivo, eventuale supporto alla reintegrazione, ad esempio per avviare forme di microimprenditorialità
La decisione se ammettere il migrante al programma di Rva è assunta all’esito di un complesso scambio tra prefettura e questura per cui la prefettura riceve la richiesta dal soggetto titolare del programma; la questura verifica che non esistano motivi di esclusione, come carichi penali; in caso di esito favorevole, la prefettura ammette l’interessato al programma di Rva. Il soggetto incaricato del programma comunica l’avvenuto rimpatrio alla prefettura. Se lo straniero è irregolare, la questura comunicherà l’avvenuto rimpatrio all’autorità giudiziaria. In ogni caso, la presentazione della domanda di Rva alla prefettura non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento di respingimento o espulsione.
Un esempio concreto: Back to the future
Tra i progetti di Rva attivati nel 2016 grazie ai fondi Fami c’è quello del Gruppo Umana Solidarietà, Back to the future. Il programma si rivolge a migranti dotati del permesso di soggiorno; richiedenti asilo o protezione internazionale, in attesa di risposta (sono esclusi i denegati in ultima istanza; sono ammessi i denegati in primo e secondo grado, purché abbiano promosso ricorso); persone che non soddisfano più le condizioni di soggiorno purché non abbiano ricevuto il provvedimento di espulsione; persone anche non richiedenti asilo, presenti sul territorio italiano, purché non destinatarie di espulsione.
L’esclusione dei migranti destinatari di un provvedimento di allontanamento/espulsione e di chi sia detenuto nei Cie, dipende dalla formulazione del bando per i fondi Fami 2016: il testo riproduce parola per parola il regolamento Ue n. 516/2014, sopra citato.
“Questo è un problema – commenta Salvatore Ippolito, che collabora a Back to the future. – Al di là del dato normativo, gli irregolari hanno davvero bisogno di assistenza al rimpatrio”. Così la pensa anche l’Oim: le persone in posizione di irregolarità sono le più svantaggiate non solo per l’impossibilità di accedere ai servizi di base, ma anche per il rientro, a causa dell’assenza di documenti e dei conseguenti ostacoli burocratici.
Dal momento in cui il migrante chiede di essere ammesso al programma, il rimpatrio può concludersi in poche settimane o durare dei mesi. Gus verifica se il migrante possiede i documenti necessari, in primo luogo il passaporto: in caso positivo, il procedimento si risolve in breve tempo. Se invece i documenti mancano, Gus contatta i consolati del luogo di destinazione per il rilascio dei documenti: l’allungamento della procedura è inevitabile, e dipende anche dal grado di collaborazione dei consolati stessi. Occorre poi ottenere il nulla osta al ritorno da parte della prefettura e della questura.
Si passa poi all’elaborazione del piano individuale di reintegrazione (Pir), che può ad esempio prevedere l’apertura di una piccola impresa, di un negozio, in base alle attitudini del soggetto da rimpatriare e in accordo col tutor locale, che studia le condizioni all’arrivo.
Una volta acquistato il biglietto e accompagnato il migrante in aeroporto, Gus gli consegna 400 euro, per le spese vive all’arrivo. Al tutor, invece, vengono mandati 2000 euro da impiegare per l’attuazione del Pir. I fondi Fami concessi a Back to the future ammontano a 800mila euro, da impiegare in 200 progetti entro marzo 2018: in media, la spesa per un programma di rimpatrio volontario assistito (Rva) e reintegrazione è di 4000 euro.
Non mancano le criticità: per usare le parole di Ippolito, “il ministero crea questi programmi e poi non ne assume la paternità”. Da un lato, infatti, i contatti con consolati e tutor locali sono totalmente delegati ai soggetti titolari dei progetti di rimpatrio. Dall’altro, come conferma Giovanni Lattanzi, dirigente Gus, mancano le campagne di comunicazione intorno a questi programmi. Tocca alle organizzazioni fare “pubblicità” ai programmi nei Cara, e pochissime persone sanno dell’esistenza del Rva. “Non si tratta di voler cacciare nessuno, ma anche il nostro è stato un popolo di emigranti con l’Italia nel cuore. E’ normale che alcuni vogliano tornare, e l’assenza di adeguata comunicazione nelle prefetture e nei centri di accoglienza è certamente un problema”.
Una storia: dalla miseria in Costa d’Avorio al sorriso di Fofana
“Quando l’ho conosciuto, era in cura da un medico per la depressione” così Salvatore descrive Fofana, un ragazzo ivoriano rimpatriato con Back to the future. Fofana è emigrato per sfuggire alla povertà in cui era caduto dopo la morte di sua madre. Fallito il progetto di un’attività a Daloa, Fofana si è messo in viaggio per l’Europa; è passato dalla Libia e a giugno è arrivato in Italia. Mentre era ospite di una struttura nel Lazio, l’ha raggiunto la notizia della morte delle cinque sorelle.
“Se potessi tornare a piedi nel mio paese partirei domani mattina”, ha detto al secondo colloquio con gli operatori di Back to the Future. “Ricordo ancora il momento in cui gli abbiamo proposto di aiutarlo ad aprire un negozio di cosmetici. E’ stata la prima volta che l’ho visto sorridere”. Fofana è partito il 27 dicembre, non a piedi o su un barcone, ma con un volo di linea che l’ha riportato a casa. Qui è iniziato il suo progetto di reintegrazione, con l’assistenza di un sacerdote cattolico in veste di tutor.
L’importanza delle migrazioni di ritorno. Il progetto Ritorno in Senegal
Ulteriore esempio di approccio circolare alla migrazione è il progetto Ritorno in Senegal, frutto del lavoro delle associazioni Roma-Dakar e Progetto Diritti. Come spiega l’avvocato Luca Santini, vicepresidente di Roma-Dakar, Ritorno in Senegal è un gruppo di studio su un tipo di migrazione che non nasce come definitiva. In particolare quella dal Senegal viene spesso concepita come uno spostamento temporaneo, per acquisire competenze o lavoro, con l’intenzione di tornare nel proprio paese d’origine.
Secondo Santini, il legislatore italiano disciplina con puntualità la migrazione in arrivo ma tralascia l’emigrazione, salvo che non riguardi gli italiani diretti all’estero. Per un migrante senegalese, che vede nel ritorno il coronamento e non il fallimento del suo progetto migratorio, questo può creare una serie di problemi. A differenza di chi accede al Rva, per cui il rimpatrio è definitivo, questo tipo di migrazioni può essere circolare. Ma, in base alle norme italiane, il titolare di un permesso di soggiorno che abbandona il territorio italiano per un anno perde il titolo per rientrare; un altro problema è l’impossibilità di cumulare i contributi previdenziali maturati in Italia con quelli realizzati in patria, con la conseguenza che un migrante di questo tipo vede allontanarsi irrimediabilmente la pensione.
L’associazione Roma-Dakar formula proposte di tipo politico e culturale per sensibilizzare su questi temi. Alcune delle proposte elaborate dall’associazione sono confluite nello Statuto del migrante di ritorno: tra queste c’è la possibilità che il permesso di soggiorno venga sospeso per 3 anni da quando si lascia l’Italia, in modo da dare al migrante di ritorno il modo di valutare se il rimpatrio è definitivo, e quella di istituire presso i centri di impiego uno sportello, dove dichiarare l’intenzione di ritorno e assumere informazioni e contatti utili allo scopo.
FOTO DI COPERTINA: IOM/Muse Mohammed 2015 (CC BY-NC-ND 2.0).