Quella è stata la prima volta in cui Lian è riuscita a raccontare davvero la sua storia. Non era comune, infatti, che allo sportello legale della Casa della carità, storica struttura d’accoglienza per persone in difficoltà che, a Milano, lavora con numerosi richiedenti asilo, ci fossero interpreti in grado di parlare cinese. Almeno, così è stato fino all’inizio del 2017, circa. Per fortuna di Lian, quel giorno c’era Micael, studente di cinese all’università. “Nel mio Paese non mi è concesso professare la mia fede”, afferma Lian appena comincia a parlare. È una cristiana evangelica.
Il colloquio è durato al massimo dieci minuti, molto faticosi per entrambi. Lian alla fine era commossa: ha affossato la testa nelle spalle, si è stretta le maniche della felpa sui palmi delle mani e dopo un secondo di imbarazzo, ha abbracciato il suo interprete, sciogliendosi in un sorriso di profonda riconoscenza. Aveva appena avuto notizia su come chiedere l’asilo politico in Italia. Come lei, solo in quel pomeriggio, c’era una trentina di persone in attesa nell’androne.
Aumentano i richiedenti asilo cinesi, ma fuori dai radar dei sistemi d’accoglienza
Nel 2015, su 358 richiedenti asilo cinesi in Italia, 211 sono passati dalla struttura di via Brambilla a Milano. Nel 2016 sono stati 219, ma in Italia il flusso è stato in netto aumento: hanno depositato la loro richiesta in 804. Un fenomeno, almeno per l’Italia, del tutto nuovo. E che sembra rimanere estraneo ai “normali” percorsi di accoglienza: lo Sprar, il Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati, ha registrato nel 2016 solo 28 persone. All’hub di via Sammartini, porta d’accesso per i richiedenti asilo a Milano, nessun cinese è mai stato registrato. Come se il sistema dei centri di accoglienza non fosse minimamente in grado di intercettare il fenomeno. Solo l’associazione Naga, che come Casa della Carità ha uno sportello legale, ha avuto qualche contatto con altri richiedenti asilo cinese. Il loro non è un abbaglio: l’Unhcr a luglio 2016 scriveva che nel mondo le richieste d’asilo dei cinesi sono quintuplicate nel giro di un quinquennio, dal 2010 al 2015, passando da 10.617 a 57.705. I titolari di status di rifugiato da 190mila sono diventati oltre 212mila. Qualcosa sta succedendo, seppur fuori dai radar dei sistemi d’accoglienza ufficiali.
La cerimonia del colloquio allo sportello legale ha le sue ritualità. Come i ragazzi africani che si affacciano alla porta ogni cinque minuti ad interrompere i colloqui: “Peppe, ma noi?”. “Oggi ci sono prima i cinesi, visto che l’interprete viene meno spesso. Poi tocca a voi”. Peppe di cognome fa Monetti. È il maestro di cerimonie degli incontri con i futuri richiedenti asilo. Organigramma alla mano, la sua carica è “responsabile area ospitalità”. Conosce a fondo le storie dei migranti che transitano a Milano, dopo 15 anni in prima linea. “Ho l’impressione che per i cinesi il tempo che trascorre dal loro arrivo in Italia alla domanda d’asilo sia molto lungo – spiega -. I primi che ho incontrato sono arrivati a Milano nella seconda metà del 2015 e sei mesi dopo sono venuti a chiedere una mano”. Tutti, come Lian, sono cristiani evangelici in fuga dalla persecuzione. I primi di loro intercettati dalla Casa della Carità sono arrivati in Italia già nel 2015, a Milano. Erano i mesi di Expo e per i cinesi era stato creato un sistema facilitato con l’obiettivo di portare in visita all’esposizione universale 2 milioni di visitatori cinesi. Alcuni di loro, evidentemente, sono partiti con quella scusa, ma con l’idea di non tornare più a casa.
Chi sono i richiedenti asilo cinesi in Italia
Il caso vuole che i primi cinesi a Milano siano arrivati con un’altra esposizione universale. L’occasione era l’apertura del traforo del Sempione, nel 1906. All’epoca già alcuni cinesi vivevano a Parigi, nella primissima Chinatown d’Europa. Professione: sarti e venditori. Il traforo del Sempione era stato creato per facilitare gli scambi commerciali Italia-Francia. Tra i commercianti che lo sfruttarono, ci furono anche cinesi. Negli anni ‘20 la comunità si stabilizzò e cominciò ad abitare il dedalo di vie che si intreccia con via Paolo Sarpi, il cuore della Chinatown milanese.
Fino ad oggi l’immigrazione cinese verso l’Italia non ha conosciuto richiedenti asilo, se non in pochissime decine. Chi ha lasciato il Paese, lo ha fatto per cercare lavoro, come spiega il sinologo esperto di immigrazione Daniele Cologna, tra i fondatori dell’agenzia di ricerche sociali Codici. Diverse sono anche le provenienze: “Gli immigrati cinesi in Italia storicamente provengono da tre regioni della Costa meridionale del Paese: Zhejiang, Fujan e Guandong. In questo caso, invece, le persone che arrivano alla Casa della Carità dicono di arrivare anche da zone molto diverse”. Ci sono città, come Pechino, Canton e Shanghai, così come regioni rurali come Sichuan, Anhui, Shanxi, Henan.
Da escludere, quindi, che la rete che li porta in Italia sia la stessa a cui si appoggiano i tanti lavoratori (molto spesso in nero) che cercano fortuna qui. L’immigrazione irregolare dalla Cina si basa su reti familiari: persone ben inserite già nei Paesi di destinazione, che si fanno pagare da chi vuole espatriare. Molti, al momento della partenza, sanno già in quale fabbrica dovranno lavorare e con il loro sudore ripagheranno parte dei debiti contratti con il viaggio. Per queste famiglie, l’immigrazione è un vero business. I cristiani evangelici che partono per l’Italia, al contrario, sembrano essersi affidati solo a internet. L’Italia è stata scelta come meta perché Paese che rappresenta il Cristianesimo, oltre che avere un costo del visto più abbordabile che altrove. Il viaggio costa per tutti intorno ai 5mila euro, tra biglietti dell’aereo e visto.
“In tante aree rurali della Cina la situazione per i cristiani evangelici è diventata più difficile. Sono considerati ‘setta eretica’ e quindi considerati nemici del governo centrale”, spiega ancora Cologna. Le “sette eretiche” sono percepite come una minaccia per il Partito comunista cinese perché fanno proseliti. Il problema non è tanto Dio, quanto la capacità di muovere gli uomini. Wangzhou, prima città di provenienza dei cinesi d’Italia, è chiamata la Gerusalemme di Cina per l’alto numero di cristiani. Nel 2014 il New York Times riporta la notizia di una chiesa cristiana evangelica ufficiale distrutta. Sono oltre 1.200 le croci rimosse dai luoghi sacri nel solo Zhejiang e i pastori che si sono opposti, sono stati imprigionati. “Non si era mai parlato di persecuzioni nei confronti dei fedeli, però”, aggiunge Cologna.
Asilo politico, un diritto “a tempo”?
Per le commissioni che devono decidere se concedere o meno lo status di rifugiato la nascita di nuovi flussi di richiedenti asilo provoca sempre qualche intoppo. Dall’osservatorio della Casa della Carità, si vede che le ultime domande d’asilo sottoposte alla Commissione territoriale ottengono risposte positive in tempi rapidi. Sembra che, ad un anno e mezzo dai primi arrivi, almeno alla Commissione territoriale di Milano ci sia resi conto del fenomeno. Questo fatto dimostra che l’asilo politico rischia di diventare un diritto “a tempo”: nasce solo dal momento in cui il motivo per cui una persona scappa diventa pubblico, riconoscibile. Le biografie delle persone, però, spesso non possono aspettare.
L’appuntamento con la seconda puntata dello speciale è per mercoledì 30 marzo.
FOTO DI COPERTINA: CleverClair1983 (CC BY 2.0).