Medyka è un piccolo centro abitato di poco meno di tremila abitanti, dove le case sono strette fra la stazione ferroviaria e il valico di frontiera con l’Ucraina.
Da quando è cominciata l’offensiva russa, un flusso continuo di persone attraversa a piedi, in auto o in minibus questo confine, e si ritrova a proseguire lungo la stessa strada, dal lato polacco, oppure a fermarsi in un grande sterrato che col passare dei giorni è diventato un centro di prima accoglienza autorganizzato a cielo aperto. Decine di volontari hanno allestito gazebi con cibo, bevande, alimenti per animali, postazioni di ricarica per i cellulari. C’è anche una tenda di Medici Senza Frontiere, con una piccola equipe di quattro persone fra medici e infermieri arrivati da Israele, che forniscono un primo soccorso a chi ha appena affrontato un viaggio estenuante, e che da lì in poi dovrà proseguire.
“Qui alla frontiera ci troviamo davanti a due tipi di soccorso da effettuare – spiega il responsabile dell’unità medica Fernand Cohen Tannoudji – piccoli interventi su mamme e bambini che fisicamente non hanno grandi problemi perché hanno viaggiato in autobus, o sono stati accompagnati da familiari, e persone che invece hanno rischiato l’assideramento perché hanno fatto decine di chilometri a piedi, al freddo, e con pochissime riserve di acqua e cibo. Cerchiamo di dare una mano a tutti, e dove c’è bisogno li accompagniamo all’ospedale più vicino. L’ultimo caso è stato quello di una donna che ha avuto un attacco cardiaco, l’abbiamo trasportata poco fa in ambulanza.”
In molti aspettano l’arrivo di amici e parenti, e restano per ore lungo la strada, in auto, in attesa di vederli comparire; c’è anche chi è appena fuggito dalla guerra ed è rimasto al confine per aiutare le altre persone in arrivo, come Yulia, una studentessa ucraina che con altri volontari ha allestito un banchetto e serve zuppa e tè caldo.
“Sono fuggita da Kyiv pochi giorni fa – racconta – e ho visto che c’è tanto bisogno di aiuto perché la gente arriva costantemente, così ho deciso di seguire i miei amici che già cercavano di dare una mano. Siamo arrivati per dare supporto agli ucraini, in realtà ci siamo trovati di fronte persone di tante nazionalità, che stanno scappando dal mio paese, e altrettante pronte ad accoglierle qui.”
Anu e Mihdnun sono due studenti indiani che vivono a Varsavia, e sono arrivati all’alba per aspettare i loro connazionali in arrivo da Kharkiv e Kyiv. “Abbiamo risposto ad un appello della nostra ambasciata – dice Mihdnun – e siamo venuti qui al confine per fare da tramite tra gli studenti indiani che stanno rientrando dall’Ucraina e le loro famiglie che si trovano in India e che ora vorrebbero solo riaverli a casa. Sono molti i giovani che decidono di partire per frequentare l’università in Ucraina, soprattutto chi sceglie le facoltà di medicina e ingegneria, perché sono lauree che il nostro paese riconosce, e questo permette loro, ma anche a noi che studiamo in Polonia, di tornare a casa e trovare subito un lavoro qualificato. Questa guerra però ha cambiato tutto.”
Con loro ci sono anche due ragazzi pakistani, che hanno appena attraversato il confine e aspettano di ricevere le prime cure mediche. Studiavano a Odessa.
Chi non ha parenti e amici arrivati sul posto, deve proseguire il viaggio con i tanti mezzi a disposizione, spesso anche privati, di cittadini polacchi che offrono un passaggio verso Przemyśl, valico ferroviario di frontiera, e prima cittadina di approdo verso Rzeszów, e da lì verso le altre maggiori città della Polonia.
“Nella zona di frontiera abbiamo allestito cinque presidi di aiuto – spiega il sindaco di Rzeszów, Konrad Fijolek – non solo qui nel capoluogo regionale, ma anche nei paesi più piccoli come Przemyśl, dove si concentra il maggior numero di persone. Cerchiamo di registrare tutti, di non fargli mancare l’assistenza, anche perché ci sono molti bambini piccoli che hanno affrontato viaggi lunghissimi e faticosi con le loro madri.”
La stazione di Przemyśl, ancora più di quella di Rzeszów, ha completamente cambiato volto nel giro di una settimana: le sale d’attesa sono diventate dei dormitori, con decine e decine di materassini posti l’uno a fianco all’altro, coperte, bottiglie d’acqua, bicchieri di carta e bagagli tutt’intorno.
Sopra le teste di chi riposa sul pavimento ci sono i tabelloni con gli orari dei treni in partenza e in arrivo, compreso quello che attraversa i due paesi, e che parte dal binario 5, ormai irraggiungibile dall’entrata principale della stazione, ma accessibile dal retro, fra gli spazi transennati dedicati ai mezzi militari, e a quelli di soccorso, dove ci sono gli uffici della Polizia di frontiera, che ancora oggi controlla i passaporti di chi esce e soprattutto entra in Polonia. Un lavoro di routine fino a dieci giorni fa, oggi quasi impossibile da gestire, in uno spazio che nessuno avrebbe mai immaginato dovesse contenere migliaia di persone alla volta.
E difatti i passeggeri aspettano al freddo, in fila anche per ore, finché il treno che ha varcato il confine dell’Ucraina ed è entrato in Europa non si sia completamente svuotato, e tutti siano stati registrati e aiutati a raggiungere gli altri binari della stazione, o il parcheggio dei pullman.
Terminate le procedure di ingresso in Polonia, si passa a quelle di uscita, per chi da Przemyśl sta rientrando in Ucraina, a prendere i propri familiari o a tornare per difendere il paese dopo aver messo al sicuro la famiglia. Il treno passa da Lviv (Leopoli), Ternopil e arriva fino a Kyiv, chissà fino a quando. Si parte ma non si sa quanto ci vorrà per arrivare, quanto dureranno i controlli, quante fermate impreviste ci saranno. Igor è stato accompagnato qui da un amico polacco, e ora spera di raggiungere i suoi genitori a Odessa, perché da soli non sarebbero in grado di affrontare il viaggio. Torneranno in Polonia, e saranno ospiti a casa del suo amico, che dopo vent’anni ricambierà l’ospitalità ricevuta quando era un giovane in cerca di lavoro in Ucraina.
In copertina foto di Ilaria Romano, come tutte le altre nell’articolo.