Secondo l’Istituto statistico turco TÜİK, nel 2024 sono state 424.345 le persone che hanno lasciato il paese per trasferirsi all’estero, mentre nel 2023 erano state 714.500, per la maggior parte giovani fra i 24 e i 35 anni. Di contro, la Turchia continua ad ospitare un numero altissimo di rifugiati e richiedenti asilo: secondo i dati dell’Unhcr, i siriani con lo status di rifugiato sono quasi tre milioni, ai quali si aggiungono oltre 258 mila richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale afghani (58 mila), iracheni (65 mila) e iraniani (5 mila e 800).
I siriani
Se inizialmente si era ipotizzato che la caduta del regime di Assad nel dicembre dello scorso anno avrebbe portato a rientri di massa in Siria, l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati ha documentato, un anno dopo, che le persone che hanno lasciato la Turchia per tornare a casa sono state 474 mila. Un numero contenuto rispetto al totale dei profughi generati dalla guerra civile cominciata nel 2011, che evidenzia come la distruzione di molte aree del paese, l’assenza di una vera ricostruzione e il persistere di una gravissima crisi economica che non consente di ricreare condizioni lavorative e di vita affrontabili, siano ostacoli insormontabili per chi ha perso tutto.
Oltre un milione di siriani vive ancora nel Sud del paese al confine con la Siria, nell’area che nel febbraio 2023 fu colpita da un terremoto devastante, e necessita, tre anni dopo, di assistenza umanitaria, legale e di supporto finanziario. Ciononostante, ha scelto di non tornare a casa.
Gli afghani
Gli afghani hanno rappresentato nel 2024 la principale comunità per numero di richiedenti asilo, seguiti da iracheni e iraniani. Dai dati del Mixed Migration Centre risulta che a dicembre dello scorso anno la Turchia ne ospitava 103.922, fra rifugiati e richiedenti asilo registrati, oltre a quasi 66 mila in condizione di irregolarità.
Gli iracheni e gli iraniani
La comunità irachena è una delle più numerose nel paese, con circa 700 mila persone, per la maggior parte rifugiati. I titolari di permesso di soggiorno sono 86 mila. Il numero di arrivi dall’Iraq ha registrato un aumento a partire dal 2003, a seguito dell’invasione americana, della caduta di Saddam Hussain e della successiva guerra civile, e poi dopo il 2015, negli anni dell’ascesa dello Stato Islamico. Nel 2024 le richieste di asilo da parte di cittadini iracheni sono state1.900. Gli iraniani presenti in Turchia come rifugiati sono invece 39 mila, e le richieste di protezione arrivate lo scorso anno sono state quasi 12 mila.
Gli ucraini
Prima dell’inizio dell’invasione russa su larga scala, il 24 febbraio 2022, gli ucraini residenti in Turchia erano 38 mila. Dall’inizio della guerra in poi gli ingressi sono stati 844 mila, ma nel corso di questi tre anni la maggior parte ha lasciato il paese per spostarsi altrove oppure fare rientro in patria. Nel 2023 i rifugiati ucraini in Turchia erano 145 mila, e nel 2024 il numero si è ridotto a 46 mila. Attualmente, secondo i dati dell’Ambasciata Ucraina ad Ankara, i residenti temporanei sono circa 23 mila. A questi si devono aggiungere anche coloro che hanno ottenuto uno status diverso come un permesso di soggiorno di lungo periodo, e quindi non risultano più nelle statistiche dei rifugiati.
I russi
Sempre dal 2022 si calcola che anche 800 mila russi abbiano lasciato il loro paese. Di questi, come risulta dal report “The political diversity of the new migration from Russia since february 2022”, pubblicato dal Centro per l’Est Europa e gli Studi Internazionali ZOiS di Berlino, 180 mila si sono stabiliti in Turchia (dati 2023). Si tratta prevalentemente di giovani, che riferiscono di essere stati politicamente attivi in Russia, di temere l’arruolamento forzato e di non condividere le ragioni del conflitto. Fra il 2024 e il 2025 il numero è sceso a 96 mila, con un calo di oltre un terzo rispetto ai due anni precedenti, a causa della forte inflazione e delle difficoltà incontrate nell’ottenimento del permesso di soggiorno.
I Tatari di Crimea
Secondo uno studio pubblicato sul Nordic Journal of Migration Research da Filiz Tutku Aydin, docente alla facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Ankara, tre mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina sono entrati in Turchia anche 948 Tatari di Crimea, passando dalla Romania e dalla Bulgaria. Se per alcuni di loro la Turchia ha rappresentato un paese di transito verso l’Europa, per altri è stata la destinazione finale, date le affinità culturali e religiose. Per questa comunità turcofona e musulmana, originaria della penisola di Crimea, si tratta spesso della seconda migrazione recente, dopo quella del 2014 seguita all’annessione russa, ma risulta difficile avere dati specifici, perché nella maggior parte dei casi i Tatari di Crimea hanno documenti ucraini o russi e quindi vengono assimilati agli altri rifugiati in base alla nazionalità.
Il sistema di accoglienza turco
Dal 2013 la Turchia ha adottato una legge sui cittadini stranieri che prevede tre tipologie di status di protezione internazionale: rifugiato proveniente da paese europeo, rifugiato non europeo o condizionale, titolare di protezione sussidiaria se non sono soddisfatti i criteri di ammissibilità per lo status di rifugiato, ma comunque a rischio in caso di rimpatrio nel paese d’origine a causa di guerra o conflitto armato interno. Per i rifugiati siriani la Turchia applica un regime di protezione temporanea che garantisce un diritto di soggiorno legale e un livello di accesso ai servizi di base.
Nel 2014 la Turchia ha adottato il Regolamento sulla protezione temporanea, che prevede che i siriani entrati irregolarmente nel paese possano richiedere protezione alle autorità turche senza essere sanzionati per l’ingresso o la permanenza irregolare. Dal 2016 la Dichiarazione Ue-Turchia ha inaugurato una cooperazione con l’Unione Europea in materia di gestione delle frontiere e dei migranti. Secondo l’Aida, Asylum Information Database del Consiglio Europeo per i rifugiati e gli esiliati, la registrazione delle domande è ancora oggi una barriera per l’accesso alla protezione internazionale, e in molte province risulta quasi impossibile, con la conseguenza che un numero crescente di persone ricade in una situazione di irregolarità. Inoltre, il numero dei rigetti è superiore alle accettazioni e alcune domande restano in sospeso per anni.
I Punti mobili di migrazione e i respingimenti
Dal 2023 tutte le province sono state dotate di unità mobili che svolgono controlli di identità sui cittadini stranieri sospettati di non avere un valido documento di soggiorno. Ogni mezzo è dotato di un sistema biometrico per il rilevamento delle impronte digitali, che consente di identificare la persona fermata. In totale sono 270 e nel corso di due anni hanno effettuato più di un milione di verifiche, rilevando poco più di 126 mila migranti in situazione di irregolarità.
Nel frattempo sono aumentate anche le pratiche di respingimento, soprattutto al confine orientale con l’Iran, in particolare nei confronti di cittadini afghani. In alcuni casi sono stati segnalati lunghi trattenimenti senza la possibilità di presentare domanda di protezione.
I rientri volontari
Il primo programma di rientri volontari è stato istituito nel 2021 dalla Direzione Generale per la gestione della migrazione, e nel 2024, fino all’8 dicembre, ha interessato 120 mila persone, tutti cittadini siriani. Nelle due settimane successive a quella data, giorno della caduta del regime di Assad, sarebbero rientrati volontariamente in Siria altre 23.400 persone. A giugno 2025, il totale dei rientri ha raggiunto i 250 mila, ma è difficile stabilire caso per caso se si sia trattato effettivamente di un atto volontario o di un rimpatrio forzato.
I migranti nel discorso politico
Il dibattito politico turco è ampiamente influenzato dal tema delle migrazioni, e dimostra come le polarizzazioni di qualche anno fa tra il partito di governo di Giustizia e Sviluppo AKP e quelli di opposizione, con in testa il Partito Popolare Repubblicano CHP, abbiano lentamente trovato una certa convergenza nella narrazione dei rimpatri e della sicurezza nazionale.
Uno studio pubblicato quest’anno sul Journal of ethnic and migration studies e curato da Zeynep Sahin-Mencütek dell’International Centre for Conflict Studies di Bonn, e Aysegul Kayaoglu del Research Center on Inequality and Social Policy di Brema, ha esaminato le diverse narrative dei partiti politici turchi adottate fra il 2011 e il 2023 rispetto alla questione migratoria e in particolare alla presenza dei rifugiati siriani. Attraverso l’analisi dei testi di mille discorsi parlamentari, sono state individuate sei narrazioni principali sui rifugiati siriani, che si riferiscono a sei concetti: temporaneità, fratellanza, umanitarismo civilizzazionista, dettato dalla volontà strumentale di presentarsi come entità salvifica nei confronti dei bisognosi, umanitarismo basato sui diritti e sul riconoscimento effettivo del bisogno di accoglienza, fardello e rimpatrio.
Inizialmente AKP ha abbracciato le politiche a favore dei rifugiati mescolando le prime tre narrazioni, per poi virare verso la retorica del rimpatrio, mentre CHP ha da subito inquadrato il fenomeno dei siriani in fuga dalla guerra in termini di fardello e minaccia alla sicurezza delle frontiere, alle risorse economiche nazionali e alla coesione sociale. La stessa linea è stata seguita anche dal partito nazionalista MHP. Dopo le elezioni locali del 2019, tutti e tre i partiti hanno cominciato a convergere sulla narrazione del rimpatrio. Solo il Partito Democratico del Popolo HDP, peraltro filo-curdo, ha continuato a enfatizzare l’umanitarismo basato sui diritti.
La retorica pro-rifugiati di Erdogan e del partito di governo ha fatto leva sulla provvisorietà della condizione siriana, e sui concetti di ospitalità e accoglienza, che si sono riflessi nel Regolamento sulla protezione temporanea del 2015, lasciando nell’incertezza e nella precarietà chi aveva bisogno di accedere a servizi come la casa, il lavoro, l’istruzione. Il punto di riferimento è stato rappresentato in primis da valori storico-culturali e religiosi, dove AKP ha attinto alla storia condivisa dei due paesi durante il periodo ottomano, inquadrando lo sforzo pubblico di accoglienza nel dovere islamico di carità. Questo approccio è andato avanti fino al 2018, ma dopo anni di stallo in Siria, con una presenza massiccia di rifugiati ormai stabili in Turchia, le opposizioni hanno cominciato a evidenziare gli svantaggi economico-sociali di questa permanenza di lungo periodo, e il dibattito ha cominciato a virare verso gli interessi economici nazionali, grazie anche agli accordi con l’Ue che hanno riportato il rimpatrio al centro delle soluzioni non solo accettabili ma auspicabili.









