**Aggiornamento: Nel corso del weekend circa 1500 persone sono state tratte in salvo dalle navi delle Ong e da una dell’operazione Eunavformed. La nave Aquarius, noleggiata da Sos Mediterranée e gestita in partnership con Medici Senza Frontiere, ha tratto in salvo in totale 537 persone in diverse operazioni, di cui una in cooperazione con la nave Seafuchs, della Ong Sea Eye, un elicottero della Marina militare italiana e il Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano. Sabato invece SeaWatch è stata protagonista di una situazione di grande tensione nel corso della quale ha portato in salvo oltre 90 persone: dopo un’iniziale stop alla nave per permettere alla guardia costiera libica di arrivare, la SeaWatch è stata costretta a intervenire quando alcuni migranti, alla vista dei libici, sono saltati in mare gridando “No Libia”.
Qui il servizio di Angela Caponnetto di RaiNews, in questi giorni a bordo della nave di SeaWatch.
1. La nave di Open Arms è libera – e le motivazioni parlano di “stato di necessità”
Lunedì 16 aprile è stato annunciato il dissequestro della nave di Proactiva Open Arms, che dal 18 marzo scorso è ferma al porto di Pozzallo. La motivazione del Gip di Ragusa è di straordinaria importanza: “La Libia non è ancora in grado di riaccogliere i migranti soccorsi in mare nel rispetto dei loro diritti fondamentali”. Insomma, se il 15 marzo scorso c’è stato il rifiuto di consegnare a una motovedetta libica le persone salvate si tratta di un’azione in stato di necessità.
Queste parole legittimano l’azione di “disobbedienza” dei soccorritori spagnoli in base all’articolo 54 del nostro codice penale (stato di necessità, appunto): “La valutazione è fatta su cosa si debba intendere per pericolo di subire un grave danno alle persone soccorse. E cioè non solo, come è evidente, in relazione al rischio di naufragio ma in termini preventivi ovvero a ciò che sarebbe accaduto se le persone fossero state salvate riportandole in Libia. E quindi alle conseguenze che si sarebbero prodotte, se l’organizzazione non avesse disobbedito alle istruzioni ricevute” spiega Gianfranco Schiavone, vicepresidente Asgi, che è stato intervistato sul tema da Eleonora Camilli. Un punto fondamentale che rimette in discussione molte delle accuse mosse in questi mesi alle Ong che operano nel soccorso in mare. E, forse, anche un precedente importante nel dibattito sulla legittimità del Codice di condotta imposto dal ministero dell’Interno italiano nell’estate 2017.
Ma questo sviluppo non significa affatto che la questione sia chiusa né che la guerra alle Ong sia conclusa, scrive Judith Sunderland (Human Rights Watch), evidenziando alcuni punti critici.
Per ripercorrere la vicenda ecco i due articoli con cui abbiamo esaminato la vicenda: il primo analizza le accuse ad Open Arms, il secondo le nuove carte e il ruolo di Malta.
2. Il sequestro della Iuventa: la ricerca che scagionerebbe i tedeschi, ma la nave resta sotto sequestro
La scorsa estate un’altra nave di soccorso, la Iuventa della Ong tedesca Jugend Rettet, era stata sequestrata in Italia ed è tutt’ora ferma. Martedì 24 aprile la Corte di Cassazione di Roma ha respinto il ricorso dell’Ong e confermato il sequestro. Le accuse parlano di eccessivo avvicinamento alle coste libiche e di contatti con i trafficanti per “consegne pattuite” di migranti.
Lo scorso 20 aprile, però, Forensic Architecture, centro di ricerca indipendente con sede alla Goldsmiths University di Londra, ha pubblicato i risultati delle indagini sulla vicenda, in un rapporto intitolato Blaming the rescuers, un chiaro riferimento alla campagna di criminalizzazione di chi fa soccorso in mare. I tre video – pubblicati in esclusiva da Internazionale, Mediapart e the Intercept – scagionerebbero l’Ong tedesca Jugend Rettet dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Dopo otto mesi di analisi di tutti i materiali audio e video e delle comunicazioni tra i vari attori, il gruppo di lavoro coinvolto, Forensic Oceanography, ha concluso che le accuse che sono state rivolte alla Iuventa e ad altre Ong si basano sulla decontestualizzazione e l’omissione di alcuni elementi, spiega Lorenzo Pezzini, ricercatore italiano tra i cofondatori, nella dettagliata ricostruzione su Internazionale.
Today, Forensic Oceanography published their investigation into the #Iuventa case in #Italy, the latest exploration of the campaign of delegitimisation and criminalisation against #NGOs operating on the Mediterranean #migrant routes. It's here: https://t.co/udvXxmUMq3 pic.twitter.com/gdaLuAqkh5
— Forensic Architecture (@ForensicArchi) April 20, 2018
Lo scorso agosto anche noi avevamo letto le carte del sequestro della nave, sintetizzando qui le otto cose fondamentali da sapere e descrivendo la crescente militarizzazione del Mediterraneo, che ha visto nell’estate 2017 il vero punto di svolta.
Dal giorno del sequestro della nave a oggi sono morte 973 persone, scrive su Twitter l’Ong tedesca.
3. Welcoming Europe: una iniziativa della società civile europea
Il 19 aprile al Senato è stata presentata “Welcoming Europe: per un’Europa che accoglie”, una campagna che si propone di raccogliere un milione di firme per un’Europa più aperta e accogliente: tra i punti principali la creazione di passaggi sicuri e sponsorship private per il sostegno ai rifugiati, la fine della criminalizzazione di individui e organizzazioni che prestano soccorso e norme più efficaci contro lo sfruttamento dei migranti.
L’iniziativa usa lo strumento dell’Iniziativa dei Cittadini Europei (Ice), uno strumento di democrazia partecipativa dell’Unione Europea con cui si invita la Commissione Europea a presentare un atto legislativo: c’è un anno di tempo per raccogliere un milione di firme in sette paesi dell’Unione. Ecco il testo della proposta europea. Ne parla anche Annalisa Camilli su Internazionale.
“Welcoming Europe” è sostenuta da un’ampia coalizione di associazioni della società civile e arriva un anno dopo il lancio di un’altra campagna, solo italiana, “Ero straniero – L’umanità che fa bene”, una legge d’iniziativa popolare di riforma della legge sull’immigrazione in Italia che ha raccolto oltre 90 mila firme in sei mesi. [disclaimer: anche Cild è tra i promotori dell’iniziativa]
4. “Sarebbe stato meglio morire”: le voci di chi è sfuggito alla detenzione in Libia
“Death would have been better”: questa frase apre il rapporto di Refugees International sulla detenzione in Libia.
Il rapporto si basa su interviste condotte nel febbraio 2018 con richiedenti asilo e rifugiati che sono stati evacuati dall’Unhcr dai centri di detenzione in Libia a Niamey, nel Niger, dove questi uomini, donne e bambini attendono il reinsediamento in un paese terzo. Il rapporto mostra che mentre l’Ue mobilita notevoli risorse e sforzi per fermare la rotta migratoria attraverso la Libia, i richiedenti asilo, i rifugiati e i migranti continuano a subire orrendi abusi in Libia.
Refugees International inoltre, mostra grande preoccupazione per il sostegno dell’Unione Europea alla guardia costiera libica per intercettare le imbarcazioni che trasportano richiedenti asilo.
5. Linea sempre più dura in Austria, con la proposta di confisca di telefoni e denaro ai migranti
Mercoledì scorso il consiglio dei ministri austriaco ha annunciato una nuova serie di misure secondo cui i richiedenti asilo saranno costretti a consegnare i loro cellulari in modo che le autorità possano controllare la loro identità e da dove sono venuti. Potrebbero anche essere loro confiscate somme fino a 840 euro, che coprirebbero i costi del processo di asilo, scrive The Local.
Le elezioni dell’ottobre 2017 hanno portato alla formazione di governo guidato da Sebastian Kurz, che aveva promesso una stretta sul fenomeno migratorio, dopo l’alto numero di richieste di asilo arrivate nel 2015 (nell’aprile 2016 avevamo fatto il punto sui dati). Il partito di Kurz è in coalizione con il Fpö, partito di estrema destra che esprime il ministro dell’Interno, Herbert Kickl, che ha dichiarato che l’obiettivo è approvare una “legge restrittiva e applicabile per quanto riguarda i diritti degli stranieri” al fine di porre fine all’”abuso” del sistema di asilo.
La confisca di cellulari è una misura già proposta da altri governi e piuttosto controversa che non ha un quadro legislativo ben definito alle spalle, spiega Privacy International, che ha analizzato il tema di recente con un focus sul Regno Unito.
Le misure dovrebbero essere approvate dal parlamento nelle prossime settimane.
6. La Germania accoglierà altri 10 mila rifugiati vulnerabili
Al confine con l’Austria c’è la Germania, che pur in una situazione complessa e con un governo di coalizione tutt’altro che solido, accoglierà altri 10 mila rifugiati nordafricani nell’ambito di un programma indirizzato a persone particolarmente vulnerabili: l’annuncio è stato fatto dal Commissario Ue Avramopoulos.
Il programma Ue mira a fornire all’Europa un percorso legale, diretto e sicuro per i rifugiati bisognosi di protezione e prevede che almeno 50 mila rifugiati provenienti da aree di crisi vengano portati in Europa entro il 2019. L’Ue sosterrà i paesi ospitanti fornendo 500 milioni di euro per il finanziamento del programma, scrive Deutsche Welle.
La Germania rimane un paese che, anche se con crescenti difficoltà, offre modelli ed esperimenti di integrazione interessanti, come questa scuola di coding, dedicata alle donne rifugiate.
7. Grecia, chi arriva potrà lasciare le isole di primo approdo
Una decisione importante arriva dalla Grecia, dove un tribunale ha stabilito che i nuovi richiedenti asilo che arrivano nel paese potranno viaggiare e lasciare le isole di primo approdo: dal marzo 2016, infatti, questa possibilità era negata. La sentenza però non è retroattiva e si applicherà dunque solo ai nuovi arrivati.
La restrizione dell’abbandono delle isole era stata imposta dal sistema di asilo ellenico e ha provocato campi gravemente sovraffollati e violente proteste per i ritardi nelle decisioni di asilo. Il Consiglio di Stato, il più alto tribunale amministrativo della Grecia, ha annullato la decisione: non ci sarebbero infatti “motivi seri e prioritari di interesse pubblico e politica migratoria per giustificare l’imposizione di restrizioni ai movimenti”. Il Greek Council for Refugees, che ha portato la questione in tribunale, afferma che la decisione è una importante vittoria per tutti coloro che difendono i diritti dei rifugiati”, mentre dall’Unione Europea le reazioni parlano di decisione preoccupante.
Oggi più di 15 mila richiedenti asilo vivono nei campi sulle isole, più del doppio della loro capacità. Da Lesbo Niccolò Zancan ci racconta di una situazione al collasso, che sembra destinata a peggiorare.
8. “Generazione Windrush”: l’ennesima prova dell’ostilità del governo inglese verso i migranti
Paulette Wilson è nata in Giamaica e vive nel Regno Unito da 50 anni. Anthony Bryan aveva 10 anni quando ha lasciato il paese, nel 1965, per arrivare a Londra, la stessa età che aveva Richard Stewart quando è arrivato dal paese caraibico nel 1955.
In questi giorni nel Regno Unito sembra essere esploso il caso della “Generazione Windrush”: il termine indica migranti di origine caraibica arrivati nel Regno Unito a partire dal secondo dopoguerra (la Empire Windrush fu la prima nave a compiere quel viaggio). Oggi, dopo una vita da cittadini attivi e integrati, diversi di loro vengono ora accusati dal governo inglese di essere “immigrati illegali” e minacciati di essere rimpatriati nel paese d’origine, non potendo fornire documenti che provino la cittadinanza inglese.
I casi hanno iniziato a essere documentati a partire dallo scorso novembre: qui il Guardian ricostruisce la cronologia degli eventi.
Si tratta di un’ulteriore prova del “contesto ostile” che il Regno Unito sta creando per gli immigrati, a maggior ragione dopo Brexit – e a farne le spese sono più vulnerabili: “Molto spesso alle persone vengono negati i servizi a cui hanno diritto” dice Anne Stolteberg di Migrant Voice UK in questo articolo di Caitlin Logan. “A causa dell’atmosfera che si è creata, alle persone viene negato ad esempio il diritto di lavorare, poiché i datori di lavoro sono preoccupati dai problemi sul rinnovo del passaporto”.
Mentre in questi giorni il governo inglese ospita i capi di stato del Commonwealth, i diplomatici caraibici chiedono chiarimenti e rassicurazioni. In un primo momento il governo inglese ha mostrato di non prendere troppo sul serio la questione, ma nel giro di poco tempo – con il diffondersi delle storie delle persone coinvolte e di prese di posizione pubbliche – la situazione sembra aver preso piede non solo nel dibattito pubblico, ma nell’agenda politica.
Nei giorni scorsi più di 140 parlamentari di tutti i partiti hanno firmato una lettera al primo ministro, chiedendo di trovare una “risoluzione rapida di questa crescente crisi”. Il Ministro dell’Interno Amber Rudd ha annunciato la creazione di una squadra dedicata a garantire che queste persone non siano più classificate come immigrati illegali e promesso che nessuno di loro verrà deportato a causa della mancanza di documenti.
9. In Francia le associazioni vanno in piazza – e gli identitari al confine con l’Italia
Mentre dai confini continuano ad arrivare storie di solidarietà in risposta agli sgomberi dei giorni scorsi, al Colle della scala, località nei pressi di Bardonecchia, va registrato il blitz degli estremisti di destra di Generazione Identitaria che hanno installato una recinzione per bloccare il passaggio dei migranti. All’azione degli identitari – di cui vi avevamo raccontato le origini e i legami politici la scorsa estate, mentre erano alle prese con la vicenda della nave C Star – ha risposto la rete solidale, che ha bloccato la statale del Monginevro e forzato il cordone della Gendarmerie.
Intanto anche a Parigi le associazioni protestano: l’occasione per scendere in piazza è una nuova riforma voluta dal governo, la cosiddetta legge per un’immigrazione controllata e un diritto d’asilo efficace.
La manifestazione, indetta dalla Baam, associazione parigina attiva sul fronte diritti dei migranti con servizi legali e linguistici, ha portato in piazza un fronte molto articolato e molti migranti (anche se nessuna grande organizzazione). La racconta, con molte foto, The Submarine.
10. Libano, Human Rights Watch denuncia sfratti e allontanamenti di rifugiati siriani
Una situazione preoccupante sembra prendere forma in Libano, paese che da tempo ospita un ingente numero di rifugiati siriani: “Le nostre case non sono per gli stranieri” titola il rapporto con cui Human Rights Watch racconta di sfratti immotivati e allontanamento delle città di oltre 3600 rifugiati siriani da almeno 13 cittadine libanesi dal 2016 a oggi.
Mentre le autorità municipali libanesi affermano che gli sfratti sono basati su infrazioni alla regolamentazione degli alloggi, Human Rights Watch ha rilevato che le misure adottate da questi comuni sono state dirette esclusivamente a rifugiati siriani e non ai cittadini libanesi o altri cittadini stranieri. L’organizzazione stima che altre 42 mila persone corrano rischi simili nel paese.
Foto di copertina dalla pagina Facebook di Briser les Frontières