Dall’autunno del 2022 la Tunisia ha superato la Libia per numero di persone che si sono imbarcate dalle sue coste verso l’Italia e il tema delle migrazioni, insieme alla crisi economica, ha riportato l’attenzione dell’Europa verso il paese. Il sistema di accoglienza è totalmente impreparato a gestire il transito in crescita dei migranti subsahariani, mentre l’inflazione e la disoccupazione fanno sì che a sognare una vita altrove siano sempre più tunisini, giovani, talvolta con un alto livello di specializzazione e di frustrazione per non riuscire a trovare un impiego adeguato.
“Dallo scorso anno alla prima metà del 2023, il nostro è stato il primo paese di emigrazione irregolare per quantità di partenze via mare verso le coste italiane – spiega Mostafa Abdelkebir, presidente dell’Osservatorio per i diritti umani in Tunisia che incontriamo a Ben Gardane, città a 32 km dal confine libico di Ras Ajdir – ed è chiaro che la preoccupazione dell’Europa per questo afflusso di persone abbia spinto l’Ue a rilanciare il dialogo con i paesi del Mediterraneo. L’Europa oggi ha capito che è obbligata a trattare con la Tunisia.”
Il 16 luglio scorso l’Ue e la Tunisia hanno sottoscritto un memorandum che pone le basi per un partenariato a più dimensioni, dal sostegno allo sviluppo economico alla cooperazione sulle politiche migratorie: pensa che sia la strada giusta per affrontare una crisi che avrà dimensioni molto più ampie di quelle attuali?
Non si tratta ancora di un accordo definitivo, al momento abbiamo solo una bozza che accenna a diversi punti programmatici, ma bisognerà capire se e quando si trasformerà in un accordo formale. La Tunisia è in una fase di grande difficoltà e quindi è difficile dire oggi se l’Italia e l’Ue raccoglieranno da questa intesa i frutti sperati: sul tema dell’immigrazione il nostro Governo non ha una linea precisa, e soprattutto pone l’accento sull’aspetto economico della questione. Noi come organizzazioni della società civile pensiamo che vada affrontato dal punto di vista umanitario. E le due cose difficilmente possono convivere. Ritengo tuttavia che la firma di questo documento vincoli la Tunisia, la impegni moralmente oltre che giuridicamente.
Qual è la situazione ad oggi, in termini di flussi migratori, in Tunisia?
Il nostro paese nel corso dell’ultimo anno e mezzo è diventato il primo punto di imbarco verso le coste italiane, e dunque verso l’Europa. Parliamo di cittadini tunisini che vogliono andarsene a causa della crisi e della disoccupazione, ma anche di migranti provenienti dall’Africa Subsahariana che sono costantemente in aumento. Dall’inizio dell’anno la Guardia Nazionale ha compiuto uno sforzo importante per il presidio delle frontiere, parliamo di oltre 20 mila persone intercettate nel tentativo di imbarcarsi, o che si erano già messe in mare, delle quali il 65% è rappresentato da subsahariani. Sono stati anche fermati 1.500 minori tunisini, e 900 persone risultano disperse in mare. Sono numeri terrificanti e sicuramente rappresentano una stima al ribasso.
Il problema è che lo sforzo repressivo da solo non serve a nulla, non scoraggia le partenze. Occorre una visione politica della situazione, e per i giovani della Tunisia in particolare bisogna creare un dialogo sociale, fornire le condizioni affinché possano stare meglio nella loro terra. Non ci può essere sicurezza senza un miglioramento dell’economia e nuove possibilità occupazionali. Finché non si ragionerà su questi aspetti ci potrà essere qualunque investimento economico per il controllo delle frontiere ma non servirà a nulla.
Cosa prevede per i prossimi mesi?
I numeri sono già molto alti, ma prima della fine dell’estate aumenteranno sensibilmente. Come Osservatorio pensiamo che avremo sempre più persone che, principalmente dalla costa di Sfax, proveranno a partire. Sappiamo che ci sono delle reti internazionali che trafficano esseri umani, e che lavorano qui in Tunisia, ma anche in Libia, in Algeria, in Italia, nel resto d’Europa, e negli Stati africani di partenza. Finché tutti i paesi coinvolti non si fideranno l’uno dell’altro e tratteranno alla pari attorno a un tavolo, la questione non sarà mai affrontata veramente. Ma non si tratta di un lavoro di uno, o due anni, bisogna pensare a un progetto che guardi almeno ai prossimi cinque anni. I paesi europei stanno investendo molti soldi, ma nella direzione sbagliata, perché se non si segue la rotta degli investimenti nel tempo, non si saprà mai realmente dove andranno a finire.
Cosa prevede il sistema di accoglienza in Tunisia?
Le persone che attraversano la frontiera dalla Libia ricevono un primo aiuto dalla Mezzaluna Rossa. Le donne e i bambini hanno anche diritto a un posto nelle strutture dedicate di Medenine e Tataouine, mentre tutti gli altri sono lasciati liberi di andare dove vogliono, non c’è un centro di accoglienza. Chi ha qualche soldo trova una casa in affitto, alcuni cercano anche di lavorare. Il problema è che quasi nessuno dei migranti subsahariani che arriva in Tunisia è qui per restare. Il nostro per loro è un paese di transito, una tappa del viaggio. Quindi l’inserimento è ancora più difficile, perché abbiamo dei casi di famiglie che rifiutano di mandare i bambini a scuola perché temono di essere poi costretti a restare. Lo stesso accade con il lavoro, alcuni trovano un’occupazione in nero perché non sono in regola con i documenti, ma anche chi potrebbe firmare un contratto spesso non lo fa perché teme di restare bloccato qui.
Nel luglio scorso a Sfax ci sono stati degli scontri anche violenti tra cittadini tunisini e subsahariani, a seguito dell’uccisione di un uomo in una rissa. Perché si è arrivati a quella situazione e cosa è successo dopo, dato che si è parlato di trasferimenti forzati di cittadini stranieri al confine con la Libia?
Quanto accaduto a Sfax è frutto di un aumento incontrollato del numero di migranti subsahariani: la maggior parte di loro, che arrivi dal confine libico o algerino, tende a confluire nella città più industrializzata del paese perché è quello il primo hub delle partenze. La storia dei trasferimenti di massa è durata 48 ore, come Osservatorio l’abbiamo seguita direttamente. Una cinquantina di persone sono state trasferite forzatamente al confine libico, e nel mentre ne sono arrivate altre delle quali nessuno voleva farsi carico, né la Libia, né la Tunisia. Queste persone sono rimaste bloccate nella zona militarizzata tra le due frontiere per troppo tempo. Molti sono stati male, qualcuno è morto. Sono cose che non devono più succedere. Alla fine i rispettivi funzionari dei Ministeri degli Interni si sono accordati per “dividerli”.
I migranti che oltrepassano il confine libico hanno spesso avuto esperienze di detenzione nelle carceri e parlano di trattamenti inumani e torture.
Posso confermare cha la situazione dei migranti in Libia è estremamente pericolosa, in particolare per le donne, perché oltre alle torture sono stati registrati molti casi di stupro. Sugli accordi resto scettico, perché parlare con la Tunisia è come cercare di risolvere un problema dalla fine anziché dall’inizio. Bisognerebbe ripercorrere tutto il viaggio a ritroso, invece. Quando la gente è partita mesi, addirittura anni prima, ha attraversato molti paesi, ha vissuto esperienze terribili, e arriva in Tunisia, sente di essere all’ultima tappa e non ci sarà modo di fermarla. Anzi, sempre più persone si metteranno in viaggio, basta guardare alla crisi climatica crescente, all’ultima guerra in Sudan, o a cosa sta succedendo e succederà in Niger.
[Immagine di copertina: Mostafa Abdelkebir a Ben Gardane. Foto di Ilaria Romano]