“Ma quale coronavirus, noi africani siamo immuni”: Makan, 21 anni, ci scherza su. In effetti da quando quattro anni fa ha lasciato il Mali, il suo Paese, ne ha passate di peggio. A fine 2018 ha ottenuto la protezione umanitaria: doveva essere una buona notizia, un punto di partenza. Invece nel giro di due settimane si trova letteralmente in mezzo alla strada: il primo decreto Sicurezza voluto dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ha abolito la protezione umanitaria e determinato per i titolari di questo tipo di permesso l’espulsione dal circuito d’accoglienza.
Grazie a un’amica, Makan trova una sistemazione di fortuna nel dormitorio di Intersos, a Roma. Dopo alcuni mesi ottiene un lavoro e una stanza in affitto, entrambi in nero. Senza un affitto in regola, Makan non riesce ad ottenere l’iscrizione anagrafica, e senza un contratto di lavoro non può convertire la protezione umanitaria in un permesso di lavoro. Due mesi fa perde il lavoro e si ritrova di nuovo in strada, alla stazione Tiburtina.
“SONO TRE SETTIMANE CHE CI AUTO-DENUNCIAMO”
Da oltre tre anni, l’ingresso alla stazione che dà su piazzale Spadolini è diventato un riparo di fortuna per centinaia di migranti: dormono sul marciapiede, su un pezzo di cartone, con un sacco a pelo o delle coperte.
La situazione legale delle circa cento persone, soprattutto africani, che dormono qui, non potrebbe essere più varia: c’è chi è arrivato poche settimane fa, chi sta facendo ricorso per ottenere l’asilo, e chi, come Makan, pur avendo un permesso di soggiorno ha perso il lavoro.
“All’inizio qui c’erano soprattutto transitanti o dublinati, poi le cose sono cambiate”, spiega Andrea Costa, coordinatore di Baobab Experience, riferendosi ai migranti arrivati in Italia via mare, con la speranza di raggiungere altri Paesi europei, e alle persone rimandate in Italia da altri Stati membri in base al Trattato di Dublino, perché è qui che hanno fatto richiesta di asilo. “Da diverse settimane, sono sempre le stesse persone: tra frontiere chiuse e quarantena sono bloccate qui”.
Come ogni mattina alle 8, i volontari di Baobab sono venuti a portare la colazione. Si sono attrezzati con guanti e mascherine. Hanno affisso alcuni cartelli per spiegare i rischi, la necessità di stare a distanza e l’importanza di lavarsi le mani: raccomandazioni praticamente impossibili da rispettare in questo contesto.
“Ieri [26 marzo; Ndr] – spiega Costa – il Comune ha annunciato l’attivazione di un numero per denunciare gli assembramenti: noi sono tre settimane che ci auto-denunciamo e nessuno ha ancora trovato una soluzione”.
Nel frattempo anche il lavoro dei volontari è diventato più complesso: “Non solo spostarsi per alcuni è più difficile, ma è diventata più costosa e complessa anche la preparazione e la distribuzione dei pasti. Prima, ad esempio, venivamo qua con un tavolo e un pentolone di pasta: ora non si può più fare. Per evitare assembramenti prepariamo le porzioni in anticipo e le distribuiamo una ad una”, racconta Costa.
In generale con la quarantena, l’accesso ai servizi per migranti e senza fissa dimora, pur essendo garantito, è più difficile: “Prima andavo a fare la doccia e a caricare il telefono al centro Astalli – dice Makan –, ma ora è chiuso: fanno solo la distribuzione del cibo. E in ogni caso preferisco non andare in giro, non voglio avere problemi con la polizia. Come gli spiego che dormo per strada? E in più ora sono senza residenza”.
#VORREIRESTARE A CASA
A Roma le persone senza fissa dimora sono almeno 8mila, 50mila in tutta Italia.
“Quando è stato lanciato l’hashtag #iorestoacasa, la prima cosa che ci è venuta in mente è stato ribattere con #vorreirestare a casa”, spiega Alessandro Radicchi, fondatore di Binario 95, un centro per persone senza dimora alla stazione Termini di Roma.
Anche qui, il lavoro di operatori e volontari è stato complicato dall’emergenza Covid19: dalla necessità di dotarsi di mascherine e guanti, alla gestione degli spazi a mensa o nei laboratori.
“Il problema – spiega Radicchi – è che non esiste un luogo di quarantena domiciliare per le persone senza fissa dimora”. A Binario 95, è stata allestita una stanza isolata in quello che era un ufficio, in caso una persona dovesse presentare sintomi influenzali. L’alternativa è chiamare un’ambulanza, o rischiare di dover mettere in quarantena un intero centro.
Radicchi, che è anche direttore dell’Osservatorio nazionale della solidarietà nelle stazioni italiani, spiega che tra i senzatetto la presenza di migranti è sempre più consistente: “Lo vediamo in tutte le stazioni: circa il 75% sono migranti, e la percentuale è in aumento da quando sono in vigore i decreti Salvini”.
Espulse dall’accoglienza, e a seguito dello smantellamento della rete Sprar, queste persone sono state in minima parte assorbite dal circuito cittadino per le persone senzatetto. “Ma i posti per migranti in transito a Roma sono meno di 300: migliaia sono finiti per strada”, spiega Radicchi.
RICHIEDENTI ASILO SENZA RESIDENZA
Al disagio economico e sociale si aggiungono anche i problemi burocratici: per effetto del primo decreto Sicurezza, dalla fine del 2018 diversi Comuni in tutta Italia hanno iniziato a negare l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo.
All’articolo 13, il ddl 840/2018 (che ha convertito in legge il decreto Salvini) stabilisce che il permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale “non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica”.
“È un articolo scritto male: in realtà non vieta l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo, anche se magari l’intenzione era quella”, spiega Antonio Mumolo, presidente di Avvocato di strada, un’associazione che Mumolo definisce “il più grande studio legale d’Italia, ma anche quello che fattura di meno, praticamente nulla” e che dal 2001 dà assistenza legale gratuita alle persone che vivono in strada.
“Abbiamo impugnato i dinieghi dei sindaci in oltre 50 città e abbiamo vinto, ottenendo che il richiedente asilo fosse iscritto all’anagrafe: la nostra normativa stabilisce che la residenza è un diritto per tutti i cittadini e per tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti”, dice Mumolo.
La residenza, oltre ad essere un diritto, nasce in realtà da un’esigenza di ordine pubblico. “Un aspetto forse non tenuto in considerazione dal ministro – continua Mumolo –. L’iscrizione anagrafica nasce dalla necessità di sapere dove sono le persone: non concederla è un autogol dal punto di vista della sicurezza”. Proprio per questo diversi Comuni si sono dotati di un indirizzo fittizio per poter iscrivere all’anagrafe anche i senzatetto: a Roma, ad esempio, è via Modesta Valenti.
A marzo, la Corte costituzionale si sarebbe dovuta pronunciare in via definitiva sulla questione, ma a causa dell’emergenza Covid, la questione al momento è bloccata. “Il problema – conclude Mumolo – è che nonostante le sentenze e nonostante la materia sia di competenza del ministero dell’Interno e non dei sindaci, continuiamo a registrare pratiche estremamente diverse da Comune a Comune”. Alcuni, come racconta Mumolo, chiedono non solo un contratto di affitto ma addirittura un contratto di lavoro. A Roma, in un caso seguito dall’avvocata Ludovica Di Paolo Antonio, volontaria con Baobab Experience, il municipio si è rifiutato di iscrivere all’anagrafe un richiedente asilo, nonostante la sentenza del tribunale: “Al momento è tutto bloccato, a causa della chiusura degli uffici, ma stiamo valutando una denuncia – spiega Di Paolo Antonio –. Non capiamo il perché di questa ostinazione nel non recepire gli orientamenti della giurisprudenza”.
L’iscrizione anagrafica non è solo una questione formale. Alla residenza sono collegati diritti fondamentali: senza, non si riesce ad ottenere un contratto di lavoro, non si può aprire un conto corrente o una partita Iva, si perdono i diritti previdenziali, il diritto al voto e non si ha diritto al medico di base. Con l’emergenza coronavirus, significa non poter far altro che chiamare l’ambulanza, se ci si ammala. “Senza residenza si è cittadini di serie B. E non si esce dalla strada”, sintetizza Mumolo.
“CHIUDERE I GRANDI CENTRI”
Il recente decreto legge Cura Italia, uno dei vari provvedimenti nati a seguito dell’emergenza Coronavirus, ha prorogato la validità dei permessi di soggiorno fino al 15 giugno. “Gli uffici immigrazione sono chiusi e le pratiche bloccate, ad eccezione delle domande di protezione e delle espulsioni – spiega Nazarena Zorzella, avvocata di Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione – e già sotto questo profilo è irragionevole, visto che con la chiusura delle frontiere le espulsioni sono ineseguibili: sono persone che vanno ad affollare i cpr (i centri di permanenza per il rimpatrio, ndr), in cui è già impossibile rispettare le misure minime di prevenzione del contagio”.
In un documento elaborato da Agsi e Action Aid, sottoscritto da una decina di associazioni del settore, il problema è esposto chiaramente: “Se è vero che il virus, nel suo diffondersi, non fa distinzioni – si legge – è altrettanto vero che la precarietà giuridica, alloggiativa, lavorativa e finanche esistenziale alla quale sono esposti molte/i cittadine/i straniere/i determina rischi specifici e differenti, di cui è urgente discutere anche in un’ottica di salute pubblica”.
Con i due decreti Sicurezza, seguiti dallo smantellamento del sistema Sprar, i richiedenti asilo e i rifugiati non hanno più accesso all’accoglienza diffusa in piccoli appartamenti, ma sono ammassati in grandi strutture con centinaia di posti letto: “Noi chiediamo di riorganizzare l’accoglienza diffusa che esisteva prima dei decreti e di consentire l’accesso all’accoglienza anche ai titolari di protezione umanitaria, esclusi dai decreti”, spiega Zorzella. Una richiesta, afferma Asgi, non solo a tutela dei migranti, ma anche della saluta pubblica e di chi lavora in questi centri: strutture non in grado di erogare l’assistenza e il monitoraggio sanitario richiesto.
E poi ci sono i lavoratori stagionali che, continua Zorzella, “Dovrebbero essere ospitati in strutture idonee che ne tutelino la salute”. “Si è parlato dei rischi rappresentati dai centri anziani, riguardo alla diffusione del virus – conclude Zorzella –, è chiaro quindi che ci vuole attenzione anche per questi grandi centri che ospitano i migranti: parliamo di 80mila persone. Servono provvedimenti immediati”.
In copertina: Roma, Stazione Tiburtina. Alcuni cartelli affissi dai volontari di Baobab Experience, spiegano in diverse lingue le misure di precauzione contro la diffusione del coronavirus. (Foto di Daniela Sala come tutte quelle presenti nell’articolo)