“Il fenomeno delle migrazioni non scomparirà: è destinato a durare. Pertanto, un’Europa orgogliosa dei propri valori e dello Stato di diritto deve essere in grado di trovare una risposta umana e allo stesso tempo efficace”. Di fronte al Parlamento Europeo, la nuova presidente della Commissione UE Ursula Von Der Leyen ha scelto queste parole per affrontare il tema immigrazione. La sessantunenne tedesca ha pronunciato queste frasi nel suo discorso durante la seduta plenaria tenutasi a Strasburgo mercoledì 27 novembre.
Poco dopo i parlamentari hanno approvato la nomina dell’esecutivo continentale da lei presieduto con 461 voti favorevoli, 157 contrari e 89 astensioni.
Von Der Leyen, che è la prima donna a ricoprire questo ruolo, non ha indicato tra le priorità dei primi cento giorni di mandato l’immigrazione. Ciò nonostante, secondo Sara Prestianni, nei prossimi cinque anni il dossier sarà “molto rilevante e trasversale”. “La dimensione dell’immigrazione – spiega la coordinatrice del progetto #externalisationpolicieswatch di ARCI – appare anche in politica estera e in quelle di sicurezza, difesa e sviluppo, spesso con pericolose sovrapposizioni”.
L’equilibrio tra Schinas e Johansson
Ad occuparsi del tema saranno due commissari, che ben rappresentano il tentativo di Von Der Leyen di mantenere un forte equilibrio all’interno della sua squadra: un esponente del partito popolare, il greco Margaritis Schinas, Vicepresidente e commissario alla Promozione dello stile di vita europeo, e la socialista svedese Ylva Jhoansson, Commissaria agli Affari interni.
Il primo è un funzionario europeo di lungo corso, che è stato portavoce di Juncker e, in passato, europarlamentare per Nea Demokratia, il partito conservatore che, salito al potere in Grecia a luglio, sta approvando misure per la gestione dei flussi duramente criticate. Il nome del suo incarico, che copre anche altri ambiti è stato molto discusso e infine cambiato. La seconda, spiega l’esperto di immigrazione svedese Bernd Parusel, “ha alle spalle una lunga carriera da parlamentare e ministra, occupandosi soprattutto di sociale e lavoro”. Tra 2015 e 2016, è stata la responsabile dei programmi interministeriali di integrazione per i rifugiati che, secondo diversi osservatori, ha gestito con pragmatismo.
A fronte di queste caratteristiche, Johansson, dovrebbe avere un ruolo più operativo mentre Schinas dovrebbe occuparsi più di strategia e comunicazione. La collaborazione tra i due potrebbe rivelarsi conflittuale oppure vincente, portando maggiori capacità di influenza e mediazione. Difficile a dirsi ora. Quel che è certo, ragiona Thomas Huddleston, è che “Schinas conosce bene gli ostacoli che l’UE ha affrontato negli ultimi anni”.
L’eredità della commissione Juncker
Secondo Huddleston, Research Director del Migration Policy Group di Bruxelles, da un lato la Commissione uscente ha fatto cose buone, come l’incremento dei fondi per l’integrazione, le sperimentazioni sulle vie legali di accesso e il sostegno agli stati membri. Dall’altro, però, “ha riaperto quasi tutte le direttive europee in materia di asilo e migrazione, senza riuscire a trovare un accordo su alcuna di esse”. Gli anni del presidente Jean Claude Juncker sono stati caratterizzati dalla cosiddetta crisi dei rifugiati, che ha visto i paesi di Schinas e Johansson in prima linea. L’apice si è avuto nel 2015 e 2016, quando le domande di asilo nei paesi Ue sono state rispettivamente 1.322.000 e 1.260.000. Nel 2014, quando Juncker si insediò, erano state 627mila. Nel 2018 sono tornate 638mila.
“Gli eventi di quel biennio sono stati uno shock che stiamo ancora elaborando”, riprende Parusel. “La memoria di quei fatti è ancora fresca in Svezia e, credo, anche in altri paesi: ne siamo ancora influenzati. Allora, gli stati membri Ue non si sono accordati su una condivisione delle responsabilità e il fatto che, nonostante i numeri siano calati, continuino a non farlo contribuisce a tenere il tema immigrazione alto in agenda”. Non è detto che continui ad esserlo.
Eszter Zalan, su EUobserver, ha notato che Von Der Leyen, nel suo discorso all’EuroParlamento, è rimasta abbastanza “vaga sulle questioni più controverse”. Una scelta che potrebbe far parte di una strategia volta a far progressi in ambiti considerati politicamente meno divisivi, “come il clima e la digitalizzazione, piuttosto che sulla migrazione”. Si spiegherebbe così la scelta di non citare in aula la riforma del sistema di Dublino. Da par suo la presidente si è affrettata a spiegare in conferenza stampa che il Patto su migrazione e asilo, del quale aveva già parlato a luglio, verrà presentato nella primavera del 2020 e che, nel pacchetto, sarà inclusa anche la riforma del regolamento di Dublino, da lei considerata “una priorità”.
Per quanto cruciale, però, non si tratta dell’unico dossier lasciato aperto dal suo predecessore.
Ci sono anche la costruzione di un sistema comune di asilo europeo, le operazioni di ricerca e salvataggio in mare, la criminalizzazione della solidarietà, gli accordi per lo sbarco e i ricollocamenti (per i quali la Germania ha appena avanzato una nuova proposta), i corridoi umanitari e i piani di resettlements, le condizioni inaccettabili degli hotspot sulle isole greche (e le pericolose alternative del governo Mitsotakis) e tutto ciò che riguarda la Libia in guerra, dai centri di detenzione ai rapporti con la cosiddetta guardia costiera del paese africano. Per capirci qualcosa in più, per Huddleston, bisognerà aspettare di leggere il nuovo Patto. “Solo vedendone i contenuti capiremo quali sono davvero le priorità di questa Commissione”.
Follow the money
Secondo Prestianni, sarà importante capire se e quanto il nuovo documento si discosterà dall’Agenda Europea sull’immigrazione, approvata nel maggio del 2015, nel pieno della cosiddetta crisi. “Le politiche UE in materia di immigrazione sono contrarie ai diritti umani”, sostiene la ricercatrice. “E l’approvazione dell’Agenda è stata un momento chiave di questa deriva”. Con essa, continua Prestianni, l’esternalizzazione delle frontiere e il principio di condizionalità sono diventati concetti europei, mentre prima erano frutto di accordi bilaterali, come quelli tra Spagna e Marocco o Italia e Libia. Difficile, quindi, che vengano messi in discussione. Anzi, guardando alle proposte per il bilancio UE 2021-2027, sembrano venir pienamente confermati.
Non è però detta l’ultima parola. Il budget settennale deve ancora essere discusso nei prossimi mesi e, più in generale, la nuova Commissione rischia di dover fare più di un compromesso per vedere i suoi provvedimenti approvati.
Secondo molti analisti, infatti, pur avendo avuto un sostegno maggiore di quello di Juncker (61% contro il 56% dei voti), Von Der Leyen non avrà vita facile con il Parlamento Europeo più frammentato di sempre. La maggioranza che la sostiene, composta da popolari, socialisti e liberali, è inedita, eterogenea e litigiosa: potrebbe obbligarla a cercare stampelle in altri gruppi. Un’opzione potrebbero essere i Verdi, che sull’immigrazione hanno posizioni molto aperte. Oppure, all’estremo opposto, ci potrebbero essere i sovranisti. I conservatori polacchi del PiS (contrari a ogni tipo di relocation) hanno già votato a favore di Von Der Leyen e lo stesso ha fatto anche Fidesz, il partito ungherese di Viktor Orbán, che è ancora parte dell’EPP. Infine, ci sono i componenti di Identità e Democrazia (ID), guidato dalla Lega e nettamente schierato all’opposizione.
Nel corso della plenaria di ottobre, i loro voti sono stati decisivi per opporsi a un testo tanto ambizioso quanto simbolico sulle operazioni di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo. In quell’occasione, una delle prime in cui il Parlamento eletto a maggio si è espresso sull’immigrazione, il gruppo identitario ha votato insieme ai conservatori di ECR e soprattutto ai popolari dell’EPP. E la risoluzione sui porti aperti alle Ong è stata respinta.
Forse potrebbe interessarti: Parlamento Europeo e immigrazione, una visione d’insieme nel giorno dell’insediamento
Immagine di copertina dal profilo Twitter di Ursula von der Leyen