1. Le Olimpiadi dei rifugiati (I): la vera sfida del #TeamRefugees
Rio 2016, sono le Olimpiadi dei rifugiati. Per la prima volta nella storia dei giochi una squadra di rifugiati compete sotto la bandiera olimpica, con lo scopo di far sentire forte e chiaro la voce dei milioni di persone costrette a fuggire dalla propria patria.
Una bella riflessione di Vox sul senso e l’importanza di una squadra molto speciale – che non cerca applausi e medaglie, ma risposte reali alla più grande crisi umanitaria della nostra epoca.
2. Le Olimpiadi dei rifugiati (II): 10 persone per rappresentarne 65 milioni
A comporre la squadra dei rifugiati, 10 individui e atleti straordinari che con le loro storie ed il loro talento vogliono diventare i portavoce di milioni di persone come loro (parliamo di 65 milioni di profughi nel mondo, di cui 21 riconosciuti come rifugiati). Lo spiega il Washington Post, lo racconta il New Yorker.
3. Le Olimpiadi dei rifugiati (III): Yusra, a nuoto dalla Siria a Rio
10 storie eccezionali, quelle dei rifugiati di Rio, tra cui spicca quella di Yusra Mardini, la giovane siriana a cui il nuoto ha letteralmente salvato la vita.
Un anno fa Yusra, insieme a sua sorella, ha spinto a nuoto per ore il gommone su cui era imbarcata con un’altra quindicina di profughi, salvando così la vita a se stessa ed ai suoi compagni di sventura. In questi giorni invece ha nuotato nelle piscine olimpiche di Rio – dove è entrata già vincitrice.
Il bel racconto del New York Times.
4. Le Olimpiadi dei rifugiati (IV): in memoria di Samia Omar
Non solo le storie straordinarie degli atleti del team olimpico. A Rio bisogna anche ricordare i tanti, troppi che non ce l’hanno fatta. Come Samia Omar, l’atleta olimpica somala che ha perso la vita nel suo disperato viaggio attraverso il Mediterraneo (e la cui storia è adesso commemorata da una graphic-novel). L’articolo del Guardian.
5. Bloccati in Grecia (I): dove non arriva lo stato, ci sono gli squat
Il sistema di accoglienza in Grecia è sempre più al collasso e migliaia di profughi sono abbandonati a se stessi. Per cercare di fronteggiare l’emergenza, ad Atene (e soprattutto nel quartiere di Exarchia) si diffondono sempre di più le occupazioni abitative. Il reportage del Washington Post sull’importanza dell’housing sociale degli squat ateniesi.
6. Bloccati in Grecia (II): viaggio nel limbo dei campi intorno a Salonicco
Dopo Idomeni che ne è stato delle migliaia di richiedenti asilo bloccati al confine? Il reportage di Eleonora Camilli per Redattore Sociale ci porta in viaggio nelle ex fabbriche dove sono stati trasferiti i profughi dopo lo sgombero dei campi informali.
7. Perché dobbiamo chiedere scusa ai bambini siriani
Nonostante le tante promesse, a 1 milione di piccoli rifugiati siriani è ancora negato il diritto all’istruzione.
A febbraio del 2016 leader mondiali si erano impegnati a sostenere gli sforzi per garantire la scolarizzazione a tutti i bambini profughi con 1.4 miliardi di dollari, ma ad oggi poco più di un quinto dei fondi sono stati versati e la situazione continua a rimanere estremamente problematica (ne scrivono il New York Times e Buzzfeed).
La lettera di scuse ai piccoli siriani pubblicata da Refugees Deeply.
8. L’emergenza della tratta delle nigeriane
Secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), l’80% delle donne nigeriane sbarcate in Italia sono vittime di tratta che saranno costrette alla prostituzione. Una vera e propria crisi nella crisi, scrivono Annie Kelly e Lorenzo Tondo per il Guardian.
9. C’è una nuova app per orientarsi nella burocrazia tedesca -ideata da un team di rifugiati siriani
Orientarsi nella burocrazia dell’accoglienza in Germania con un’app. Questa l’idea di due rifugiati siriani, resa realtà grazie al supporto di ReDi (la no-profit berlinese che fa “integrazione digitale” insegnando il coding ai rifugiati) e raccontata dall’articolo del Guardian.
10. Cosa sta succedendo a Ventimiglia?
La tensione è alta nel comune ligure prossimo al confine francese (da tempo “luogo caldo” dell’emergenza migranti). Cosa sta succedendo, e perché? L’articolo di Tiziana Barillà per Left.
Foto di copertina: Yusra Mardini via Wikimedia.