1) La nave della Ong Jugend Rettet potrebbe davvero aver commesso un reato
Nelle carte del decreto di sequestro della Iuventa, utilizzata dalla Ong tedesca Jugend Rettet, i magistrati ravvisano avvicinamenti eccessivi della nave alla costa libica all’altezza di Sabratha e la presenza, durante alcune operazioni di soccorso, di “facilitatori”, figure relativamente nuove che Lorenzo Bagnoli ha spiegato qui. La Iuventa viene descritta come “piccola e vetusta” (in effetti è un natante di 33 metri del 1962 comprato apposta per i soccorsi), e come “la più temeraria” fra le navi delle Ong. Le viene anche imputata la “restituzione dei natanti ormai vuoti ad altri soggetti che stazionano nell’area dei soccorsi a bordo di imbarcazioni di ridotte dimensioni in legno e vetroresina”, dal momento che i gommoni andrebbero invece “tagliati e affondati”. Va precisato che le Ong lo hanno sempre fatto e anche documentato, incluse le più piccole Sea Watch e Jugend Rettet, anche se non è mai stato chiarito a chi competerebbe questa operazione, e la polizia abbia lamentato che si tratti di una distruzione di corpi del reato.
Nelle carte si riconosce all’equipaggio della Iuventa l’intento umanitario, e di aver commmesso le violazioni ipotizzate “senza compenso”, quindi non a fini di lucro. Si comprende però che l’equipaggio potrebbe essere stato avventato al punto da violare la legge, con singoli episodi di apparenti “consegne concordate” di persone migranti. Tutto questo potrà essere eventualmente dimostrato solo in tribunale nei prossimi mesi, e sulla natura delle accuse, e sul quadro più generale che mettono in luce, vi rimando al primo articolo sul sequestro che abbiamo pubblicato.
Gli elementi di “clima” raccolti nelle carte dipingono più che altro il ritratto di una Ong “antagonista”, cosa che potrebbe o non potrebbe aver spinto la Iuventa a spingersi troppo sotto alla costa e troppo vicino ai cosiddetti “facilitatori”, ma che di certo non è perseguibile di per sé.
2) Le guardie private a bordo delle navi – fonti di questo impianto accusatorio – non appaiono neutrali sulla vicenda Ong
Per analizzare questo punto va tenuto presente che alcune Ong impiegano navi di loro proprietà per i soccorsi, mentre altre, di solito le più grandi e organizzate, prendono in affitto navi adatte dagli armatori, che a loro volta hanno contratti con guardie armate per garantire la sicurezza della barca.
L’origine della denuncia a carico della Iuventa e le conseguenti intercettazioni telefoniche e ambientali coinvolgono proprio alcuni agenti di sicurezza dei contractor privati, in particolare a bordo della Von Hestia usata da Save The Children. Nelle carte, queste persone mescolano pettegolezzi, cose riferite di seconda mano, allusioni, antipatie personali, pregiudizi e forti lacune: ignorano per esempio come mai le Ong non possano collaborare a operazioni di polizia sulle persone soccorse, o ad azioni che portano a rimpatri forzati; o che gli “scafisti” a bordo (cioè in realtà i timonieri) siano spesso solo altri migranti che guidano i gommoni in cambio del prezzo del viaggio; o che l’Italia sia più volte incorsa in errori sull’identificazione di presunti scafisti, il più eclatante dei quali è il caso Mered.
Intanto, però, queste guardie private fiutano l’aria, come si legge: “non la fermano subito [una nave di una Ong. Ndr], però.. si muoveranno in altra maniera”. Va detto che i loro interessi sono in un certo senso antitetici a quelli di chi soccorre. Sono molto ansiose di collaborare con le autorità e allo stesso tempo timorose di contribuire all’eventuale fermo della nave su cui lavorano. Sono in disaccordo col rifiuto di alcune Ong di fornire alla polizia il materiale video/fotografico di bordo che viene poi usato per la comunicazione pubblica dell’Ong stessa. Tanto infastiditi dalla presunta necessità delle Ong di continuare a lavorare, sono però a loro volta preoccupati di continuare a ottenere lavoro, mentre pensano a come trasferire la loro sede a Malta per pagare meno tasse e retribuire meglio il personale. Intanto meditano di tutelarsi facendo aggiungere una clausola (al contratto fra agenzia di sicurezza e armatore) che garantisca che verranno pagati per intero anche se la nave dovesse venire fermata. Le guardie private commentano il clima mediatico sulle Ong dicendo fra l’altro che “l’esito della commissione [Difesa del Senato, che a primavera ha escluso qualunque collusione fra Ong e trafficanti nel Mediterraneo, NdR] avrà un impatto [sull’opinione pubblica, NdR] molto basso”.
3) La polizia italiana fa domande sui comportamenti della Guardia costiera libica
Tenendo presente che oggi la Guardia Costiera libica è la principale alleata del governo italiano per arrestare i flussi migratori, è interessante leggere come questa fosse oggetto, almeno fino a poche settimane fa, della curiosità delle forze dell’ordine. Questo in un contesto in cui i guardacoste libici venivano indicati dall’Onu come conniventi con il traffico di migranti, e alcune pattuglie libiche si erano dimostrate estremamente aggressive verso le navi dell’Ong in acque internazionali, con tanto di spari o raffiche di mitra (l’episodio più notevole è quello che ha spinto Sea Watch a denunciare la Guardia Costiera libica al tribunale dell’Aia; l’episodio più recente, il sequestro per due ore in mare della nave di ProActiva Open Arms il 15 agosto). Ecco, in questo contesto, dopo aver disobbedito in un’occasione alle indicazioni del comando della Guardia Costiera italiana (Imrcc), la Iuventa viene costretta ad attraccare al porto di Lampedusa per sbarcare solo poche persone (anziché trasbordarle su un’altra nave per restare in mare aperto) come sorta di “tirata d’orecchi” da parte della stessa Guardia Costiera. In questa occasione, gli operatori della Iuventa vengono interrogati dalla polizia, in un clima che loro stessi descrivono come non ostile. Più volte nelle carte vengono riferite le domande loro rivolte dagli agenti, che vertevano non tanto sul loro comportamento, quanto piuttosto su quello della Guardia Costiera libica in mare (fra l’altro presente in uno degli episodi contestati alla Iuventa, quello del 18 giugno 2017).
ATENCIÓN !! Golfo Azzurro de @openarms_fund está siendo secuestrado en aguas internacionales por Guarda Costas Libios, apunto dispararnos pic.twitter.com/sIBkIgFUdF
— Oscar Camps (@campsoscar) August 15, 2017
(la posizione della Golfo azzurro quando è stata sequestrata dalla Guardia Costiera libica il 15 agosto)
4) La Guardia Costiera non ha il potere di certificare le imbarcazioni di soccorso straniere (e si sente sotto attacco)
La Guardia Costiera non può assicurare il buono stato e l’operatività dei natanti che non battono bandiera italiana come può fare invece con le imbarcazioni italiane. Nelle carte si legge “il problema di Imrcc è che se gli affonda la Iuventa con 400 migranti a bordo sono ca**i di Irmcc che li ha inviati”. È interessante notare che né nel codice di condotta delle Ong né in alcuna proposta normativa ufficiale c’è per ora traccia di iniziative per colmare questa falla legale. Più in generale, la Guardia Costiera italiana emerge dai pareri degli intercettati come corretta e competente, col controllo della situazione, ma a sua volta sotto tiro nell’operazione mediatica contro i soccorsi in mare. Un ufficiale a bordo della nave Diciotti dice a uno degli intercettati “anche noi della Guardia Costiera siamo molto sotto attacco”.
5) Il momento della notifica del fermo della Iuventa continua a sembrare connesso con la mancata firma del “codice di condotta”
L’Ong tedesca Jugend Rettet, insieme ad altre, ha scelto di non firmare il codice di condotta del Viminale il 31 luglio, e il decreto di sequestro è stato notificato il 2 agosto. Il procuratore aggiunto di Trapani dice che questo “non c’entra nulla col fatto che la Ong non abbia sottoscritto il codice di condotta”. Dalle carte si apprende che mentre il primo dei tre episodi imputati alla Iuventa è del settembre 2016, gli altri due sono di metà giugno 2017, diciamo dopo il polverone sulle Ong sollevato dal procuratore di Catania Zuccaro a seguito dei salvataggi di Pasqua (considerabile come una sorta di avvertimento alla Iuventa?), e prima della campagna di delegittimazione delle Ong durante le trattative per il codice di condotta ad agosto.
Ma il dubbio resta: come mai il sequestro della Iuventa, che sarebbe potuto avvenire un mese prima o un mese dopo, è stato notificato proprio meno di 48 ore dopo la mancata firma? E cosa sarebbe successo se la Jugend Rettet il codice l’avesse firmato? Quando le sarebbe stato notificato che c’era un’inchiesta a suo carico? O si sperava che la Iuventa, a seguito della firma del codice, si fermasse da sola?
6) Chiedere alla Jugend Rettet di firmare un codice che vietava i trasbordi significava praticamente fermare la Iuventa
Dalle carte sembra che la Iuventa funzionasse da primissimo intervento e da “piattaforma” per il soccorso, senza mai portare direttamente in porto i migranti, ma tornando subito pronta al soccorso in mare aperto dopo aver effettuato i trasbordi sulle navi disponibili indicate dalla Guardia Costiera. Sottoscrivere il divieto di trasbordo salvo eccezioni avrebbe costretto la Iuventa a raggiungere ogni volta il primo porto sicuro per far sbarcare le persone salvate, togliendola per molte ore dalla prima linea di soccorso.
7) La Jugend Rettet: impegno sociale fra slancio e rischio
La Jugend Rettet esprime una differenza di concezione rispetto alle Ong più grandi ed esperte. Più in generale, nelle piccole Ong che si sono mobilitate negli ultimi due anni per aiutare nei drammatici soccorsi nel Mediterraneo c’è una forte forma di militanza, un desiderio di far da sè dove si ritiene che le istituzioni non si prendano le loro responsabilità. S., intercettato “riconducibile” a una piccola Ong che ha fornito alla Iuventa apparecchiature mediche, a un certo punto comunica di essersi “formalmente dissociato” da eventuali condotte non conformi alle disposizioni impartite dalla Guardia Costiera. Lui pensa che quelli delle Ong più piccole “sono duri e puri e pensano che si debbano far esplodere le contraddizioni”. Gli operatori della Jugend Rettet, dice, sono “di cuore buonissimo, per l’amor di Dio”, ma non hanno capito la differenza “fra operazioni umanitarie e Greenpeace”, alludendo ai famosi arrembaggi delle navi ambientaliste, e lui teme “sventagliate di mitra” (dalla Guardia costiera libica). Inoltre ritiene che il soccorso in mare e un’eventuale presa di posizione contro il governo italiano vadano separati: “se noi vogliamo andare sui giornali e dire che [come italiani, NdR] stiamo pagando la Guardia costiera libica per il lavoro che noi non possiamo fare, questa è una posizione politica, allora, bisogna ammettere che dal punto di vista legale questa attività è legittima, poi sul piano politico riteniamo che sia un crimine contro l’umanità”.
La Iuventa emerge dalle opinioni raccolte nelle carte come una sorta di centro sociale berlinese in mezzo al mare – organizzatissimo, radicale e antagonista. Diversi le riconoscono grande efficienza nel primo soccorso, con operatori molto preparati e veloci: “questi ragazzi hanno qualcosa che li porta, ma questo qualcosa fa perdere loro la bussola”. La Iuventa, infatti, potrebbe mettere in pericolo se stessa e i migranti che ha soccorso: “il rischio è di mettere a bordo un team sanitario che poi attivamente cercherà l’incidente”, si dice, magari costringendo la Guardia Costiera italiana a “soccorrere i soccorritori”. Una delle questioni è che la Iuventa si avvicina troppo al limite delle acque libiche sulle 12 miglia, rischiando il contatto con l’aggressiva Guardia Costiera libica. Per alcuni, meglio stare più indietro, sul bordo della zona contigua, cioè sulle 24 miglia, piuttosto “che fare gli eroi dentro alle 12 miglia”; per altri, invece, come da legislazione vigente e alla luce del fatto che il grosso dei soccorsi avviene proprio fra le 12 e le 24 miglia, “non puoi lasciarli lì col rischio che le persone affondino”.
L’altro rischio che corre la Iuventa è di provocare un incidente che metterebbe in cattiva luce tutte le Ong in un momento in cui c’è chi cerca ogni pretesto per farle fuori dal quadro dei soccorsi. Inoltre, in prospettiva, quando come da accordi del governo italiano entreranno in campo le navi libiche, farsi troppo avanti e avvistare troppi gommoni potrebbe diventare paradossalmente una forma di delazione dei migranti e di complicità coi respingimenti, perché le Ong sarebbero costrette a riferire gli avvistamenti ma non potrebbero più intervenire.
8) La vera questione è sempre stata quella delle 12 o 24 miglia
Mentre il codice del Viminale insisteva su polizia armata a bordo o divieto di trasbordo, la vera questione è stata sempre e solo quella delle 12 o 24 miglia. Dalle intercettazioni, che siano favorevoli o sfavorevoli alla Iuventa, questo emerge in modo molto chiaro, rendendo ancora più paradossali i punti del codice di condotta per le Ong (o di “distrazione di massa”, com’è stato chiamato), oggi completamente superati dai fatti. La vera questione – e dalle carte sembra che le Ong lo avessero capito benissimo – era decidere fino a dove, nel nuovo piano, esse avrebbero potuto spingersi per i soccorsi, e come non trovarsi costrette a collaborare coi respingimenti. “Non è oggi il problema, è fra un mese [quando, NdR] ci saranno più navi della Libia”, si legge a proposito dei rischi corsi dalla Iuventa, e di Msf si legge: “se le regole d’ingaggio trascendono l’azione umanitaria, a quel punto fanno il passo indietro” (cosa che è puntualmente accaduta).
A dire il vero, la stessa Guardia Costiera italiana si era spesso spinta in passato anche sul limite delle 12 miglia, e nel pieno rispetto della legge. Ma ormai, leggere dell’annosa questione fa quasi sorridere: la Guardia costiera libica ha esteso unilateralmente la propria area di competenza a circa 100 miglia, senza alcuna obiezione dal governo italiano. Si direbbe che l’idea, fin dall’inizio, fosse quella di far arretrare tutti per lasciare campo libero ai respingimenti della Guardia Costiera libica, neutralizzando il soccorso e la testimonianza delle Ong.
In copertina: Un Rib di Msf va a soccorrere una barca in legno nel mare al largo della Libia il 9 giugno 2017. Quel giorno sono state soccorse cinque barche con 597 persone, compresi 52 bambini. (Foto: Andrew McConnell/MSF)