La crisi umanitaria dimenticata: il caso dei migranti di Lesbo

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13 marzo 2019 - Enrico Di Pasquale
Nonostante su Lesbo sia diminuita l'attenzione dell'opinione pubblica europea, ancora oggi l’isola dell'Egeo ospita il più grande centro d’accoglienza per migranti d’Europa, e le condizioni di vita di chi ci vive restano difficilissime. Tra le tante associazioni che aiutano i migranti c'è anche la Fondazione Leone Moressa che, in collaborazione con l'Università dell'Egeo, ha avviato "Scirea" un progetto destinato ad un target specifico: rifugiati e richiedenti asilo con titoli di studio alti come laurea, Master e PhD. Siamo felici di poter ospitare su Open Migration la riflessione di Enrico Di Pasquale, ricercatore della Fondazione Moressa, che ci aggiorna sulle condizioni dei migranti sull'isola e dell'andamento dell'iniziativa.

Con il calo degli sbarchi registrato nel 2018 e 2019 nel Mediterraneo, è diminuita anche l’attenzione dell’opinione pubblica europea. Tuttavia, le condizioni dei migranti in attesa di protezione internazionale rimangono critiche. Emblematico il caso di Lesbo, in Grecia: sotto i riflettori nel 2016 per la visita del Papa, ancora oggi l’isola ospita il più grande centro d’accoglienza d’Europa, con condizioni di vita difficilissime.

Gli arrivi di migranti in Grecia

A seguito dell’accordo tra Ue e Turchia (marzo 2016), gli arrivi in Grecia si sono sensibilmente ridotti, attestandosi intorno a quota 30 mila nel 2017 e nel 2018. I dati UNHCR consentono di tracciare una fotografia dei migranti sbarcati in Grecia negli ultimi anni: il picco massimo si è registrato nel 2015, con oltre 800 mila arrivi, molti dei quali transitati poi verso l’Europa Centrale e la Germania. Tra i migranti sbarcati nel 2018, il 40% era costituito da uomini, il 23% da donne e il 37% da minori.

Tra i punti di arrivo, l’isola di Lesbo rappresenta la prima località, con poco meno della metà degli arrivi totali. Tra i paesi d’origine, i gruppi più numerosi sono quelli provenienti da Afghanistan (28%), Siria (24%) e Iraq (18%).

Le denunce sulle condizioni dei richiedenti asilo

Come ricordato in un articolo pubblicato su Open Migration, il numero di migranti presenti nelle strutture di accoglienza in Grecia rimane molto alto. A fronte di una capienza ufficiale di circa 3.000 posti, il campo di Moria, nell’isola di Lesbo, ospita costantemente tra le 5 e le 8 mila persone, in condizioni precarie soprattutto nei mesi invernali. Per dare un’idea, consideriamo che la città di Mitilene, capoluogo dell’isola, conta appena 30 mila abitanti.

Secondo un recente rapporto dell’ONG Oxfam, il sistema di accoglienza greco non consente di valutare in maniera adeguata la vulnerabilità dei migranti e dunque non garantisce la protezione adeguata per le categorie più deboli come donne incinte, minori non accompagnati, madri con neonati, ecc.

Questa situazione, secondo Oxfam, dipende principalmente dalla carenza di personale e dall’utilizzo di procedure “semplificate” a seguito dell’accordo Ue/Turchia.

Oltre a questo, il sovraffollamento dei centri di accoglienza determina condizioni igienico-sanitarie scarse e rischio di malattie. In particolare, nei mesi invernali il campo ha sofferto di inadeguato riscaldamento, con una condizione ambientale spesso sotto gli zero gradi e con sistemazioni spesso costituite da tende.

Tali condizioni determinano poi un rischio molto alto per la salute e l’incolumità delle persone ospitate: secondo il Comitato Internazionale di Soccorso, il 64% degli assistiti soffre di depressione e il 29% ha provato a togliersi la vita.

Oxfam conclude il rapporto presentando una serie di raccomandazioni rivolte alle autorità greche, alla Commissione europea e agli altri Stati membri. In particolare, Oxfam raccomanda di:

  • inviare personale aggiuntivo nei centri di identificazione e accoglienza, come ad esempio medici, psicologi, psicologi infantili, mediatori culturali, in modo da garantire un rapido screening dei nuovi arrivati e l’identificazione immediata dei soggetti vulnerabili.
  • trasferire i richiedenti asilo, subito dopo la prima fase di identificazione, dalle isole verso la terraferma, dove possano ricevere servizi di assistenza adeguati.

Inoltre, Oxfam raccomanda in modo particolare alle autorità greche di sospendere le restrizioni di movimento tra le varie isole e di potenziare il sistema di accoglienza nella terraferma. Infine, fa appello agli altri Stati membri per ottenere una condivisione di responsabilità nella gestione dell’asilo, ad esempio attraverso procedure di ricollocamento, e per raggiungere un accordo sulla riforma del Regolamento di Dublino, a partire dalla proposta approvata dal Parlamento europeo nel 2017.

Opportunità di integrazione: il progetto SCIREA

Le sfide per l’integrazione dei migranti giunti in Europa negli ultimi anni (e di quelli che, inevitabilmente, continueranno ad arrivare) sono dunque molte e molto complesse, in quanto coinvolgono diversi livelli di competenza: autorità nazionali nei paesi di approdo, istituzioni europee, altri Stati membri.

In questo quadro negativo, un barlume di speranza arriva dalle tante esperienze di solidarietà gestite a livello locale da enti pubblici, organizzazioni internazionali e ONG. Nell’isola di Lesbo, ad esempio, sono attive le principali autorità europee ed internazionali (UNHCR, IOM, EASO) e numerose associazioni ed enti solidali.

Nel marzo 2018, anche l’Università dell’Egeo, che ha sedi a Lesbo, Samos, Chios e Rodi, ha deciso di dare il proprio contributo: grazie ad un finanziamento della Commissione europea, è stato avviato il progetto SCIREA, condotto appunto dall’Università dell’Egeo in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa.

Il progetto si rivolge ad un target specifico di beneficiari, ovvero rifugiati e richiedenti asilo con titoli di studio alti: laurea, Master, PhD. E’ stimato che circa il 3-5% dei migranti giunti in questi anni nel Mediterraneo orientale rientri in questa categoria. Si tratta, quindi, di centinaia di persone, molte delle quali desiderose di proseguire gli studi o di inserirsi nel mercato del lavoro o nella ricerca accademica.

Nonostante le difficoltà logistiche (procedure per l’accesso ai centri di accoglienza, condizioni di vita all’interno dei centri, diffidenza da parte dei beneficiari), nel primo anno di attività è stata condotta un’indagine sui fabbisogni formativi dei rifugiati con alto titolo di studio.

Questa fase ha evidenziato alcune caratteristiche generali del campione: età media molto giovane (l’80% sotto i 35 anni), buona conoscenza della lingua inglese (il 56% degli intervistati ha un livello eccellente), presenza di gruppi linguistici omogenei (inglese, francese, arabo, persiano). Sorprendentemente, oltre la metà del campione intervistato è in possesso delle certificazioni relative al proprio percorso di studi (diploma, laurea, ecc.).

A partire da questa analisi sono stati avviati alcuni seminari formativi e informativi, volti ad un primo inserimento nel mondo accademico. L’obiettivo finale è il conferimento di alcune borse di studio per rifugiati, in modo di consentire loro il completamento del percorso di ricerca e l’inserimento nel mondo accademico.

Questa esperienza, come altre in diversi settori (educazione, inserimento lavorativo, bisogni primari), rappresenta un tentativo da parte della società civile di sopperire alle carenze del sistema di accoglienza e di integrazione. Per ottenere risultati concreti, tuttavia, è necessario sollecitare le autorità pubbliche (nazionali ed europee) alle proprie responsabilità. Per questo, l’attenzione dell’opinione pubblica deve rimanere alta.

 

Immagine di copertina: sbarchi di migranti in Grecia, serie storica