Guardando i dati della dashboard di Open Migration, un dato balza agli occhi: l’aumento progressivo di domande di protezione internazionale da parte di persone di nazionalità ucraina. I dati sui “richiedenti asilo” di nazionalità Ucraina, che complessivamente a livello Europeo ammontano a 19.805 persone (2015), mostrano l’elemento insolito per cui l’Italia è il secondo paese Ue dopo la Germania per numero di richiedenti asilo ucraini (4.555 vs 4.655). Ancor più significativo per quanto riguarda l’Italia è il dato relativo alle donne, poiché le ucraine (2.325) sono il secondo gruppo di richiedenti asilo dopo le nigeriane (3.915).
Per questo, in molti iniziano a chiedersi: le badanti ucraine in Italia si stanno “convertendo” in rifugiate?
Più che offrire una risposta, cerchiamo brevemente di complicare un po’ il quadro, e fornire al contempo qualche informazione in più sugli scenari che possono spiegare questi dati.
1. Qual è la ragione delle richieste d’asilo?
Lo scenario di sfondo è ovviamente quello della crisi politica che a partire dal 2014 ha investito l’Ucraina, dapprima con le proteste in piazza Maidan a Kiev, poi con la separazione della Crimea e la sua annessione alla Federazione Russa e, infine, con il conflitto armato nel Donbass. Di conseguenza, dal marzo 2014 si registra un esodo della popolazione da quella parte del paese verso le zone più occidentali, e verso l’estero. Fra luglio 2014 e agosto 2015, il numero di spostamenti è cresciuto enormemente.
Al primo posto troviamo i trasferimenti interni (quasi 1,5 milioni di persone) seguiti da un alto numero di sfollati in Russia e Bielorussia (rispettivamente 911,549 and 126,407), destinazioni per le quali non è necessario il rilascio di visti. In confronto, il numero di coloro che sono ospitati in paesi Ue è estremamente limitato: Polonia, Romania e Ungheria, i paesi Ue di maggiore destinazione, accolgono solo il 7% sul totale delle persone sfollate dall’Ucraina a causa del conflitto.
2. Che possibilità ci sono che ottengano la protezione?
In realtà le possibilità di ottenere la protezione internazionale per persone di nazionalità ucraina in Italia, e in generale nell’Ue, è decisamente bassa. L’Ucraina è tutt’ora considerata paese “sicuro” e quindi la protezione potrebbe essere concessa solo nei casi di dimostrato pericolo a livello personale. Inoltre, dal punto di vista delle politiche dell’asilo, il fatto che il conflitto abbia finora investito solo una parte del paese, non giustifica il fatto che si cerchi protezione all’estero quando ci si può più semplicemente spostare verso zone sicure all’interno dello stesso paese (è la cosiddetta “internal flight alternative”). Al contempo, i “dialoghi” iniziati nel 2008 fra Ue e Ucraina per la semplificazione nel rilascio di visti fra i due paesi, sono congelati.
3. Perché vengono in Italia?
Sebbene l’Italia non sia la prima destinazione in Europa, abbiamo visto come il numero di richiedenti sia significativamente alto (4.555 domande nel 2015). L’assenza di semplificazioni normative nel rilascio di visti, oppure di prospettive particolarmente vantaggiose per chi ottiene la protezione, fanno pensare la motivazione principale per scegliere l’Italia sia l’esistenza di una rete sedimentata di contatti e relazioni personali. Dalla nostra analisi, dall’inizio della crisi in Ucraina è cresciuta l’importanza di una correlazione fra presenza di connazionali e arrivo di richiedenti asilo nei paesi Ue (0,84 per richieste asilo e nel 2015 vs 0,21 nel 2013).
A titolo d’esempio, fra il 1° gennaio e il 26 febbraio 2016, solo il 7% delle persone ucraine richiedenti asilo ha ottenuto la protezione presso la Commissione territoriale del Nord Est (Gorizia, Verona, Padova). Nel caso italiano, il numero di persone ucraine in Italia è cresciuto enormemente nel corso degli anni Duemila, arrivando fino a 226.060 residenti nel 2015, di cui 178.667 donne (Istat 2015). Si tratta di una collettività decisamente femminilizzata e, come sappiamo, principalmente dedita al lavoro domestico e di cura. Avere delle amiche o parenti in Italia, a cui chiedere ospitalità e aiuto nel disbrigo delle pratiche, nei contatti con le autorità, è un’opportunità di certo importante per chi abbia intenzione di richiedere asilo. Sarebbe difatti interessante verificare se il network fra Italia e Ucraina, tradizionalmente utilizzato più che altro da donne dell’ovest, stia ultimamente espandendosi includendo donne e uomini dell’est del paese.
4. E gli uomini?
A differenza delle presenze ucraine di lungo corso e dai dati delle delle Nazioni Unite in merito al numero di sfollati interni e profughi ucraini, entrambi caratterizzati da un’elevata componente femminile, il gruppo dei richiedenti asilo ucraini in Italia è marcatamente bilanciato dal punto di vista di genere. Il 50% delle richiesta d’asilo sono, infatti, presentate da uomini. Probabilmente si tratta di giovani in fuga dall’arruolamento e dalla guerra, che cercano un’alternativa di vita appoggiandosi alle reti familiari transnazionali femminili. Anche questo è un fenomeno che potrebbe essere interessante osservare nei prossimi mesi.
5. Dall’Ucraina all’Italia, ma sono dei “veri” rifugiati?
Come già accennato, l’aumento delle richieste di protezione internazionale da parte di ucraini suscita interrogativi rispetto alla possibilità che si tratti di persone che “in realtà” sono in Italia per lavoro. Si ripropone così la dicotomia fra migranti economici e rifugiati/e che ha caratterizzato il dibattito recente, e il caso delle donne e degli uomini ucraini dimostra ancora una volta come sia difficile operare una distinzione netta fra l’uno e l’altro caso. Innanzitutto occorre considerare che il conflitto armato è di sicuro un elemento di preoccupazione, di rischio nonché di reale impoverimento economico, per tutta la popolazione ucraina, non solo per quella proveniente dall’area direttamente coinvolta nei combattimenti.
Non deve quindi stupire un aumento nel numero di persone ucraine, direttamente o indirettamente coinvolte nel conflitto, che presentano una richiesta di protezione internazionale all’indomani del loro arrivo in Italia. Nulla esclude che a queste si aggiungano persone presenti in Italia già da tempo, anche come badanti irregolari, che intraprendono questa strada viste le crescenti difficoltà nell’ottenere permessi di soggiorno per lavoro, in particolare alla luce dell’ultimo Decreto flussi.
In conclusione, l’intensificarsi delle richieste di protezione internazionale da parte di persone ucraine apre più interrogativi che altro. È importante continuare a monitorare la situazione nonché proporre indagini, anche di tipo qualitativo, per comprendere come stia cambiando la diaspora ucraina dal 2014, e come il conflitto nell’Ucraina orientale abbia un impatto sui progetti migratori di coloro direttamente o indirettamente coinvolti.