[La versione originale in inglese di questo articolo è apparsa su Refugees Deeply]
Lo scorso luglio gli stati membri delle Nazioni Unite hanno finalizzato il testo del primo accordo internazionale sulle migrazioni globali. Il Global Compact per una Migrazione sicura, ordinata e regolare (GCM) è il risultato di quasi due anni di intense – e a volte tese – trattative. Gli Stati Uniti hanno lasciato il tavolo dei negoziati quando la discussione era appena iniziata, e l’Ungheria si è tirata indietro alla fine dei negoziati. Altri minacciano, come l’Australia, di fare lo stesso.
Ma finora il patto sembra tenere: a New York le delegazioni nazionali di tutto il mondo hanno tributato una standing ovation ai co-facilitatori svizzero e messicano e alla Rappresentante Speciale per le Migrazioni Louise Arbour per aver raggiunto una “svolta storica” sulle migrazioni globali.
Gli esperti di migrazioni hanno accolto con scetticismo e una certa dose di cautela questo risultato. Ma sarebbe un grave errore sottostimare la rilevanza politica del Global Compact, nonostante i suoi limiti. Il Compact può – almeno in parte – aiutare a cambiare il modo con cui ci si approccia alle migrazioni, proponendo modelli di cooperazione e azione alternativi e pragmatici. Nell’attuale clima politico, questo è un risultato significativo.
Cominciamo dai limiti del Compact: come molti accordi negoziati a livello globale, il testo del GCM non è certo perfetto. Tanto per iniziare, è un accordo volontario e non “legalmente” vincolante, a differenza della Convenzione sui Rifugiati del 1951. Inoltre, il GCM non verrà formalmente adottato dai paesi membri delle Nazioni Unite fino al vertice globale di dicembre a Marrakesh, in Marocco. Altri stati potrebbero ancora sfilarsi dall’accordo, non ultima l’Italia di Salvini. Malgrado sia difficile immaginare che molti altri leader mondiali vogliano essere associati a Donald Trump o a Viktor Orban, il dibattito politico sull’immigrazione è molto delicato e imprevedibile, soprattutto in Europa: non è dunque impossibile che altri stati si ritirino dall’accordo. Infine, il testo è necessariamente il risultato di diversi compromessi, e non tutte le questioni sono state affrontate o risolte adeguatamente. La prima fra queste è il rapporto fra migrazione irregolare e la necessità di mantenere vie legali per permettere alle persone di migrare, che sono in diminuzione.
Ma ricordiamoci che due anni fa, all’inizio del processo sul Compact, molti erano scettici sulle possibilità che vedesse la luce. Altri erano convinti che il testo sarebbe stato superficiale e privo di significato o impegno concreto. Nessuna di queste cose si è verificata.
Il significato del processo politico e diplomatico che ha portato all’accordo sul GCM non va sottovalutato. Gli stati si sono impegnati nel dialogo e nel negoziato, hanno discusso e hanno raggiunto importanti compromessi. Al di là degli stati, individui (me compresa) e organizzazioni hanno potuto dare il loro contributo, aiutando a dare forma alle idee e alle innovazioni contenute nel testo. I co-facilitatori hanno ascoltato e sono riusciti a tradurre il complesso dialogo politico in un testo che, anche se non perfetto e frutto di molti compromessi necessari, è ricco di proposte concrete.
In un momento in cui in Europa non si riesce a raggiungere un accordo significativo per cooperare sulla gestione delle migrazioni, e in mare continua a morire un crescente numero di persone, e Trump spinge per una linea sempre più dura sull’immigrazione, è più urgente che mai impegnarsi per scoprire e testare nuove forme di cooperazione internazionale e approcci pragmatici per la gestione della realtà migratoria. Il GCM offre una base per fare esattamente questo. Per dirla con le parole dell’ambasciatore svizzero per lo Sviluppo e le Migrazioni durante la cerimonia alle Nazioni Unite, “sembrava una scommessa impossibile, ma il Global Compact è riuscito ad andare oltre via il rumore della xenofobia e del populismo”.
Cosa pensare del testo in sè? Io lo vedo come un trampolino di lancio per affrontare le migrazioni in modo diverso. E’ sicuramente un testo lungo e complesso – con 23 obbiettivi, limitata coerenza interna e scarso senso di direzione. Ad esempio il testo delude su una questione importante come la detenzione minorile – dove gli stati non sono riusciti a mettersi d’accordo per mettere semplicemente fine alla detenzione dei minori, ma piuttosto per “assicurare la reperibilità e l’accessibilità di una gamma praticabile di alternative alla detenzione in contesti di non-custodia, favorendo soluzioni basate sulla cura di comunità”.
Sulle questioni di migrazione e sviluppo sostenibile, il testo riconosce che le migrazioni possono aiutare a raggiungere risultati di sviluppo e che questa è una pietra angolare dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile. Non è un risultato da poco. Allo stesso tempo però il testo ricade nella retorica – quella comoda dell’ “aiutiamoli a casa loro” – suggerendo che che le politiche di sviluppo, i programmi e gli aiuti finanziari allo sviluppo possano risolvere le “cause avverse” della migrazione, a fronte di una mancanza di dati e valutazioni che dimostrino che gli aiuto allo sviluppo possano contribuire a contenere la migrazione irregolare.
Malgrado questi limiti, il testo è però anche ricco di idee e innovazioni, per esempio la proposta di collaborazioni fra paesi sulle competenze per facilitare la mobilità professionale.
SI tratta di una “ridicola lista dei desideri”, come qualcuno mi ha suggerito su Twitter? Io lo vedo più come un menù pragmatico e potenzialmente molto utile di opzioni – o uno “scrigno di tesori”. Starà agli stati, ma anche ai leader politici, ai decisori, ai sindaci, all’industria, agli attivisti, ai ricercatori e ad altri fare buon uso delle idee del GCM e tradurre il testo in azione.
E se parliamo di azione, credo che la natura non vincolante del Compact possa essere un vantaggio, e non un limite. Abbiamo visto più volte paesi firmare accordi internazionali “vincolanti” e poi non rispettarli. Ci sono dei limiti a quanto i testi e gli accordi legali possono ottenere risultati politici su un fenomeno così complesso e politicamente sovraccarico come la migrazione globale, dove l’appetito per la cooperazione internazionale è francamente limitato. Questo richiede leadership politica e visione a lungo termine, alimentato da innovazione e sperimentazione. Perciò un pragmatico accordo volontario come il GCM può essere utile, come piattaforma per negoziati, accordi e dialogo.
Cosa aspettarci adesso, quali i prossimi passi? Nei mesi che portano all’approvazione formale del Compact al Summit di Marrakesh, sarà importante attivarsi su vari livelli: i governi possono cominciare a organizzare o rienergizzare collaborazioni bilaterali o multilaterali, andrebbero presi impegni per finanziare e produrre azioni e obbiettivi specifici, i sindaci e decisori locali possono cominciare a fare uso degli obbiettivi del Compact per formare coalizioni e concordare piani d’azione. In breve, bisogna dare inizio subito a discussioni e iniziative fra tutti noi per usare al meglio GCM come piattaforma di azione.
Questo è chiaramente solo l’inizio del viaggio, e non mi illudo che sarà un viaggio facile. So anche che gli accordi negoziati a livello internazionale non possono risolvere tutte le sfide o da soli finalmente riconoscere e sfruttare tutte le opportunità che la migrazione offre. Ma almeno, per una volta, abbiamo qualcosa su cui costruire invece che disperare.
(Qui il testo completo del Global Compact finalizzato lo scorso luglio)
In copertina: Louise Arbour, Rappresentante speciale per il Segretariato generale Onu sulle migrazioni (al centro) e Miroslav Lajčák, Presidente dell’Assemblea Generale (al centro a destra) durante il processo preparatorio all’adozione di un global compact sulle migrazioni (foto: UN/Manuel Elias)