1. Hotspot: o le impronte o la vita
“Non vi diamo da mangiare né da bere finche non ci date le impronte”.
Nel primo appuntamento della serie #WelcomeToItaly – viaggio in 5 puntate dentro il sistema di accoglienza italiano, curato da Stefano Liberti per Internazionale – Valeria Brigida e Mario Poeta esplorano e raccontano lo spaventoso mondo degli hotspot, con un focus sulla pratica dell’identificazione tramite impronte digitali.
2. L’idea del riconoscimento facciale à la Minority Report
A quanto pare, però, nemmeno le impronte bastano. L’Unione Europea starebbe infatti prendendo in considerazione una significativa estensione del programma di identificazione dei migranti tramite l’adozione di avanzati software di riconoscimento facciale.
Proprio come in Minority Report, solo che questa è la (spaventosa) realtà.
3. Meglio la Siria del campo profughi
Reportage di Raffaella Cosentino e Denis Bosnic dall’enorme (uno dei più grandi al mondo) campo profughi di Zaatari, nel deserto giordano, dove sono ospitati migliaia di rifugiati – che sempre più numerosi tornano da dove sono fuggiti. La vita al campo, senza acqua, senza lavoro, è infatti insostenibile: “meglio tornare a morire in Siria che vivere così” spiegano i profughi.
4. Idomeni, la Dachau dei nostri tempi
Idomeni: 12mila persone, di cui il 40% bambini, sono bloccati da oltre due mesi al confine tra la Grecia e la Macedonia. 250 bagni, 70 docce chimiche, 2 connessioni wi-fi (unico strumento per presentare la richiesta d’asilo, che si deve fare su Skype). Tanti volontari, che però non bastano mai – come le parole – per provare a raccontare “la Dachau dei vivi”. Il bel reportage di Ottavia Spaggiari per Vita.
5. Come la Grecia criminalizza la solidarietà verso i rifugiati
L’incapacità degli stati europei di fornire risposte adeguate alla grave crisi umanitaria in corso ha implicato che sempre più spesso siano stati i comuni cittadini a farsi carico di fornire cibo e accoglienza alle centinaia di migliaia di profughi in arrivo in Europa. Gruppi indipendenti di volontari operano ormai dappertutto nel vecchio continente – da Lesbo a Calais, passando per Roma e Lampedusa – svolgendo un ruolo fondamentale nella gestione quotidiana della crisi. Eppure, queste persone non sono apprezzate dai governi europei che, al contrario, hanno iniziato a scoraggiare attivamente il fenomeno – criminalizzando la solidarietà. Ed è così che i volontari si trovano sempre più spesso perseguiti penalmente e/o detenuti. L’inchiesta di Vice dalle isole greche.
6. Il Kenya annuncia la chiusura del più grande campo profughi del mondo
Il Kenya ha deciso di chiudere i campi profughi di Kakuma e di Dadaab. Quest’ultimo, con i suoi 300.000 ospiti somali, è il più grande campo per rifugiati del mondo. Secondo il ministero dell’interno keniota la presenza di oltre mezzo milione di profughi rappresenterebbe infatti una “minaccia per la sicurezza della nazione”. La comunità internazionale e le organizzazioni impegnate nella tutela dei diritti umani hanno reagito con grande allarme: chiudere i campi kenioti vuol lasciare queste persone in condizioni disperate, provocando una (ulteriore!) crisi umanitaria di gravissimi proporzioni.
7. Le storie dei migranti gambiani – che rischiano la morte per trovare una vita ancora più amara in Italia
In Gambia, l’Europa è considerata una terra promessa di lavoro e speranza. Ma i migranti che riescono a raggiungere le coste italiane, dopo aver affrontato lo spaventoso “viaggio della speranza”, devono fare i conti con una realtà molto diversa e amara. L’inchiesta di Louise Hunt per il Guardian.
8. La dimensione globale della questione migratoria, in una mappa
Se ancora pensi che la questione migratoria sia una prerogativa europea, la mappa dei paesi che ospitano il più grande numero di rifugiati disegnata da Quartz ti farà senz’altro cambiare idea.
9. Lo strano caso dei rifugiati europei in America
Quando si dice l’altro lato della medaglia: per un cittadino europeo è piuttosto difficile ottenere lo status di rifugiato, soprattutto in Nord America. Vice documenta i casi – tanto rari quanto gravi – in cui gli Stati Uniti hanno riconosciuto protezione a persone con passaporto europeo.
10. Cosa ci insegna la storia
1600 anni fa, l’incapacità di gestire una crisi migratoria ha significato la fine dell’Impero Romano. L’analogia storica ha i suoi limiti – perché i profughi che bussano alle porte dell’Europa non sono sul punto di farci la guerra e l’Europa non è (fortunatamente) Roma – ma dovrebbe insegnarci una lezione importante: chiudere le porte non è mai la soluzione, anzi, porta al disastro. La bella riflessione di Annalisa Merelli per Quartz.