C’è un linguaggio ancora più duro che in passato, c’è l’ormai costante attenzione per la dimensione esterna del fenomeno e c’è un paragrafo non risolutivo sulla già affrontata questione del finanziamento di muri ai confini con fondi UE. E soprattutto ci sono espressioni sufficienti per far sì che praticamente tutti i leader, al termine dell’incontro, si dichiarino soddisfatti. Dal cancelliere austriaco Karl Nehammer, che a un certo aveva minacciato di bloccare ogni intesa, fino alla presidente del consiglio Giorgia Meloni, che si è detta “estremamente soddisfatta degli importantissimi risultati raggiunti”.
Un consiglio speciale
Questo Consiglio europeo speciale era stato convocato a dicembre, dopo che diversi stati membri avevano espresso la necessità di affrontare il tema in relazione all’aumento degli arrivi irregolari e delle domande di asilo registrato nel 2022.
In particolare, nel 2022, Frontex ha registrato 330.000 attraversamenti irregolari, cioè una crescita del 64 per cento rispetto all’anno precedente (quando però potevano ancora pesare le conseguenze della pandemia anche sulla mobilità umana) e il dato più alto del 2016 (che rimane però su livelli completamente incomparabili, come mostra questo grafico).
I motivi di preoccupazione degli stati UE erano e restano diversi. Austria e Paesi Bassi sono i paesi più espliciti nel lamentarsi per i movimenti secondari. I paesi Baltici sono preoccupati dalle possibili strumentalizzazioni dei flussi, come accaduto con la Bielorussia nel 2021 e come temono possa ripetersi alludendo all’interesse della Russia nel destabilizzarli. Francia e Italia si sono scontrate, poco dopo l’insediamento del governo Meloni, sulla vicenda della Ocean Viking e per l’esecutivo del nostro paese la questione delle Ong rimane prioritaria, a dispetto dei dati.
“Tutti vogliono parlare” ha detto un funzionario del Consiglio Europeo spiegando, di fatto, come il tema oggi tocchi in maniera diretta molti più paesi che in passato e quindi il dibattito all’interno del Consiglio Europeo sia affollato e intenso.
Cooperazione con paesi terzi e gestione delle frontiere
“Dal 2015, 24 conclusioni del Consiglio europeo hanno fatto riferimento alla migrazione”, ha notato il ricercatore del Jacques Delors Centre, aggiungendo che “più di 20 menzionano la necessità di una maggiore cooperazione con i paesi terzi o la gestione delle frontiere”.
Il conteggio era stato fatto alla vigilia di quest’ultimo vertice, che non ha però fatto eccezione.
Il documento finale parla di rafforzamento dell’azione esterna, con un riallineamento delle politiche dei visti con i paesi terzi confinanti e con piani d’azione che coprano tutte le rotte migratorie “con risorse adeguate”. Quelli già presentati dalla Commissione UE per il Mediterraneo centrale e per i Balcani occidentali “è opportuno che siano attuati” mentre quelli per le altre rotte vanno presentati “in via prioritaria”.
C’è poi un paragrafo dedicato al rafforzamento della cooperazione in materia di rimpatrio e riammissione. In questo ambito, i leader propongono di usare come leva nei confronti dei paesi di origine dei migranti tutti gli strumenti “pertinenti” e cioè “la diplomazia, lo sviluppo, il commercio e i visti, nonché le opportunità di migrazione legale”. Gli stati, inoltre, dovrebbero riconoscere reciprocamente le decisioni di rimpatrio e lavorare per una lista UE di paesi terzi e paesi di origine considerati sicuri.
Il paragrafo del Controllo delle frontiere esterne dell’UE potrebbe essere il più concreto. Ed è quello per il quale il dibattito sembra essersi tornato ad accendere sul tema dei muri. Alla fine la parola, connotata da un forte valore ideologico e anche da qualche memoria trumpiana, non è menzionata nelle conclusioni finali (nella versione inglese non ci sono né wall né fence). Si parla però di “infrastrutture di protezione delle frontiere” che, ha spiegato la presidente della Commissione UE Von der Leyen in conferenza stampa, vanno “dalle auto alle telecamere, dalle torri di avvistamento alla sorveglianza elettronica”.
Dai confini di terra a quelli di mare, qualche riga dopo il documento riconosce anche “le specificità delle frontiere marittime, anche per quanto riguarda la salvaguardia delle vite umane, e sottolinea la necessità di una cooperazione rafforzata in ordine alle attività di ricerca e soccorso”, citando il Gruppo di contatto europeo in materia di ricerca e soccorso di cui anche Meloni ha parlato.
E la solidarietà?
Ci sono anche temi che si sono fatti notare per la loro assenza – o per il poco spazio – all’interno delle conclusioni del Consiglio Europeo. Il primo è il Patto sulla migrazione e l’asilo, citato molto sbrigativamente con un invito ai “colegislatori a proseguire i lavori”. Le speranze che entro la fine della legislatura il pacchetto di provvedimenti legislativi relativi alla dimensione interna della migrazione venga approvato sembrano sempre più limitate, nonostante le rituali rassicurazioni istituzionali.
Manca poi ogni riferimento diretto alle Ong che salvano vite umane nel Mediterraneo, che avrebbe potuto essere uno degli obiettivi del Governo italiano vista la sua forte attività nazionale sul tema. I leader UE hanno però chiesto al prossimo Consiglio Affari interni di discutere “l’impegno effettivo dell’UE alle frontiere esterne, anche per quanto riguarda le operazioni di entità private” e questo ultimo riferimento dovrebbe essere sufficiente a far sì che i Ministri degli interni dei 27 ne discutano alla loro prossima riunione, a inizio marzo.
Infine, manca ogni riferimento alla solidarietà e ai ricollocamenti. La parola solidarietà, tanto cara a Mario Draghi quando rappresentava l’Italia a questi vertici, non è mai stata parte nemmeno delle precedenti bozze delle conclusioni. La scelta potrebbe essere vista come una sconfitta dell’Italia e degli altri paesi mediterranei, che per anni hanno chiesto che le persone sbarcate venissero ridistribuite tra i paesi UE. Eppure la presidente del Consiglio, nella sua conferenza all’indomani del vertice, ha espresso una posizione completamente diversa.
La versione di Meloni
“La redistribuzione non è mai stata la mia priorità”, ha dichiarato Meloni ai giornalisti. “La questione va affrontata da un altro punto di vista”, ha aggiunto, dando la sua interpretazione del vertice appena concluso.
Del resto, Meloni è presidente dei Conservatori europei dell’ECR, cui appartengono anche i leader di Polonia e Repubblica Ceca, da sempre contrari ad accogliere i migranti sbarcati nei paesi costieri, a maggior ragione dopo l’arrivo di milioni di rifugiati ucraini.
Per questo, ha sostenuto che “prima di ragionare sui movimenti secondari si deve ragionare insieme dei movimenti primari per combattere il traffico e frenare i movimenti illegali”. É l’unico obiettivo che condivide con i suoi compagni di partito o con altri leader con cui ha mostrato affinità, come l’ungherese Viktor Orbán.
Tra i risultati che, secondo la Presidente del Consiglio l’Italia avrebbe ottenuto, poi, c’è “occuparsi della protezione delle frontiere esterne” dopo anni in cui il “dibattito era concentrato sull’azione interna e sui movimenti secondari”. Non solo. Sempre secondo la sua versione dei fatti, l’Italia avrebbe “chiesto e ottenuto” il riconoscimento “della specificità dei confini marittimi”.
Da un lato, quest’ultimo punto, come abbiamo visto, è effettivamente citato nelle conclusioni. Dall’altro, invece, è da molto prima che Meloni si insediasse a Palazzo Chigi che si discute di dimensione esterna, di fatto, l’unico campo su cui i leader si trovano sostanzialmente d’accordo e l’unico in cui si sono visti passi in avanti concreti negli ultimi anni. Inoltre, se la questione della redistribuzione è sparita dall’agenda, la necessità di limitare i movimenti secondari è rimasta, con le conclusioni che sono citati chiaramente in due passaggi del testo.
Nuovi equilibri
Un elemento di novità, però, sembra emergere dal discorso di Meloni.
L’Italia, smettendo di chiedere solidarietà (per convinzione od opportunismo), potrebbe contribuire a creare nuovi equilibri europei in materia migratoria.
Anche il presidente francese Emmanuel Macron, nella sua conferenza stampa, ha spiegato che la situazione è cambiata rispetto al 2018 e “non c’è più un [solo] gruppo ostile come quello di Visegrad”.
Un altro indizio di queste nuove possibili geometrie è la lettera circolata prima del vertice per chiedere più rimpatri ed esternalizzazione. A firmarla, un’alleanza inedita di stati, con posizioni geografiche ed esperienze concrete molto diverse tra loro: Austria, Danimarca, Estonia, Grecia, Lituania, Malta, Lettonia e Slovacchia.
Sono solo segnali, ma, le elezioni europee del 2024 iniziano a intravvedersi all’orizzonte.
Se i numeri degli arrivi dovessero continuare a salire e l’UE non dovesse portare a termine le riforme promesse, la questione migratoria potrebbe diventare uno dei temi caldi della campagna elettorale. E tornare ad essere discussa al tavolo del Consiglio Europeo con maggiore frequenza.
In copertina: foto via European Concilium