“Risulta evidente la complicità e l’articolazione con cui i governi europei e il potere corporativo – legale ed illegale – agiscono lungo le frontiere per alimentare e incrementare i guadagni milionari che scaturiscono dal controllare le persone migranti”. Con queste pesanti parole di accusa si apre l’introduzione dell’ultimo rapporto, “vida en la necrofontera”, redatto e presentato da Caminando Fronteras. Il Collettivo, che dal 2002 effettua un lavoro di sensibilizzazione e denuncia rispetto alle condizioni dei migranti in transito lungo la frontiera occidentale del Mediterraneo, mette in luce nelle 100 pagine del documento “come un’idustria che si alimenta di violenza e di morte tragga beneficio dal vigilare, detenere, incarcerare e deportare, trafficare e schiavizzare coloro che cercano di attraversare le frontiere”.
In Marocco, ultimo paese di transito nella rotta occidentale ed attore privilegiato nel dialogo con l’UE per la gestione della frontiera occidentale del Mediterraneo, “la violazione dei diritti umani avviene sotto diverse forme: arresti e detenzioni senza mandati giudiziari, racial profiling, fermi amministrativi che oltrepassano il limite legale, deportazioni forzate verso le frontiere sud del paese, rimpatri forzati anche nei confronti di minori e donne incinte, violenze fisiche e restrizione di circolazione nelle zone frontaliere” denuncia Caminando Fronteras.
Nel 2018 sono stati effettuati 89 mila arresti dalle forze armate marocchine nei confronti di persone che tentavano il passaggio in Europa. Di queste, 30 mila sono state fermate in mare, a fronte delle 57.498 che, stando ai dati del Ministero dell’Interno spagnolo, sono invece riuscite a giungere in territorio spagnolo attraversando il Mare di Alborán o lo stretto di Gibilterra.
“Gli arresti sono stati per il governo di Rabat il mezzo per giustificare di fronte all’Europa lo sforzo effettuato per controllare la frontiera, mentre le autorità spagnole classificavano la situzione come la più grande ondata migratoria registrata sulle coste spagnole” si legge nel rapporto, secondo il quale, “questi numeri sono stati utilizzati esclusivamente per alimentare discorsi razzisti e xenofobi”. A questi dati si aggiungono altre cifre: quelle delle persone morte o disperse in mare. Per Caminando Fronteras “questa perdita di vite non è servita allo stato per portare avanti pratiche di sensibilizzazione ed esercizio della memoria. Al contrario, le morti sono state utilizzate per domandare all’Unione Europea più fondi per il controllo delle frontiere”.
I Naufragi
Nel primo semestre del 2019, lungo le tre rotte marittime che costituiscono quella che in Spagna viene chiamata Frontiera Sur – ossia la rotta delle Canarie, quella dello Stretto e quella di Alborán – sono 204 i morti accertati in mare.
“Alcuni cadaveri sono stati identificati, ma molti altri sono ancora negli obitori marocchini, algerini e spagnoli, oppure sepolti senza nome”, si legge nel rapporto. In un’intervista, Boubacar Diallo, un operatore dell’Associazione Asticude di Nador, spiega come il problema del riconoscimento dei cadaveri e della loro sepoltura sia una procedura complessa, poiché molte famiglie non possono permettersi di recarsi sul posto o addirittura coprire le spese per il rimpatrio della salma: “un posto al cimitero marocchino costa all’incirca 30 euro, spesso pagati dalle associazioni come la nostra o con quotizzazioni all’interno della comunità delle vittime. Rimpatriare la salma invece va dai 3 ai 4 mila euro, cifra che non tutte le famiglie possono ovviamente permettersi”. Quando le famiglie non possono effettuare di persona le pratiche per il riconoscimento, sono operatori come Diallo ad effettuarlo per procura. “L’ultimo corpo l’ho identificato grazie ad una foto inviatami dalla madre, che dopo aver visto la foto che a mia volta le ho inviato ha confermato che si trattava di suo figlio. A questo punto ho chiamato la polizia per confermare l’identità del defunto e mi sono recato da loro per redigere il verbale”.
L’arrivo e il controllo delle vite migranti
“Che succede quando le persone arrivano dall’altro lato della frontiera, in terrirorio spagnolo? Cosa succede una volta che sono sopravvissuti al viaggio? Come passano i loro primi momenti una volta sbarcati?”.
Sono alcune delle domande alle quali il Collettivo prova a rispondere nella seconda parte del rapporto. Avvalendosi di testimonianze dirette, si osserva come “il concetto di accoglienza delle persone che attraversano la frontiera sia stato stravolto dalle politiche di controllo sulla libera circolazione”. Quello che Caminando Fronteras denuncia è il mancato rispetto dei diritti umani nei processi di accoglienza, che secondo il Collettivo ha portato ad una “crescente normalizzazione di pratiche di razzismo istituzionale”.
Stando alle testimonianze raccolte “le persone che arrivano sul territorio europeo attraversando la frontiera occidentale passano le loro prime 72 ore in luoghi di detenzione per essere sottoposti ad un interrogatorio al fine di ottenere informazioni utili al controllo delle frontiere. Vengono criminalizzati, di fatto, per la modalità con cui hanno attraversato la frontiera, tanto che durante la prima settimana in suolo spagnolo una persona “può arrivare ad essere interrogata fino a 5 volte” al fine di carpire informazioni ed aumentare il controllo sui flussi migratori.
Da tali affermazioni emerge come una procedura di accoglienza si trasformi in tentativo di controllo dei corpi migranti al fine di ricavarne dati a fini investigativi. La conseguenza di tali pratiche equivale – per Caminando Fronteras – ad una mancata “opportunità di accogliere e raccogliere in forma individuale le storie di vita dei migranti e mettere in moto processi di protezione dei diritti umani”.
Ne consegue una distorsione del concetto di accoglienza che, mescolandosi con forme di costrizione e controllo che privano della liberta i corpi migranti, produce in questi ulteriori traumi e sofferenze.
Una volta entrate nel circuito burocratico del sistema di accoglienza, le persone vengono “cosificate e convertite in numeri”. “Necessità, scelte, legittimazioni delle persone migranti passano in secondo piano, per lasciar spazio alla dinamica stessa del sistema accoglienza. Si favorisce cosi la produzione di una certa forma di infantilizzazione e vittimizzazione delle persone migranti, ai quali viene impedito di essere soggetti attivi delle loro vite. Dalla criminalizzazione all’arrivo, passano ad essere numeri a cui vengono assegnati collocazioni in funzione della loro situazione di vulnerabilità e vittimizzazione”.
Ma sono molte altre le storture del sistema riscontrate attraverso le testimonianze raccolte ed elencate nel rapporto. Di natura logistica – come il fatto che a seconda del porto di arrivo varino le condizioni di accoglienza e accesso ai diritti; la carente condizione delle strutture destinate alla prima accoglienza – ma anche dal punto di vista operativo, come la poca preparazione del personale dedicato, che “in molte occasioni dà per scontate domande basiche che faciliterebbero la comunicazione nella lingua della persona interpellata, la spiegazione del processo di identificazione e la garanzia di poter accedere alla protezione internazionale”. Molti migranti affermano di sentirsi disorientati al momento dell’arrivo e di non capire il contesto in cui si ritrovano, tanto da confondere spesso personale militare con quello delle ong presenti.
Le raccomandazioni di Caminando Fronteras
Nelle pagine conclusive del rapporto, il collettivo raggruppa in 5 macrotematiche una serie di raccomandazioni, al fine di migliorare il rispetto e la tutela dei diritti delle comunità migranti e delle loro famiglie.
Per evitare le morti e le sparizioni lungo la Frontiera Occidentale europea, il primo passo da compiere consiste nel privilegiare il diritto alla vita delle persone che si trovano in mare, migliorando i sistemi di coordinamento e ricerca rispetto alle misure di controllo delle frontiere.
Al fine di trattare degnamente le persone scomparse e i cadaveri non identificati, lo stato dovrebbe, da un lato, occuparsi dell’identificazione dei corpi – promuovendo la costituzione di basi di dati nazionali e transfrontaliere delle persone scomparse e stabilendo meccanismi di ricerca transnazionale a partire dai paesi di origine, transito e destinazione; dall’altro facilitare il rimpatrio delle salme e garantire degna sepoltura alle famiglie impossibilitate a rimpatriare i corpi.
La salvaguardia dei diritti dei famigliari nella ricerca dei dispersi dovrebbe garantire l’accompagnamento nel percorso di identificazione fornendo assistenza logistica, linguistica e psico-sociale, includendo l’abilitazione di numeri di emergenza per i familiari delle persone coinvolte nelle tragedie in mare – affinché possano ottenere informazioni – e l’ottenimento dei visti per le persone incaricate di identificare i corpi.
La salvaguardia dei diritti dei sopravvissuti ai naufragi dovrebbe prevedere l’applicazione dei Protocolli di Assistenza alle vittime di tragedia esistenti nel paese, privilegiando negli interrogatori della polizia la ricerca di dati per ricostruire le cause delle tragedie e proporre strumenti per la loro prevenzione, evitando approcci che tendono a criminalizzare la persona protagonista della tragedia.
La salvaguardia del diritto a conoscere la Verità e ad ottenere Riparazione e Giustizia sulle morti e sparizioni lungo la frontiera, dovrebbe tradursi nella garanzia per le vittime e le loro famiglie di poter accedere alla giustizia. In questo senso, le azioni più urgenti da adottare sarebbero il miglioramento delle indagini sui delitti commessi ai danni dei migranti morti e dispersi – ponendo l’accento non solo sulle morti provocate direttamente ma anche a causa di mancata assistenza – e nell’acquisizione delle prove a livello transnazionale, proteggendo i testimoni e favorendo le loro dichiarazioni anche in caso permangano sfollati o vengano deportati.
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